[L’analisi] Silvia tra i poveri africani sotto l’assedio del banditi. Ecco chi può averla rapita
Un gruppo di banditi avrebbe potuto rapire la giovane italiana per poi rivenderla a un'organizzazione maggiore e più strutturata per la gestione del sequestro. Il Kenya, venduto soprattutto come un Paese turistico, oggi è anche qualche cosa d’altro
Il sequestro della giovane cooperante italiana Silvia Romano di 23 anni è l’occasione, una delle tante, per capire cosa vuol dire lo slogan “aiutiamoli a casa loro”, come se da decenni non esistesse la cooperazione internazionale con tutte le sue difficoltà. Ma se uno vuole andare va e rischia: perché andare ai margini del mondo ad aiutare gli altri non é un mestiere, non segue una logica comune e i rimproveri postumi, gli avvertimenti, suonano stonati. Se le Silvie del mondo fossero così stonate e false come le nostre belle parole di buonsenso resterebbero a casa, da buone borghesi, a programmare il week end e i fidanzati. E invece vanno incontro a un’altra vita, diversa. Quasi incomprensibile.
Silvia ha fatto una scelta differente e non ci ha rimproverato perché restiamo qui. Dobbiamo quindi rispettarne le scelte e anche gli errori. Sperando che gli sbagli non siano fatali e che torni indietro. Non c’è niente di più irritante di sentire slogan come “aiutiamoli a casa loro” e poi ascoltare le prediche degli ometti di casa nostra che in cuor loro vorrebbero dire e lo dicono: “E’ andata a cercarsela”. Ma andiamo a vedere, come se ne seguissimo i passi, il territorio dove Silvia è scomparsa.
Alle spalle della località turistica di Malindi, dove c’è la base italiana San Marco, si estende l’area del Creek di Kilifi, lungo il fiume Sabaki, popolata dai Giriama di etnia bantu, arrivati qui durante secolari migrazioni per sfuggire la conquista dei Galla, gli Oromo, diffusi a cavallo di Etiopia e Somalia. I Giriama hanno un’agricoltura di sussistenza molto povera e quando mi è capitato di portare in dono una piccola vacca da latte in un villaggio è stato un evento.
I Giriama da anni temono il banditismo dei somali e le incursioni degli Shabab. Del resto otto milioni di kenyoti sono di etnia somala ricompresi nel 1933 nella colonia britannica del Kenya con i patti di spartizione della Somalia tra Italia e Gran Bretagna. E’ un po’ difficile a volte distinguere se “casa loro” è loro davvero o l’abbiamo creata noi e le ondate della storia locale africana, quasi del tutto ignorata, come se non fosse storia.
Questo è il contesto del rapimento a Chakama della cooperante italiana ma il racconto dei fatti appare, secondo, la stampa e i testimoni locali, ancora confuso e contrastante. Secondo alcuni ci sarebbe stato un assalto al villaggio di circa 80 uomini armati in modo pesante e che parlavano somalo. Il che, abbiamo capito, non sarebbe così strano. Questa è una versione che accredita l'azione di un gruppo armato come gli al Shabab somali.
Secondo altri invece si è trattato di un commando di quattro-cinque uomini armati che sono andati dritto alla casa della cooperante italiana, per poi allontanarsi sparando e facendo alcuni feriti. Uno scenario che non esclude del tutto l'altro: un gruppo di banditi avrebbe potuto rapire la giovane italiana per poi rivenderla e "passarla" un'organizzazione maggiore e più strutturata per la gestione del sequestro.
Rispetto all'ipotesi, da verificare, di una responsabilità del movimento islamista al Shabab, gli osservatori locali sottolineano che il gruppo ha rivendicato agguati e attentati solo più a nord, nell'area costiera di Lamu, che si trova a circa 200 chilometri di distanza dalla contea, vicino al confine con la Somalia, oppure più all'interno, come a Garissa, dove nel 2015 durante il blitz nell’università furono uccisi 147 studenti.
Una cosa però è certa il Kenya, venduto soprattutto come un Paese turistico, oggi è anche qualche cosa d’altro: la penetrazione della Cina, con investimenti e infrastrutture, qui come in tutto il Corno d’Africa _ basti ricordare la base militare cinese di Gibuti _ sta per cambiare volto al Paese: ad “aiutare” gli africani a casa loro presto forse non sarà più l’”uomo bianco” con le sue brillanti idee di sviluppo. Ma chi è andato incontro ai bambini del Kenya, nella terra dei miti Giriama si chiama Silvia, un essere umano che non fa calcoli, non un fine dicitore di slogan di plastica.