Cina, rapporti con le altre religioni e guerra: così Francesco sta rinnovando la Chiesa
Ciò richiede secondo il papa una messa a punto del cambiamento spirituale della Chiesa cattolica, nel dialogo con tutte le Chiese cristiane. Ottimismo verso il Paese orientale. Le novità della Conferenza dei vescovi in Italia

A questo punto può essere utile una riflessione complessiva su cosa succede a papa Francesco e dove sta portando la Chiesa cattolica dentro l’orizzonte conciliare del rapporto Chiesa-mondo e della conversione evangelica richiesta a tutti i cristiani. Intanto si ha l’impressione che la nomina del cardinale Matteo Zuppi a presidente della Conferenza Episcopale italiana abbia avviato l’attesa maggiore sintonia con il progetto pastorale di Francesco per l’Italia. Segnali chiari in proposito sono emersi dalla prima relazione di Zuppi al Consiglio permanente della Cei durante il quale è stato resa nota la nomina dell’arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Andrea Salvatore Baturi a segretario generale della Cei. Con una immediata novità: resterà anche arcivescovo di Cagliari diversamente da quanto era finora avvenuto per tutti i precedenti segretari. Papa Francesco, sottoposto a un’incessante critica dai nostalgici dei tempi passati, ha messo in chiaro che non ha alcuna intenzione di dimettersi, stando tuttora in buona salute, salvo il disturbo ricorrente al ginocchio. Determinato quindi ad andare avanti per il cambiamento indicato dal concilio Vaticano II. E in questa ottica – con grande delusione degli ambienti conservatori - ha chiuso definitivamente la porta al rito tridentino della messa, chiarendo che la Chiesa cattolica di rito latino non può avere due forme ufficiali di celebrare la liturgia che è il momento più significativo di unità dei credenti. Pertanto il rito finora concesso ai nostalgici del periodo preconciliare è stato abolito, facendo intendere che adeguarsi al concilio non è un’opzione facoltativa, ma un dovere indiscutibile.
Ruolo rispetto alla politica, all’economia e alla cultura
In parallelo, il papa ha chiarito il ruolo che la Chiesa è chiamata a svolgere rispetto alla politica, all’economia, alla cultura nell’attuale dinamica della geopolitica sottoposta a profonde mutazioni a causa della pandemia, della guerra in Ucraina, della crisi climatica e alimentare. Più che schierare la sua Chiesa come quinta colonna dei poteri politici o economici nelle situazioni di conflitto e nei rapporti di natura diplomatica, Francesco chiarisce in diversi interventi che la Chiesa deve coltivare la sua natura di testimone del Vangelo e di vicinanza alle popolazioni, senza discriminazioni per dare speranza e tessere fraternità solidale. E quindi invita la Chiesa a svolgere un ruolo attivo di moral suasion verso le autorità internazionali e le potenze in competizione per la futura guida del mondo. In tale prospettiva l’unità dei cristiani è più necessaria che mai. Se sul fronte diplomatico sono importanti le parole di fiducia nei confronti della Cina per il rinnovo nel prossimo ottobre dell’accordo sulla nomina dei vescovi, sul fronte ecclesiale non è meno importante la convinzione sul piano ecumenico di procedere verso una testimonianza sempre più unitaria. A tale proposito Francesco ha manifestato pensieri e orizzonti rilevanti nel saluto alla delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli in occasione della festività dei santi Pietro e Paolo. Parole scivolate via dall’attenzione mediatica, ma la cui rilevante novità può meglio valutarsi alla luce di quanto scompiglio ha portato nei rapporti tra le varie Chiese ortodosse il conflitto in Ucraina per il supporto a Putin da parte del patriarca di Mosca.
Processo di cambiamento
Nelle parole di Francesco c’è la conferma che il papa vuole consolidare un processo di cambiamento sinergico tra tutti i cristiani per non andare in ordine sparso nelle risposte che la fede suggerisce per i nuovi tempi alle porte. “Chiese sorelle, popoli fratelli: la riconciliazione tra cristiani separati, quale contributo alla pacificazione dei popoli in conflitto, - sostiene Francesco - risulta oggi quanto mai attuale, mentre il mondo è sconvolto da un’aggressione bellica crudele e insensata, nella quale tanti cristiani combattono tra di loro. Ma di fronte allo scandalo della guerra anzitutto non c’è da fare considerazioni: c’è da piangere, soccorrere e convertirsi. C’è da piangere le vittime e il troppo sangue sparso, la morte di tanti innocenti, i traumi di famiglie, città, di un intero popolo: quanta sofferenza in chi ha perso gli affetti più cari ed è costretto ad abbondonare la propria casa e la propria patria! C’è poi da soccorrere questi fratelli e sorelle: è un richiamo alla carità che, in quanto cristiani, siamo tenuti a esercitare nei riguardi di Gesù migrante, povero e ferito. Ma c’è anche da convertirsi per capire che conquiste armate, espansioni e imperialismi non hanno nulla a che vedere con il Regno che Gesù ha annunciato, con il Signore della Pasqua che nel Getsemani chiese ai discepoli di rinunciare alla violenza, di rimettere la spada al suo posto «perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno»; e troncando ogni obiezione disse: «Basta!». Il papa spiega poi di riflesso il senso civile e culturale che potrebbe avere l’unità dei cristiani che “non è dunque solo una questione interna alle Chiese. È una condizione imprescindibile per la realizzazione di un’autentica fraternità universale, che si manifesta nella giustizia e nella solidarietà verso tutti.
Una seria riflessione
A noi cristiani si impone pertanto una seria riflessione: quale mondo vorremmo che emerga dopo questa terribile vicenda di scontri e contrapposizioni? E quale apporto siamo pronti a offrire ora per una umanità più fraterna? Come credenti non possiamo che attingere le risposte a tali domande nel Vangelo”. Senza cedere “alla tentazione di imbavagliare la novità dirompente del Vangelo con le seduzioni del mondo e di trasformare il Padre di tutti, nel dio delle proprie ragioni e delle proprie nazioni”. Di qui l’auspicio che “il dialogo teologico progredisca promuovendo una mentalità nuova che, conscia degli errori del passato, porti a guardare sempre più insieme al presente e al futuro, senza lasciarci intrappolare nei pregiudizi di altre epoche. Non accontentiamoci di una “diplomazia ecclesiastica” per rimanere gentilmente sulle proprie idee”.