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[La polemica] Uccidere una figlia disobbediente non è reato. La protesta del governo italiano fa ridere

Assolti  famigliari di Sana Cheema, la ragazza di 25 anni uccisa. In Pakistan non basta nemmeno una confessione per condannare gli assassini

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
[La polemica] Uccidere una figlia disobbediente non è reato. La protesta del governo italiano fa...

In Pakistan non basta neanche una confessione per riuscire a condannare l’assassino di una figlia disobbediente. Il tribunale distrettuale di Gujrat ha assolto tutti gli undici imputati, una banda di babbo, fratello, zii, cugini e pure un medico, accusata di aver rotto il collo alla povera Sana Cheema perché non voleva sposarsi con Aziz Khizer, come aveva deciso il padre padrone, e poi l’aveva buttata in un cimitero lontano perché non disturbasse troppo neppure da morta. 

Sentenza scandalosa

Sentenza ancora più scandalosa, perché riesce incredibilmente a sostenere che non ci sono prove e nemmeno testimoni, come se la confessione di Ghulam Mustafa Cheema non contasse niente: «L’ho uccisa io. Ho perso la testa. Abbiamo litigato e lei mi ha insultato». E adesso fanno ridere tutte le note di protesta che il governo italiano sta per far arrivare a Islamabad. L’islamico e fondamentalista Pakistan, grande finanziatore prima e protettore poi dei talebani, è il fedelissimo alleato dei cowboy americani di stanza a Washington - dei geni della politica estera che fanno di tutto per ridurre il mondo a una polveriera -, che se n’è sempre fatto un baffo delle pressioni statunitensi di non aiutare i terroristi afgani. Vi lasciamo immaginare che cosa ci possono fare con le note di protesta in arrivo da Roma. 

Poliziotto trasferito perché indagava

Tanto per cominciare, il poliziotto che ha svolto le indagini e ottenuto la confessione del padre di Sana è stato trasferito, come fa sapere Raza Asif, segretario nazionale della comunità pachistana in Italia. Il poveretto doveva aver pensato che un omicidio è sempre un omicidio. Come tutti i poliziotti del mondo. Invece ci sono posti dove non tutti i delitti sono uguali. E non tutte le vittime, soprattutto. 

Chi era Sana, colpevole di essersi innamorata 

Sana Cheema aveva 25 anni e si era innamorata di un italiano che aveva trovato lavoro in Germania e le aveva chiesto di seguirlo. Secondo la famiglia lui però aveva già promesso di sposarsi con un’altra donna, e per questo papà, mamma e fratello non erano d’accordo con questa sua storia d’amore e avevano organizzato un viaggio in Pakistan, tutti assieme, proprio per trovarle marito. Ghulam Mustafa era un operaio dell’azienda siderurgica Innse di Brescia e aveva detto ai suoi colleghi che doveva tornare a casa uno o due mesi per sistemare una cosa importante in famiglia. Kamran Javid, 26 anni, un amico di Sana che era in Pakistan nello stesso periodo, prima che lei venisse uccisa, ha raccontato ai giudici che non l’aveva incontrata ma l’aveva sentita su facebook prima e poi tra marzo e aprile si erano anche parlati al telefono: stava bene, disse. «Mi spiegò che era a casa perché la famiglia le cercava un fidanzato, ma non era preoccupata». Le sembrava impossibile che si opponessero al suo rifiuto. Ma papà Ghulam aveva convinto suo cugino Aziz Khizer a sposarla e aveva già preso pure i soldi da lui. Quando lo annuncia alla figlia, vanno avanti qualche giorno a liti furiose, perché lei non vuole saperne. Ha preso pure il biglietto aereo per tornare in Italia, il 19 aprile 2018. Non ci tornerà mai. 

La morte sospetta 

Il 18 aprile muore. I genitori e i fratelli dicono che si è trattato di una morte naturale, dovuta a un improvviso arresto cardiaco avvenuto mentre erano per strada. Presentano pure un certificato medico di una settimana prima per attestare che lei non stava troppo bene. Poi prendono il cadavere e anziché seppellirlo nel cimitero del villaggio dove vivono, a Mangowal, nel distretto di Gujrat, lo portano lontano, a Kot Fath, sperando forse così di evitare l’autopsia. Solo che trovano un poliziotto che fa il poliziotto, poveraccio ed è un po’ strano che uno butti la figlia morta in un fosso così distante da casa. L’autopsia non lascia dubbi: le hanno rotto il collo. E’ stata uccisa. Ed è ovvio che il maggior sospettato è il papà che aveva raccontato che sua figlia era morta d’infarto davanti a lui. 

Arriva anche la confessione

A essere sinceri, è un delitto scritto, non ci sarebbe neanche bisogno della confessione. Che invece c’è lo stesso. Il  padre viene arrestato, assieme al figlio Adnan Mustafa e al fratello Mazhar Iqbal. Il cugino e promesso sposo Aziz Khizer viene arrestato mentre sta cercando di scappare a Istanbul assieme al parente che lo aveva aiutato a portare il cadavere di Sana a Kot Fath. Viene accusato anche il medico dell’ospedale che aveva redatto un falso certificato di malattia. 

Per i giudici mancano le prove

Nonostante tutti questi fatti, i giudici hanno sostenuto che mancano prove e testimoni. In realtà, in poco più di 70 anni di esistenza, il Pakistan si è dato un gran da fare per uccidere le sue donne e qualche volta i suoi uomini per reati come il rifiuto di matrimonio, relazioni immaginarie in cui le accuse servono da giustificazione per la rabbia maschile, o altri peccati inventati per far da copertura ad eredità contese. Quasi ogni contrasto si presta a sfociare in un delitto d’onore, grazie al quale tutto il quartiere e la società si schierano compatti dalla parte dell’omicida e chiudono un occhio se la giustizia passa in secondo piano, come è avvenuto per Sana. La legge ci sarebbe, dal 2016, approvata sulle pressioni americane per salvar la faccia. 

La strage di donne in Pakistan 

Ma secondo i dati forniti dalla commissione per i diritti umani del Pakistan dall’entrata in vigore della legge fino al 2018 sono state uccise 1280 persone in delitti d’onore. In più della metà dei casi non è stata neanche sporta denuncia e non c’è stato nessun procedimento giudiziario. Donne bruciate, carbonizzate, o strangolate senza neanche un’indagine. Qualche mese fa un uomo che ce l’aveva con le sorelle per una lite familiare ha cominciato a picchiarle con un bastone. Quando la nonna, centenaria, ha cercato di farlo smettere, ha picchiato anche lei. Non si può andar contro al privilegio maschile in certi posti del mondo, anche se hai cent’anni. Alla fine si è fermato: la nonna e le due sorelle erano morte. C’è stato un po’ di trambusto, ed è arrivata persino la polizia. «Non mi volevano ascoltare», ha detto l’uomo. Quelle sciagurate. Meno male che adesso lo ascolterà qualche giudice.       

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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