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[L’analisi] La rivolta violenta contro Macron, il re è nudo per le liberazioni selvagge e aver copiato Jobs Act

Stravincere e governare senza problemi sono due opzioni non necessariamente coincidenti, anzi. Se un meccanismo elettorale taglia fuori settori ampi della popolazione dal sistema di rappresentanza, le ripercussioni non possono che farsi sentire dopo, in termini di tensioni e rivendicazioni sociali. E se non si trova uno sfogo nella mediazione istituzionale quelle tensioni si scaricano nelle piazze. Come esattamente sta accadendo in questi giorni

[L’analisi] La rivolta violenta contro Macron, il re è nudo per le liberazioni selvagge e aver...

Il  Re Sole è  nudo e -come al tempo della Rivoluzione- viene giustiziato in piazza. Anche se si tratta di un’esecuzione simbolica. Ha destato clamore e molte polemiche la rabbiosa messa in scena di giovani dimostranti a Nantes, che durante una manifestazione hanno percosso, impiccato e poi bruciato un manichino in giacca e cravatta raffigurante il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron. Il fatto è che la ricetta  turbo-liberista dell’Eliseo sembra proprio non  piacere ai cittadini d’oltralpe, ed ora il nodo sta venendo al pettine con l’innalzamento delle tensioni sociali nel paese. Accade in seguito alla preannunciata raffica di scioperi legati alla riforma del settore ferroviario , che segue una contestatissima riforma del lavoro stile Job Act a cui i sindacati si sono opposti con fermezza.  Ma non basta. Nella primavera calda francese anche piloti, netturbini e addetti del settore energetico hanno incrociato le braccia, preoccupati per i tagli agli stipendi e per le liberalizzazioni selvagge annunciate in ogni settore.  E poi ci sono gli studenti, sulle barricate contro la riforma delle università statali che pregiudica l’accesso e il diritto allo studio universale, da sempre punto di forza del sistema di formazione francese.



La primavera calda che rischia di oscurare l’astro dell’Eliseo



Da giorni il paese è bloccato a causa delle proteste legate alla riforma del settore ferroviario: il 9 aprile ha incrociato le braccia  il 74% dei macchinisti, con la ferma quasi totale dei treni veloci Tgv che ha causato oltre 400 chilometri di ingorghi intorno a Parigi. I sindacati hanno annunciato uno sciopero distribuito su 3 mesi, da inizio aprile a fine giugno, per contrastare una riforma che per riportare in equilibrio il bilancio della società nazionale delle ferrovie, la SNCF, prevede lo stop delle garanzie al posto di lavoro per i nuovi assunti, il blocco agli aumenti di stipendio, l’abolizione dei prepensionamenti e introduce l’ingresso della concorrenza sui servizi di trasporto.  
La messinscena dell'esecuzione ha provocato indignazione tra i moderati di En Marche, il partito di Macron, che hanno bollato il gesto come "violento", "inaccettabile" e "indegno della democrazia". 
Il problema è che il presidente francese, forte della schiacciante maggioranza parlamentare, ha completamente tralasciato l’aspetto della mediazione con le parti sociali e con quella platea vastissima –giovani venti-trentenni, proletari, lavoratori a basso reddito- che nel voto per l’Assemblea Nazionale dello scorso giugno non si sono sentiti rappresentati dalle forze in campo e non erano andati a votare, o hanno optato per un voto radicale e di protesta che non ha trovato uno sbocco istituzionale nei seggi conquistati per ¾ da “En Marche”. Né si sono sentiti di affidare il loro voto al Partito Socialista,  il quale insieme agli alleati è sceso dai quasi 340 scranni ottenuti nel 2012 ad appena un ventina. Stesso risultato per la sinistra di Melenchon. Il chè non significa però che quei settori sociali, quelle istanze, quel malcontento non smettano istantaneamente di esistere, una volta esclusi dal quadro della rappresentanza istituzionale. Da qui nasce lo scenario di crisi profonda della gauche francese, non molto dissimile da  quello uscito dalle urne italiane il 4 marzo.



Il gap di rappresentanza è la lezione del voto francese



Un dato che insegna una cosa fondamentale:  Stravincere e governare senza problemi sono due opzioni non necessariamente coincidenti, anzi. Se un meccanismo elettorale taglia fuori settori ampi della popolazione dal sistema di rappresentanza, le ripercussioni non possono che farsi sentire dopo, in termini di tensioni e rivendicazioni sociali. E se non si trova uno sfogo nella mediazione istituzionale quelle tensioni si scaricano nelle piazze. Come esattamente sta accadendo in questi giorni. 
La composizione dell’attuale Assemblea Nazionale francese non rispecchia  la realtà e  la complessità del paese. Al primo turno delle legislative più della metà dei cittadini francesi non era andato a votare, dando vita alla più bassa affluenza di sempre nella storia transalpina. Ma questo non significava, nella logica dell’astensione, un via libera alle politiche ultra liberiste di Macron. Tutt’altro.  L’astensionismo non poteva cioè in alcun modo essere tradotto nei termini di un mandato pieno nei confronti di Macron. Da questo fraintendimento profondo nascono le proteste della primavera francese.  Ed ora il sogno macroniano di andare “oltre i partiti” rischia di non reggere l’urto delle piazze. 

Paola Pintusdi Paola Pintus, esperta di esteri   
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