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Trecentomila soldati mobilitati. Le ragioni della mossa di Putin

L’annuncio del provvedimento, condito dalle usuali e invitabili accuse e minacce all’Ucraina e all’Occidente e al suo “ricatto nucleare”, segna un rilevante cambiamento nell’approccio di Mosca alla sua “operazione militare speciale”

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
Putin (Ansa)
Putin (Ansa)

In un raro discorso videoregistrato il 21 settembre il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la mobilitazione dei riservisti dell’esercito russo. È la prima volta che accade dalla fine della seconda guerra mondiale. L’annuncio del provvedimento, condito dalle usuali e invitabili accuse e minacce all’Ucraina e all’Occidente e al suo “ricatto nucleare”, segna un rilevante cambiamento nell’approccio di Mosca alla sua “operazione militare speciale”.

Una situazione sul campo difficile

La ragione alla base del decreto di mobilitazione, già firmato da Putin, è naturalmente la situazione sul campo. In sette mesi di guerra le truppe russe hanno subito perdite ingenti, decine di migliaia tra morti, feriti, dispersi e disertori, forse addirittura ottantamila. Il fronte è lunghissimo, oltre duemila chilometri e, come dimostra la recente disfatta di Izyum, per le forze armate di Mosca è impossibile difendere efficacemente sia le posizioni a nord, nel Donbass, che quelle a sud, intorno a Kherson. Negli scorsi mesi era già stata avviata una mobilitazione camuffata, con la creazione di unità di volontari ben pagati, provenienti soprattutto dalle regioni asiatiche, annunci per unirsi alle milizie private e da ultimo reclutamenti nelle prigioni. Tentativi insufficienti, tuttavia, rispetto a quel che serve sul fronte: truppe, truppe e ancora truppe. La lista dei riservisti era pronta da mesi, mancava solo la decisione. È arrivata, e a essere richiamati, come dichiarato dal ministro della difesa Sergei K. Shoigu, saranno in trecentomila. Un numero impressionante considerando che le truppe russe attualmente schierate sul campo, separatisti e mercenari inclusi, sono circa duecentomila.

Ci vorranno molti mesi

Molti analisti, tuttavia, sono scettici che la decisione del presidente russo sia destinata a cambiare nell’immediato le sorti sul campo. Come ricordato dallo stesso Putin, ufficiali e soldati andranno formati, addestrati ed equipaggiati con armi e veicoli. Inviarli sul campo come carne da cannone in stile prima guerra mondiale non avrebbe senso. Ci vorrà del tempo e intanto si entrerà nel pieno dell’autunno. Con l’arrivo delle piogge il terreno diventerà sempre più fangoso e difficile, le linee si consolideranno ed è verosimile che fino alla fine dell’inverno non vi saranno offensive e operazioni su vasta scala. L’impatto dell’arruolamento dei trecentomila probabilmente non si avvertirà fino ad allora.

«Ci vorranno molti mesi prima che possano essere equipaggiati, addestrati e organizzati adeguatamente e dispiegati in Ucraina» – ha commentato Frederick B. Hodges, un ex alto ufficiale americano un tempo di stanza in Europa. «Senza un supporto massiccio dell’artiglieria, i nuovi soldati saranno pura carne da cannone, seduti quest’inverno in trincee fredde e bagnate mentre le forze ucraine continuano a premere».  

La doppia mossa

I risultati sul campo, lontani mesi e tutt’altro che sicuri, sono però solo una delle ragioni della mobilitazione. Oltre a quella strettamente militare ci sono altri due obiettivi assai più immediati, uno esterno e uno interno, meglio comprensibili tuttavia se si considera che quella del Cremlino è in realtà una doppia mossa. La decisione di ricorrere ai riservisti, infatti, si aggiunge a quella di indire i referendum dal 23 al 27 settembre nelle quattro regioni ucraine occupate in toto o parzialmente dalle forze armate russe, Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Keherson, per sancire l’annessione alla Federazione Russa. Le due cose sono legate e fanno parte della stessa strategia.

L’obiettivo esterno

La minaccia insita nei referendum e nel loro scontato esito è chiara ed è stata recapitata da Mosca alle cancellerie occidentali senza troppi infingimenti. Come ricordato dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, la dottrina militare russa prevede la possibilità di utilizzo di armi nucleari non strategiche o tattiche in conflitti regionali per la gestione di possibili escalation dopo che i mezzi convenzionali si siano dimostrati inefficaci. Tanto più se ad essere minacciati sono i confini russi. Attaccare, direttamente o indirettamente attraverso la fornitura di armi ad elevato potenziale offensivo, quelli che, dopo l’esito ufficiale e scontato dei referendum e il conseguente decreto di annessione, saranno territori della Federazione Russa potrebbe quindi avere conseguenze che nessuno vuole e che sarebbe meglio evitare. In questo contesto la decisione della mobilitazione parziale serve anche a eliminare ogni dubbio presso i governi occidentali sulla determinazione russa. L’Ucraina è per il Cremlino una questione cruciale, tanto da inviare trecentomila riservisti, essere sconfitti o costretti a venire a patti non è neanche immaginabile. Il sostegno militare a Kiev può essere tollerato, ma solo se non comporta gravi rovesci per le truppe russe, un’altra sconfitta come quella subita a Izyum non potrebbe non avere conseguenze.

L’obiettivo interno

Mobilitazione e referendum hanno anche un obiettivo interno: trasformare la percezione nell’opinione pubblica russa della cosiddetta “operazione speciale” da aggressione preventiva a lotta esistenziale per la difesa della “Madrepatria”. Una madrepatria che dopo i referendum comprenderebbe a pieno titolo i territori occupati e i cui confini il popolo russo, nella fattispecie i suoi riservisti, è chiamato a difendere. Il tentativo, mentre il sostegno all’avventura putiniana comincia a indebolirsi, è quello trasformare il conflitto in Ucraina in un’altra grande ed eroica prova di resistenza della Russia e del suo popolo ai nemici che la vogliono sottomettere. Rendere l’operazione militare speciale una prosecuzione non solo della guerra contro i nazisti, tentativo fatto sin dall’inizio dell’invasione, ma anche della guerra fredda contro l’Occidente, e perché no anche della resistenza contro Napoleone nel lontano 1812.

Due mosse, tre obiettivi

Dei tre obiettivi, uno potrebbe essere in parte raggiunto. Stati maggiori e governi occidentali hanno colto benissimo il messaggio del Cremlino e non sembrano prenderlo alla leggera. Gli altri due, invece, sono più in dubbio. L’operazione di propaganda interna è abbastanza smaccata e, a meno di mosse false degli Stati Uniti e dei paesi europei o di eccessi delle truppe ucraine, farà probabilmente difficoltà ad avere successo. Soprattutto se nel frattempo le forze armate russe continueranno a trovarsi in difficoltà e un numero rilevante di riservisti venisse ucciso o ferito sul fronte. L’effettivo impatto sul campo dei trecentomila ufficiali e soldati, infine, dipenderà molto dalla capacità dei comandi di organizzarli, inquadrarli, equipaggiarli e inserirli efficacemente in operazioni coordinate. Una capacità per la quale finora le forze armante russe non sembrano aver brillato.

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
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