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Vi racconto come si vive a Ramallah dove l'esercito israeliano decide chi può entrare e uscire dalla città. Il reportage

Ma non solo. “Da tre mesi le incursioni dell’esercito sono aumentate tantissimo. Quasi ogni notte entrano in città sparano e arrestano chiunque”, raccontano alcuni residenti

Lidia Ginestra Giuffrida di Lidia Ginestra Giuffrida   
Vi racconto come si vive a Ramallah dove l'esercito israeliano decide chi può entrare e uscire...
Foto Lidia Ginestra Giuffrida

Il reportage da Ramallah di Lidia Ginestra Giuffrida

Oggi niente scuola, le strade sono bloccate. Sono triste, vorrei solo ricominciare ad andare a scuola”, dice Leen sconfortata mentre fa colazione. Leen (nome di fantasia) ha sette anni e vive a Ramallah. Dall’inizio della guerra a Gaza per lei è sempre più difficile frequentare le lezioni, per lei come per tanti bambini e bambine che vivono nella capitale, de facto, della Palestina.

Da due settimane un nuovo cancello blocca la strada all’ingresso di Birzeit, una cittadina a nord di Ramallah, che collega la capitale alla città di Rawabi e a diversi villaggi, compresa una scuola. Quella di Leen. Questo blocco stradale, come qualsiasi checkpoint in Cisgiordania, è controllato dai militari israeliani. Sono questi ultimi, quindi, a decidere quando e come i bambini possono accedere alla scuola e gli abitanti di Ramallah uscire dalla città, negando ai palestinesi la libertà di movimento più di quanto già non fosse limitata prima del sette ottobre.

Ramallah si trova nella zona A della Cisgiordania, il che significa che è gestita sia militarmente che amministrativamente dai palestinesi, l’occupazione militare israeliana qui si è sempre sentita meno rispetto ad altri luoghi che, invece, si trovano in zona b (con amministrazione palestinese ma militarizzazione israeliana), come Betlemme, o peggio in zona c (militarizzata e amministrata dagli israeliani). Sede dell’Autorità Palestinese, dopo l’inizio della guerra, anche qui a Ramallah la vita è diventata sempre più difficile.

Foto Lidia Ginestra Giuffrida

Da tre mesi le incursioni dell’esercito sono aumentate tantissimo. Quasi ogni notte entrano in città sparano e arrestano chiunque”, raccontano alcuni residenti. Nella notte di domenica l’esercito israeliano è entrato con i mezzi militari in pieno centro città, in quella di lunedì hanno replicato arrestando tre persone e ferendone una. “Ci aspettiamo che accada ciò che sta succedendo a Gaza anche qui - dicono in città - prima o poi finiremo anche noi rifugiati in una scuola”.

La vita quotidiana è scandita dal ritmo del sole. Il tramonto sancisce il ritorno a casa, con il buio diventa pericoloso restare in giro, la città si svuota e i negozi chiudono. Anche di giorno per le strade non c’è più la grande quantità di gente che ha sempre caratterizzato Ramallah. Ciò che si vede adesso sono lunghe file di macchine in attesa che l’esercito israeliano decida di farle passare.

Qualcuno al centro apre lo stesso, c’è chi prepara il pane, chi i falafel, nessun turista in giro, solo palestinesi che con fatica provano a condurre una vita normale nonostante l’escalation della guerra qua si traduca nell’impossibilità pratica di fare le cose di tutti i giorni.

Non sappiamo cosa sarà di noi ma cominciamo a perdere le speranze, siamo stanchi. La nostra vita non ha valore”, racconta Jamal (nome di fantasia), insegnante di Ramallah, “vedere cosa sta succedendo a Gaza ci deprime, siamo tutti in lutto”.  In qualsiasi caffè c’è Al-Jazeera accesa 24 ore su 24, non si parla d’altro che di morte e cosa succederà domani è un argomento sconosciuto. Sembra impossibile continuare a progettare, ad andare a scuola, a lavorare. “Ci hanno levato tutto, anche la speranza”, continua l'insegnante, “ci sentiamo sempre sotto controllo, decidono loro se non andremo a scuola, se non andremo a lavoro, decidono loro la nostra vita. Viviamo in un perenne stato d’ansia”.

Nell’incertezza del domani a Ramallah, tuttavia, la vita faticosamente continua. Ad influire positivamente la fortuna di trovarsi in una zona ben più sicura rispetto ad altre, ad aiutare la gente la perseveranza tipica dei palestinesi. Quella che loro chiamano “Sumud”.

Foto Lidia Ginestra Giuffrida
Lidia Ginestra Giuffrida di Lidia Ginestra Giuffrida   
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