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Morto Bettazzi, vescovo "rosso" della pace. La risposta di Francesco allo sgarbo di Pechino

Lungimirante la diplomazia vaticana spiegata dal cardinale Parolin e nell’Angelus il papa invoca liberazione dal flagello della guerra.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
Morto Bettazzi, vescovo 'rosso' della pace. La risposta di Francesco allo sgarbo di Pechino

Gli amici di Pax Christi lo chiamavano il vescovo Luigi. I suoi avversari, dentro e fuori la Chiesa, lo chiamavano il “vescovo rosso” perché dialogava con i comunisti. I non credenti che lottavano per un mondo nuovo come Enrico Berlinguer lo consideravano un cristiano affidabile con cui dialogare. All’alba di questa domenica Luigi Bettazzi è morto. Tra le sue ultime parole la più frequente è stata “riconciliazione”. Nel darne la notizia Vatican News lo ricorda come “voce di pace e ultimo padre italiano del Concilio”. A novembre avrebbe compiuto 100 anni. La Chiesa dei poveri nel Concilio e oggi è stata il suo orizzonte da cristiano. Fu tra quei 42 padri conciliari che sottoscrissero il “Patto delle Catacombe” cui poi aderirono circa 500 padri con l’impegno di vivere con stile di vita povero e al servizio dei poveri. Francesco è il papa che ha rappresentato al meglio questa istanza conciliare.

Nel ruolo di presidente di Pax Christi Italia e poi di presidente di Pax Christi internazionale, il vescovo Luigi si adoperò molto nel periodo difficile della guerra in Vietnam e nel periodo postbellico a ricucire riservatamente le fila del dialogo tra governo comunista e Santa Sede. Un aspetto che evoca analoghe difficoltà nell’attuale rapporto tra Governo di Cina e Vaticano, affidato - per ora - a un Accordo provvisorio biennale e rinnovabile per la nomina consensuale dei vescovi. Accordo che non soddisfa gli ambienti tradizionali cattolici che lo leggono come una trappola di Pechino e un cedimento della diplomazia pontificia. Ma proprio in questi ultimissimi giorni a seguito della nomina del nuovo vescovo di Shanghai decisa dal governo e soltanto a posteriore sanata da papa Francesco, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato e ispiratore della strategia diplomatica della Santa Sede accolta e sostenuta dal papa, ha chiarito la posizione del Vaticano che non è di resa, ma di consolidamento paziente nel dialogo come unica espressione evangelica per la diffusione del Vangelo in Cina.

Parolin è un ottimo diplomatico stando alla testimonianza di Francesco, ma lo è in forma singolare perché è un ecclesiastico che tesse al meglio la tela diplomatica, ma confida nel successo solo come grazia di Dio che occorre chiedere con una preghiera instancabile. Anzi uno dei suoi obiettivi per la riuscita del dossier cinese è proprio allargare la coscienza della Chiesa cattolica sul primato missionario e non diplomatico. Non si sta trattando di potere, ma di evangelizzazione ossia di portare o riportare in Cina il Vangelo di Gesù. Ma non si può ignorare l’apertura al futuro che muove la Santa Sede: a differenza dei governi occidentali ritiene produttiva la via del dialogo con la Cina piuttosto che quello del braccio di ferro per il primato mondiale. “C’è da dire – rileva nell’intervista davvero importante Parolin - che i troppi sospetti rallentano e ostacolano l’opera di evangelizzazione: i cattolici cinesi, anche quelli definiti “clandestini”, meritano fiducia, perché vogliono sinceramente essere leali cittadini ed essere rispettati nella loro coscienza e nella loro fede. Affinché il Vangelo possa diffondersi con la sua pienezza di grazia e di amore, recando buoni frutti in Cina e per la Cina, e affinché Gesù Cristo possa “farsi cinese con i cinesi”, è necessario superare la diffidenza verso il cattolicesimo, che non è una religione da considerarsi estranea - tanto meno contraria - alla cultura di quel grande popolo. Sarà una grande gioia per noi quando ciò diverrà realtà ed io confesso di pregare personalmente ogni giorno il Signore per questa intenzione”. Intanto non si sta con le mani in mano e di fronte allo sgarbo per la nomina a Shanghai del vescovo Shen Bin, “pastore stimato”, ribadisce la volontà di dialogo da parte della Chiesa cattolica e auspica l’apertura di un ufficio stabile di collegamento della Santa Sede in Cina.

Papa Francesco “ha comunque – precisa Parolin - deciso di sanare l’irregolarità canonica creatasi a Shanghai, in vista del maggior bene della Diocesi e del fruttuoso esercizio del ministero pastorale del Vescovo. L’intenzione del Santo Padre è fondamentalmente pastorale e permetterà a Mons. Shen Bin di operare con maggior serenità per promuovere l’evangelizzazione e favorire la comunione ecclesiale. Nello stesso tempo, noi speriamo che egli possa, d’intesa con le Autorità, favorire una soluzione giusta e saggia di alcune altre questioni pendenti da tempo nella Diocesi, come - per esempio - la posizione dei due Vescovi ausiliari, S.E. Mons. Taddeo Ma Daqin, tuttora impedito, e S.E. Mons. Giuseppe Xing Wenzhi, ritirato”.

Nell’Angelus odierno dedicato a spiegare la parabola del seminatore, si può intravedere un principio generale di pastorale missionaria che guida papa Francesco: seminare senza stancarsi la Parola di Dio: “Così fa il Signore e così siamo chiamati a fare anche noi: a seminare senza stancarci. Ma come si può fare questo, seminare continuamente senza stancarci?... adesso vediamo i seminatori di Vangelo, molti bravi sacerdoti, religiosi e laici impegnati nell’annuncio, che vivono e predicano la Parola di Dio spesso senza registrare successi immediati. Non dimentichiamo mai, quando annunciamo la Parola, che anche dove sembra non succeda nulla, in realtà lo Spirito Santo è all’opera e il regno di Dio sta già crescendo, attraverso e oltre i nostri sforzi. Perciò, avanti con gioia, cari fratelli e sorelle!”. Parole applicabili perfettamente alla situazione della Chiesa in Cina. Ma anche alla condizione di guerra che si respira. E lo fa alla sua maniera: ricorda il passato per liberare il presente.

“Voglio ricordare – ha detto papa Bergoglio nel dopo Angelus - che ottant’anni fa, il 19 luglio 1943, alcuni quartieri di Roma, specialmente San Lorenzo, furono bombardati, e il Papa, il Venerabile Pio XII, volle recarsi in mezzo al popolo sconvolto. Purtroppo anche oggi queste tragedie si ripetono. Com’è possibile? Abbiamo perso la memoria? Il Signore abbia pietà di noi e liberi la famiglia umana dal flagello della guerra. In particolare preghiamo per il caro popolo ucraino, che soffre tanto”. Alla pace ha dedicato due terzi della sua vita il vescovo Bettazzi. Nell’appello finale della sua “lettera ai giovani per la pace” si legge: “Affido questa lettera a voi giovani (per anagrafe o nello spirito, disponibili cioè a rimettersi in discussione), con molta fiducia e con molta speranza. La pace del mondo, soprattutto la pace di domani, dipende da voi”.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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