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Sheikh Jarrah tra confisca della terra, demolizione e coloni

Situazione molto critica ma c’è ancora spazio per la collaborazione tra ebrei israeliani e palestinesi. Il reportage da Gerusalemme Est

Lidia Ginestra Giuffrida di Lidia Ginestra Giuffrida   
Sheikh Jarrah tra confisca della terra, demolizione e coloni

Nabil sta seduto nel giardino di casa, dietro di lui i nipoti giocano, davanti una grande bandiera israeliana. Nabil Al Kurdi ha quasi 80 anni e vive a Sheikh Jarrah da quando, nel 1948 è stato costretto a fuggire dal suo villaggio e a rifugiarsi lì con i genitori. Il quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est assistette all'arrivo di numerosi rifugiati palestinesi durante la guerra del 1948. Successivamente,  nel corso della guerra dei sei giorni nel 1967, Gerusalemme Est, compreso Sheikh Jarrah, venne occupata da Israele. 

La vita dei palestinesi dopo il ‘67 

Da allora la vita dei palestinesi  è diventata sempre più difficile a causa dei continui sfratti e dell’arrivo dei coloni israeliani. “Nel 2001 mi hanno imposto di chiudere la casa che avevo costruito perché dicevano che era stata costruita senza permessi. Le autorità israeliane sono venute qui e mi hanno dato l’ordine di sfratto”, racconta Nabil, “nel 2009 hanno dato le chiavi di casa mia a dei coloni israeliani, così una mattina ho trovato i coloni nel giardino”. Nabil non ha mai dormito in quella casa, appena ha finito di costruirla la corte israeliana gli ha ordinato di andarsene. 

Vivere accanto ai coloni armati 

La casa in cui vive adesso, insieme ai suoi figli e ai nipoti, è accanto a quella che i coloni hanno occupato. “Loro sono armati, i miei nipoti giocano nello stesso giardino in cui i coloni camminano con le armi”, continua, “dal 7 ottobre cerchiamo di avere meno contatti possibili con loro perché sappiamo che qualsiasi cosa succeda saremmo noi a rimetterci. I militari li difendono da sempre”.  

Una storia comune nel quartiere di Sheikh Jarrah 

La storia di Nabil è quella di quasi tutte le famiglie che vivono nel quartiere di Sheikh Jarrah, cacciate via dalle proprie case o in attesa di essere sfrattate. Nel 2021 però, gli ordini di sfratto e le demolizioni delle case dei palestinesi sono stati momentaneamente sospesi, grazie alle manifestazioni e alle contestazioni portate avanti dalle famiglie del quartiere, da attivisti internazionali e da israeliani contro l’occupazione di Gerusalemme. Sam è un attivista israeliano di “Free Jerusalem” e di “All that’s left”. Siede in un bar poco distante dalla casa di Nabil. “Sto con questi gruppi dal 2021, sono organizzazioni che si battono per i diritti dei palestinesi e contro l’occupazione di Gerusalemme e della Cisgiordania. Facciamo cortei con gruppi misti di palestinesi, israeliani e attivisti internazionali. Andiamo a Sheikh Jarrah quando ci sono le demolizioni, o ad aiutare le famiglie contro gli attacchi dei coloni. Credo sia fondamentale andare alle proteste, coinvolgere sempre più persone, ma soprattutto gli ebrei israeliani che sono contro la guerra ma non scendono in piazza”, racconta mentre beve il suo caffè. “Come attivisti israeliani contro l’occupazione non facciamo solo manifestazioni a Sheikh Jarrah, ma siamo presenti  anche a sud di Hebron e nella Valle del Jordano, facciamo presenza protettiva nei villaggi dei palestinesi continuamente attaccati dai coloni israeliani”. 

Israeliani che lavorano assieme ai palestinesi 

Dall’inizio della guerra però, è diventato sempre più difficile lavorare insieme ai palestinesi. Prima del sette ottobre, ogni venerdì pomeriggio veniva fatta una manifestazione per chiedere la liberazione del quartiere di Sheikh Jarrah, adesso non è più possibile. “La polizia israeliana è diventata molto più più violenta, i coloni sono armati, e chiunque scenda in piazza viene arrestato”, spiega Sam. Qualche giorno fa a Gerusalemme è stata fatta la seconda protesta dall’inizio della guerra. “Eravamo palestinesi, ebrei israeliani e internazionali, tutti insieme per chiedere il cessate il fuoco e la fine del genocidio a Gaza. Hanno picchiato anche me” racconta. “Penso che dopo il sette ottobre siano cambiate tante cose, quella data ha segnato un punto di non ritorno. Ma credo fermamente che scendere in piazza insieme ai palestinesi per ciò in cui crediamo, sia ancora possibile. Vogliamo la stessa cosa: una terra di pace ed eguali diritti”. Intanto a Sheikh Jarrah sta tramontando il sole, Nabil rientra in casa. Due ragazzi della famiglia di coloni invece escono, calpestano il muretto d’entrata che qualche giorno prima avevano distrutto e superano quel che resta degli ulivi della famiglia Al Kurdi, anch’essi devastati dalla violenza cieca dell’occupazione.

Lidia Ginestra Giuffrida di Lidia Ginestra Giuffrida   
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