[L’analisi] Il trionfo di Putin, nuovo zar della Mezzaluna fertile
La Conferenza di Sochi non solo non rappresenta un fallimento, ma al contrario si rivela un vero e proprio successo per Vladimir Putin, che in questo modo ottiene il doppio risultato del riconoscimento della continuità del regime di Bashar al Assad e contemporaneamente pone fine al ruolo unilaterale degli Stati Uniti in Medio Oriente

I media occidentali l’ hanno sostanzialmente ignorata, bollandola come un flop, una farsa chiusa in tutta fretta dagli organizzatori russi per le le defezioni di una parte delle opposizioni siriane e per le contestazioni di alcuni delegati durante i lavori. In realtà la Conferenza di Pace di Sochi, sul Mar Nero, ha messo alcuni punti fermi fondamentali sul processo di pace in Siria, con il via libera sostanziale di Turchia e Iran, grandi partners dell’iniziativa sponsorizzata da Mosca, e con l’assenso di oltre 1400 delegati rappresentanti del governo legittimo siriano e delle opposizioni riconosciute all’interno del paese. Punti fermi di cui, per stessa ammissione dell’ inviato delle Nazioni Unite Staffan De Mistura, presente martedì scorso a Sochi come osservatore, non si potrà non tener conto nei paralleli colloqui sotto egida Onu in programma a Ginevra entro fine anno .
Fra le più importanti risoluzioni adottate durante la Conferenza di Sochi c’è li riconoscimento dell’integrità territoriale della Siria come stato sovrano, che preserva interamente i confini ante guerra del 2011 ponendo fine quindi al disegno accarezzato a lungo durante il conflitto di smembrare il paese in diverse zone d’influenza sotto l’egemonia degli alleati del Golfo e della stessa amministrazione di Washington. Questa ipotesi non è più sul campo, spazzata via dall’intervento russo-iraniano che ha capovolto le sorti già segnate di Bashar al Assad.
Tant’è che ora- è questo l’oggetto della seconda importante decisione presa nel tavolo di Sochi- sarà proprio il il governo di Damasco a gestire la transizione verso il futuro assetto dello stato siriano. La Costituzione siriana sarà rivista e discussa da un comitato costituzionale composto da 150 membri, formato da una rappresentanza di esponenti governativi e dell’opposizione. Le decisioni del Comitato avranno valore consultivo, ma rappresentano la base di partenza da cui potranno essere ripresi i negoziati di Ginevra nel prossimo futuro.
Il trionfo di Putin, nuovo zar della Mezzaluna fertile
Da questo punto di vista la Conferenza di Sochi non solo non rappresenta un fallimento, ma al contrario si rivela un vero e proprio successo per Vladimir Putin, che in questo modo ottiene il doppio risultato del riconoscimento della continuità del regime di Bashar al Assad in preparazione del processo di riforme in Siria come manifestazione della preponderante egemonia di Mosca e contemporaneamente pone fine al ruolo unilaterale degli Stati Uniti in Medio Oriente, stretti tra l’alleanza di ferro con Israele e le monarchie del Golfo e relegati in Siria alla presenza militare nel nord-est del paese (nelle aree ad influenza curda fra Deir El Zor e Mambiji), dove però è altissimo il rischio del contatto diretto con le forze alleate turche impegnate nell’offensiva di Afrin, più a Sud.
Sochi non rappresenta quindi il tentativo di sostituire i colloqui di Ginevra, quanto piuttosto l’affermazione tangibile dei rapporti di forza e della situazione “de facto” nel nuovo scenario della Mezzaluna fertile, di cui il consesso internazionale dell’Onu sarà chiamato a prendere atto, salvo un rimescolamento che però potrebbe avvenire soltanto con una ripresa delle armi, al momento improbabile per tutti. Tale è la consapevolezza del suo trionfo a Sochi, che Putin non si concede persino il gusto della provocazione nei confronti del miglior alleato di Washington, quando il consesso dei delegati si dichiara d’ accordo sulla liberazione delle alture del Golan occupate dal 67 ai confini con Israele.
Il sogno dei curdi tradito ancora una volta
Ma se da un lato la Conferenza di Sochi stabilisce il diritto del popolo siriano di decidere il proprio destino e di scegliere il proprio presidente con elezioni democratiche, per nulla scontato appare invece il riconoscimento del popolo curdo all’ indipendenza o ad una qualche forma di autonomia, nonostante il decisivo impegno profuso sul campo in questi anni contro le forze dell’Isis.
Ancora una volta, a cent’anni di distanza dal trattato di Sevres che smembrò l’impero ottomano, i curdi si vedono voltare le spalle dalle grandi potenze occidentali che li hanno usati ed illusi, sacrificandoli alle ragioni della real politik. Ai delegati delle forze dell’Unità di Protezione Popolare YPG e ai rappresentanti del Partito dell’Unione democratica (PYD) non è stato consentito di nemmeno di partecipare al tavolo per la pace, per il veto della Turchia che osteggia fortemente la riunificazione del Rojava e con l’attacco di Afrin punta alla creazione di una zona di sicurezza fra il proprio territorio e il Kurdistan siriano. L’Europa come sempre resta a guardare. Gli Stati Uniti, grandi sponsor dell’ YPG in funzione anti ISIS, dopo essersi spinti a dichiarare l’intenzione di costituire, al termine della guerra una grande forza di interposizione al confine nord della Siria formata da 30 mila miliziani curdo-siriani, ora si trovano nella scomoda posizione fra questi e l’alleato turco della Nato, che considera le forze curde niente più che terroristi da eliminare. Anche la Russia resta a guardare, dopo aver rinsaldato i suoi legami commerciali con la Turchia che comprende il progetto del passaggio di una grande pipeline di idrocarburi verso l’ Europa.
Non rimane che sperare nei negoziati di Ginevra, ma la storia a tende a ripetersi in modo beffardo.