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L’allarme per i minori non accompagnati: sono circa 5mila i bambini arrivati finora

Tanti minori, pochi fondi, scarso coordinamento. Cosa non funziona nell’accoglienza dei profughi ucraini. Le iniziative di solidarietà dei comuni italiani lanciate da Ricci all’assemblea di Ali

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
L’allarme per i minori non accompagnati: sono circa 5mila i bambini arrivati finora

L’ultima, e più grave, preoccupazione riguarda i minori non accompagnati – cioè i bambini privi di famiglia al seguito – che arrivano dall’Ucraina. Se non presi in carico dalle istituzioni rischiano di finire in mano a trafficanti di organi, vittime di tratta o entrare nel business degli affidi e delle adozioni. Una preoccupazione che il ministro all’Interno, Luciana Lamorgese, che ieri è intervenuta all’assemblea nazionale di Ali (2500 enti tra comuni, province, regioni e comunità montane, presidente il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci) ha ben presente. Già nei giorni scorsi, infatti, la ministra aveva acceso il faro, chiedendo “massima attenzione sui minori non accompagnati” che arrivano dall’Ucraina, “una preoccupazione che ho condiviso con il console ucraino. Serve la garanzia che non vadano dispersi. I nostri prefetti saranno in prima linea”.  

La ministra lo dice, ovviamente, in modo pacato, ma non per questo con minore preoccupazione: “Ci vuole la garanzia – spiega - che i minori non accompagnati ucraini non si disperdano sul territorio. Non dobbiamo correre il rischio di creare sistemi di welfare alternativo, è importante seguire il loro percorso che coinvolge anche il Tribunale per i minorenni. Bisogna accendere un faro su questo: occorre una cautela maggiore”.  

Una crisi umanitaria senza precedenti, dunque, è ancora più delicata per i bambini, più vulnerabili: da soli, senza genitori, più spesso affidati proprio da quest'ultimi a un amico, un conoscente o persino a sconosciuti, i soldati alla frontiera, purché si mettano in salvo e, quindi, molti di essi, rientranti nella categoria a rischio di “minori non accompagnati”. Da qui l’allarme. Un allarme condiviso dai comuni, specie i più piccoli. “C'è molta preoccupazione - ha detto Stefania Proietti, presidente della Provincia di Perugia e responsabile dell’Upi per le politiche dei migranti minori, intervenendo alla cabina di regia convocata dalla ministra degli Affari regionali, Maria Stella Gelmini, insieme alla Lamorgese, al ministro dell'Istruzione, Patrizio Bianchi e al capo della Protezione civile Fabrizio Curcio - rispetto alla cura e ai servizi che dobbiamo garantire ai tantissimi bambini minori accompagnati e non, in fuga dalla guerra. Occorre una mappatura certa dei dati di ingresso dei minori che arrivano dall'Ucraina per organizzare al meglio l'accoglienza sia dal punto di vista sanitario che scolastico. I Comuni, soprattutto i piccoli, non sono in grado di rispondere all'emergenza senza un supporto economico e di personale, in particolare per l'inserimento scolastico di bambini e ragazzi, che ha costi elevatissimi, considerando che le spese che gravano sulle casse dei Comuni comprendono anche quelle per mense e trasporti".  

In ogni caso, emerge dai dati raccolti dal Viminale e sempre dalla Lamorgese, che “tutti i minori che varcano la frontiera vengono identificati" e che si sta lavorando a un "completo censimento" degli arrivi. Sono infatti più di 5mila i bambini che hanno già avuto un primo contatto con le nostre istituzioni scolastiche, ma “risultano inseriti nel circuito dell'accoglienza 277 minori di cui 192 presso famiglie autorizzate dal Tribunale dei minorenni e 82 in strutture autorizzate sempre dal Tribunale dei minorenni''. Insomma, sui bambini, ancora molto è il da farsi.  

I dati aggiornati sui profughi arrivati in Italia  

Sempre la Lamorgese e sempre nell’ambito del dibattito-talk organizzato ieri dall’assemblea di Ali (Associazione Autonomie per l’Italia) ha dato dei nuovi numeri, aggiornati, sull’accoglienza dei profughi ucraini. Rispetto a solo tre giorni fa (quando erano 61.493 i profughi ucraini: 31.502 donne, 5.400 uomini e, appunto, 24.591 minori) oggi sono circa 67mila i profughi ucraini già arrivati in Italia, di cui il 90 per cento tra minori e donne, e nel sistema dell’accoglienza ce n’è un numero limitatissimo, sotto i 5mila, “perché – spiega - hanno fatto molto ricorso a soluzioni di accoglienza dai propri parenti e amici ucraini” soggiornanti, una comunità di 250mila persone.  

Il flusso di arrivi, peraltro, è in leggero decremento: finora era di 3-4000 persone al giorno, ma "da ieri abbiamo notato un decremento perché ne sono arrivati circa 1.600", "un dato che hanno riscontrato anche gli altri colleghi europei: ciò non toglie che, laddove dovesse essere toccata anche Odessa, o Leopoli, allora i flussi ricomincerebbero nuovamente in maniera massiccia". Insomma, tornare a crescere.  

La doppia proposta di Ricci a nome di Ali: risorse dirette ai Comuni e gemellaggi 

Nella sua relazione introduttiva all’assemblea nazionale di Ali, che si sta tenendo a Firenze, il presidente, e sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, ha lanciato due proposte concrete, a nome di Ali, per agevolare l'accoglienza dei profughi ucraini.

"Se vogliamo sostenere l'accoglienza proponiamo di dare le risorse direttamente ai Comuni, così come è avvenuto nell'emergenza Covid con i buoni spesa” ha proposto Ricci. “Nel giro di una settimana, Comune per Comune, individueremo i criteri giusti, evitando i furbetti. E' la proposta più efficace per evitare che l'accoglienza diventi emergenziale". Il motivo di questa proposta è presto detto: "la permanenza dei profughi si allungherà e abbiamo visto che i due sistemi classici che abbiamo utilizzato fino a adesso, il sistema dei Cas delle prefetture e il sistema Sprar nei Comuni - argomenta Ricci - non sono sufficienti nei numeri. Inoltre, nonostante i meccanismi attivati, l'80% dei profughi viene ospitato nelle abitazioni", spesso presso parenti o conoscenti già immigrati in Italia per lavoro. Ecco perché la richiesta di aiuti diretti, forniti dallo Stato ai comuni, in prima linea nell’accoglienza a gestire l’emergenza profughi.  

L’altra proposta di Ali è una forma di (bella) solidarietà a distanza. "Lanciamo la campagna ‘Comune adotta Comune’ - spiega Ricci - ogni Comune iscritto ad Ali adotterà una città ucraina, simile per dimensioni geografiche, demografiche e caratteristiche socioeconomiche. Come Pesaro adotteremo Kharkiv, città della musica come noi. E' una proposta per convogliare gli aiuti direttamente in quei Comuni e magari per aiutarli nei prossimi mesi quando ci sarà da ricostruire".  

Nei prossimi mesi – questo l’obiettivo di Ali – gli aiuti, al pari dei gemellaggi della campagna ‘Comune adotta Comune’ potranno “aiutare quei Comuni ucraini a ripartire, a ricostruire una scuola, un teatro, una biblioteca, quei luoghi che noi custodiamo in maniera preziosa e oggi sono chiusi o distrutti dai bombardamenti”. I comuni ucraini hanno un'organizzazione diversa, con 461 città e 881 insediamenti urbani, senza Comuni, un numero che equivale a quello dei Comuni di Ali.  

“Il criterio” - chiarisce il presidente nazionale di Ali - sarà che "ogni Comune, in contatto con la Farnesina, ne adotti uno ucraino per dimensioni geografiche, demografiche, caratteristiche socio-economiche o vicinanza culturale. Noi come Pesaro, ad esempio, prenderemo Kharkiv, nonostante sia molto più grande di Pesaro, perché come noi è città della musica Unesco e già stiamo ospitando i primi musicisti che suoneranno nell'orchestra cittadina". Come la storia di una bambina di 9 anni, Diana Dvalishvili, scappata con la famiglia dai bombardamenti russi su Kharkiv, dove c'era la sua scuola di pianoforte, e ora studentessa al Conservatorio Rossini di Pesaro. Una storia che ha già commosso l’Italia con il video di una ragazza che suona talentuosa per dimostrare non bravura, ma il grido di dolore.  

Un sistema di accoglienza, quello basato su Cas e Sai, che rischia presto il collasso  

Ma quando si saturerà il sistema di accoglienza del nostro Paese? Partiamo da alcuni dati.

Il piano per l’accoglienza dei profughi ucraini parte da 91.500 posti. Oltre alle 16.500 nuove disponibilità ricavate nei Cas (centri di accoglienza straordinaria) e nel Sai (sistema accoglienza e integrazione), gestiti dai Comuni, il decreto legge varato il 28 febbraio dal Consiglio dei ministri prevede di coprire interventi per altre 75mila persone. E un rimborso a Regioni e Province autonome per l’accesso ai servizi sanitari fino ad almeno 100mila ucraini in fuga dalla guerra. Morale, quando si arriverà a 100 mila arrivi (e oggi siamo già a 67 mila) il sistema saturerà, rischiando il collasso, considerando che si stima un flusso di arrivi in Italia fino a oltre 700mila persone.

Quella degli ucraini è una situazione molto diversa rispetto a quelle osservate negli ultimi anni. Oltre a non aver bisogno del visto per una permanenza fino a tre mesi, i cittadini ucraini possono richiedere un permesso temporaneo di un anno (prorogabile fino a due, di sei mesi in sei mesi) e possono entrare nel sistema di accoglienza senza essere dei richiedenti asilo.  

L’ultimo decreto Ucraina prevede – in aggiunta ai posti già ricavati nei Cas e nel Sai – ulteriori forme di accoglienza individuate dalla Protezione civile, in collaborazione con gli enti del Terzo settore, per 15mila persone, fino al 31 ottobre 2022. Gli altri profughi ‘toccano’ ai Comuni. Le risorse messe a disposizione sono 428 milioni di euro per il 2022, che vanno ad aggiungersi ai 12 milioni già stanziati in precedenza in altri decreti. 

Chi non è ospitato in famiglia (la maggioranza) viene inserito nel sistema di accoglienza, formato da Cas, i centri di accoglienza straordinaria, e dal Sai. I Cas, grandi centri gestiti dalla prefettura, che dovrebbero essere straordinari, sono diventati la misura ordinaria. Il Sai, invece, il sistema di accoglienza diffusa sul territorio gestito dai comuni, ospita circa un terzo dei richiedenti asilo. I primi offrono pochi servizi oltre a vitto e alloggio, il Sai garantisce l’assistenza sanitaria, sociale, psicologica, la mediazione linguistico-culturale, l’insegnamento della lingua italiana, oltre a favorire la rete di relazioni sul territorio.  

Il coordinamento va alla Protezione civile  

Il coordinamento è stato assegnato al dipartimento della Protezione civile diretto da Fabrizio Curcio, cui comporta il compito di definire due nuove forme di accoglienza diffusa, ritenute le più adatte alla tipologia di persone in fuga dalla guerra, quasi tutti donne e bambini che stanno trovando ospitalità a casa di amici e parenti. Per 60.000 profughi che provvederanno autonomamente alla loro sistemazione è previsto un contributo (che dovrà essere quantificato in relazione al nucleo familiare) che verrà versato direttamente, per un periodo di 90 giorni, alle persone che chiedono protezione internazionale.  

Altri 15.000 posti verranno invece trovati attraverso la rete delle associazioni del Terzo settore, degli enti di volontariato, delle Ong, delle comunità religiose che prenderanno in carico i profughi anche ospitati in casa dalle famiglie che hanno dato la loro disponibilità e di cui si dovranno vagliare i requisiti. Saranno comunque le associazioni, che riceveranno dallo Stato il contributo giornaliero (intorno ai 35 euro) per ogni profugo ad assicurare (fino al 31 ottobre) gli stessi servizi che vengono forniti a chi è ospite dei centri di accoglienza. Le modalità di questa nuova forma di ospitalità diffusa e del sostegno economico che verrà poi girato alle famiglie per i costi sostenuti dovranno essere ancora definite dalla Protezione civile che nei prossimi giorni emetterà ordinanze con le indicazioni da seguire.  

La pressante richiesta delle Regioni allo Stato  

Il decreto risponde così anche alla pressante richiesta delle Regioni di un contributo per le spese di assistenza sanitaria per complessivi 100.000 posti, dunque 17.000 in più rispetto agli 83.000 per i quali è già prevista l’ospitalità. Una manovra per coprire i costi sanitari anche per quei rifugiati che hanno autonome possibilità di sussistenza ma ai quali va comunque garantita assistenza sanitaria come a tutti i cittadini.  

Aiuti che verranno costantemente rimodulati a seconda della reale entità dei flussi dall’Ucraina ma anche delle esigenze di sostegno che potrebbero venir meno dopo un certo periodo. Chi dovesse essere in grado di mantenersi da solo uscirà dalla rete del sostegno. Altri 7,5 milioni sono poi stati stanziati dal ministero dell’Interno per potenziare la rete dei centri di accoglienza dove attualmente sono disponibili 8.000 posti.  

Una prima risposta del governo alla pressante richiesta di aiuto di molti amministratori locali soprattutto in quelle Regioni, come l’Emilia Romagna (13.000) e la Lombardia (12.000), dove si concentra il maggior numero di profughi, quasi la metà dei 53.000 arrivati fino a una settimana fa. Ma sono già molti i Comuni, come per esempio Rimini, dove i centri di accoglienza hanno esaurito i posti disponibili e da giorni donne e bambini arrivati dopo lunghissimi viaggi sono costretti ad altre attese e code per regolarizzare la loro posizione e ricevere assistenza sanitaria. Una situazione al collasso.  

La strutture sono già in overbooking, con hub di prima accoglienza da cui passano da 500 a mille persone al giorno, prefetti alla disperata ricerca di nuovi posti in attesa delle ordinanze del dipartimento della Protezione civile che nei prossimi giorni disciplinerà modi e costi delle nuove forme di accoglienza diffusa: un contributo diretto (da 600 a 900 euro come accadde per il terremoto) per tre mesi per 60.000 persone che trovano una sistemazione autonoma e un sostegno (attraverso le associazioni del terzo settore, intorno ai 20-25 euro al giorno) alle famiglie che aprono le porte a donne e bambini.

Senza troppi problemi le operazioni di assistenza sanitaria - compresi i vaccini che non vengono rifiutati in massa come si temeva - tra le criticità immediate c’è l’assenza di psicologi, mediatori culturali, interpreti. Soprattutto per gli oltre 2.000 bambini che sono già stati inseriti a scuola.

Le proteste di chi accoglie ma è già ‘saturo’…  

Insomma, a tre settimane dall'arrivo in Italia dei primi profughi ucraini (ufficialmente già a quota 67mila), le famiglie italiane solidali che hanno aperto le porte di casa a mamme, bambini, ragazzi in fuga, cominciano a chiedere aiuto. E chi ha messo a disposizione alberghi o strutture residenziali minaccia di tirarsi indietro e lasciare in strada chi ha appena trovato un tetto, seppur provvisorio. Perché la generosità sull'onda dell'emozione è una cosa, ma il peso, economico e organizzativo quotidiano dell'accoglienza è un'altra. E i soldi e le professionalità necessarie, dai mediatori agli interpreti, agli psicologi ancora non ci sono. "Non stiamo tergiversando - spiegano dalla Protezione civile - si tratta di mettere in piedi una macchina organizzativa e amministrativa del tutto nuova. Subito dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto approvato dal consiglio dei ministri emetteremo le ordinanze attuative che regoleranno il rapporto con Regioni, Comuni e Terzo settore. Dobbiamo far quadrare il cerchio con i fondi disponibili e con l'arrivo di flussi sempre più consistenti ma non organizzati, uno spontaneismo difficoltoso”.  

Il timore di truffe e speculazioni dei ‘furbetti’  

Truffe e speculazioni, infatti, già cominciano a manifestarsi. Da quando sono state rese note le due linee di aiuti che il governo distribuirà, il contributo autonomo per tre mesi (tra i 600 e i 900 euro) ai profughi che provvedono autonomamente alla propria sistemazione e il sostegno che verrà elargito attraverso le associazioni del Terzo settore alle famiglie ospitanti (tra i 20 e i 25 euro al giorno a persona), le offerte di disponibilità si sono decuplicate. E il timore è che, nella grande corsa alla solidarietà, si celino truffe e speculazioni. Da qui l'invito della Protezione civile ai privati ad appoggiarsi ad associazioni del Terzo settore o ad enti strutturati come la Caritas che in questi giorni stanno provvedendo a distribuire le donazioni dei privati.  

Chi ha offerto camere d'albergo adesso - in vista delle festività pasquali - comincia a ritrarsi sia perché i bandi delle prefetture rischiano di non essere così vantaggiosi come pensavano, sia perché le regole vanno rispettate. La solidarietà va bene, dunque, ma va anche regolamentata.

Il Viminale ha ben presente il problema. Non a caso, sempre intervenendo all’assemblea di Ali, la Lamorgese ha detto che “Occorre lavorare sempre più in piena sinergia e fare una semplificazione e un rafforzamento del sistema di accoglienza, cercando di sollecitare gli attori locali proprio per dare un impulso ulteriore di posti da inserire nell'accoglienza, soprattutto nella rete Sai. Abbiamo ampliato sia la rete dei Cas sia la rete dei Sai, però certamente se pensiamo agli otto milioni di profughi che hanno lasciato l'Ucraina qualsiasi numero sarebbe insufficiente''.

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