“La situazione sanitaria a Gaza è catastrofica”, ne parla Mohammed Iskafi, medico del Palestinian Medical Relief
Prima dell’inizio dell’offensiva israeliana la Striscia sopravviveva grazie a 500 camion di aiuti umanitari al giorno. Dal 7 Ottobre superano il confine una media di 50 mezzi, con una necessità che con la guerra è aumentata a 800 camion di aiuti al giorno
Ha l’aria stanca Mohammed Iskafi, mentre racconta ancora una volta ciò che ripete ormai da 9 mesi. “A Gaza manca tutto. La situazione sanitaria è veramente difficile. Non ci sono i medicinali, mancano le forniture di medicine primarie e dei farmaci di emergenza”, racconta nel suo ufficio a Ramallah. Iskafi lavora per il Palestininan Medical Relief, un’ong palestinese che da anni opera sia a Gaza che in Cisgiordania, con lo scopo di sopperire alle difficoltà di accesso alla sanità causate dall’occupazione militare nei territori palestinesi, e dall’embargo nella Striscia. “A tutti i livelli dei servizi sanitari mancano i materiali e i farmaci, dagli ospedali alle cure secondarie e all'assistenza sanitaria di base”, continua. Prima dell’inizio dell’offensiva israeliana a Gaza, la Striscia sopravviveva grazie a 500 camion di aiuti umanitari che, ogni giorno, portavano cibo, medicine, gasolio, acqua potabile. Dal 7 Ottobre riescono a superare il confine con Gaza al massimo 100 camion, spesso 50, oppure nessuno, con una necessità che con la guerra è aumentata a 800 camion di aiuti giornalieri. "Già prima della guerra Gaza aveva bisogno degli aiuti umanitari per sopravvivere, ma adesso il fabbisogno è molto più elevato perché hanno bisogno di più cibo, di più medicine, più acqua. Prima della guerra, avevano la frutta e la verdura perché la coltivavano, avevano i loro allevamenti, ma con la guerra tutto è stato distrutto. Quindi ogni risorsa di cui hanno bisogno non può che arrivare dall’esterno”.
Iskafi spiega che solo il 20% del fabbisogno giornaliero dei 2 milioni di abitanti di Gaza, viene soddisfatto dalla quantità di aiuti umanitari che fa entrare Israele. Il restante 80% si traduce in morti di fame, di infezioni, di malattie croniche o di una semplice febbre. “Siamo riusciti a fare entrare alcuni dei nostri farmaci dalla Giordania - spiega il dottore - ma non erano affatto sufficienti. Sono bastati per un mese di funzionamento dei servizi di assistenza sanitaria primaria. Gli ospedali, di solito, ricevono gli aiuti attraverso le agenzie delle Nazioni Unite e attraverso l'OMS, ma l'ingresso di farmaci e forniture è molto, molto ridotto. E’ Israele a controllare cosa può entrare dentro la Striscia e ha deciso da subito di non far entrare merci, compresi i rifornimenti di farmaci”. E se ciò che passa dal confine giordano e da quello egiziano è controllato dai militari israeliani, in quello israeliano a vietare il passaggio degli aiuti umanitari sono i coloni: “danneggiano le merci, bruciano i camion e le medicine. Non permettono a nessun camion di entrare a Gaza. Il che significa che ci sono sempre più difficoltà nel cercare di far entrare le merci a Gaza. E questa è un'altra forma di violenza da parte dei coloni contro i palestinesi”.
“La gente a Gaza al momento è soggetta a malattie, soprattutto a malattie contagiose come diarrea, malattie del fegato, malattie gastrointestinali, malattie della pelle. Molte persone stanno morendo di fame a causa della mancanza di cibo e di acqua, a Gaza bevono l’acqua del mare desalinizzata, ma le pompe d’acqua hanno bisogno del gasolio per funzionare e il gasolio è finito nuovamente stamane”.
Il Palestinian Medical Relief ha 45 squadre di medici dentro Gaza, forniscono assistenza sanitaria di base alle persone che ne hanno più bisogno: bambini, donne, donne incinte, anziani ecc.. “La cosa che più mi colpisce della situazione sanitaria nella Striscia - dice con fatica dottor Iskafi - è che tanti bambini hanno avuto amputazioni degli altri. A causa della carenza di antibiotici molti di loro sono sottoposti ad amputazione completa di un arto o più arti, semplicemente perché è impossibile curare la ferita infetta. Solo noi seguiamo 23 casi di questo genere. Inoltre le persone che hanno bisogno di farmaci cronici, gli anziani che soffrono di diabete e ipertensione, non hanno i farmaci essenziali per le loro malattie che senza essere curate degenerano fino alla morte”.
Intanto i feriti gravi non possono più uscire da Rafah, “prima dell'invasione di Rafah i feriti potevano evacuare e andare direttamente in Egitto attraversando il confine e pagando la frontiera egiziana. Era l’unico modo per uscire da Gaza. Adesso non esiste più neanche quello. Molte persone muoiono perché non vengono trasferite da Gaza all'Egitto per essere curate lì o in altri paesi. E immagino che queste morti aumentino sempre di più. Noi abbiamo circa 80.000 feriti. Circa 4000 hanno bisogno di un trasferimento immediato per essere curati il prima possibile fuori dalla striscia, o non potranno sopravvivere”.
Contemporaneamente la situazione in Cisgiordania si sta deteriorando. “L’esercito israeliano attacca i campi profughi quasi ogni giorno. Il campo di Tulkarem, Nour Shams, Turkin, Jenin, Nablus, e allo stesso tempo uccidono persone e danneggiano le infrastrutture dei campi, le strade, l'elettricità e l'acqua. Si tratta di una punizione collettiva”, continua il medico, “la maggior parte della terra di Gaza è ora utilizzata per la sepoltura delle persone uccise. Ovunque a terra ci sono corpi morti.
Anche nei terreni degli ospedali. È una situazione catastrofica. Le madri non sanno dove sono stati sepolti i loro figli, in quale terra, lo sapranno più tardi, quando la guerra finirà. La questione più urgente in questo momento è il cessate il fuoco. Perché la gente possa avere di nuovo cibo, acqua, medicine, cure e una vita tranquilla. Per dormire, per pensare a ciò che è successo e per iniziare a ricostruire la propria vita lentamente”.