Prove di laboratorio o laboratorio di prove? Le accuse di Trump al laboratorio di Wuhan
Le acque si fanno sempre più mosse e poco trasparenti, quasi torbide, nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina, o meglio tra l’Amministrazione Trump e il governo di Pechino

Le acque si fanno sempre più mosse e poco trasparenti, quasi torbide, nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina, o meglio tra l’Amministrazione Trump e il governo di Pechino.
Prove enormi
Domenica 3 maggio, intervistato nel programma This Week della rete nazionale statunitense ABC, il Segretario di Stato Mike Pompeo, l’equivalente del nostro Ministro degli Esteri, ha annunciato che vi sono “prove enormi” che l’epidemia del coronavirus sia nata in un laboratorio a Wuhan, la città simbolo della pandemia. “Ci sono prove enormi che è lì che è iniziato tutto”, ha dichiarato, per poi aggiungere rivolto a Martha Raddatz, la giornalista che lo intervistava: “Le posso dire che vi è una quantità significativa di prove che esso provenga da quel laboratorio a Wuhan”. L’ha detto e l’ha chiusa là. Nessuna spiegazione, nessuna delle prove enormi portate a sostegno.
D’altronde la stessa accusa l’aveva già mossa il Presidente Donald Trump in una conferenza stampa il giovedì precedente, 30 aprile, e anche lui non aveva fornito nessuna spiegazione a riguardo. Alla domanda su cosa lo inducesse a puntare il dito contro l’Istituto di Virologia di Wuhan, infatti, si era trincerato dietro un misterioso “non mi è consentito rivelarlo”.
La risposta la ha il Presidente
Evidentemente Trump non lo aveva rivelato neanche a Pompeo che, ancora ignaro, lo stesso giorno della dichiarazione del suo Presidente in un’intervista radiofonica a Newsradio 1040 aveva detto: “Non sappiamo se il virus provenga dall’Istituto di Virologia di Wuhan. Non sappiamo se venga dal mercato degli animali o da qualche altro posto. Non abbiamo risposte a queste domande”. Poi qualcuno lo deve aver avvertito che il Presidente riteneva che la risposta a quelle domande ci fosse eccome.
Né probabilmente Trump ne aveva discusso con il Capo di Stato Maggiore delle forze armate americane, il generale Mark Milley, che il 14 aprile in un incontro con la stampa presso il Pentagono aveva affermato che “c’é stato un attento vaglio dell’intelligence sulla questione. E questo punto posso dire che non abbiamo indicazioni chiare, sebbene il peso delle prove acquisite sembri indicare l’origine naturale. Ma ancora non lo sappiamo per certo”. Chissà se qualcuno poi ha avvertito anche lui.
Crescendo rossiniano
L’accusa di Trump e di Pompeo non sorprende. È da quando il Covid-19 è dilagato al di fuori dei confini cinesi che l’amministrazione americana punta il dito contro il governo di Xi Jinping. In un crescendo rossiniano le accuse sono passate dalla scarsa trasparenza, all’aver sottovalutato il problema, all’aver nascosto, ordito, silenziato, fino ad essere la causa diretta del virus. Un delitto colposo e non premeditato: una fuga avvenuta per negligenza o imperizia dall’Istituto di Virologia di Wuhan di un campione usato per la ricerca, o, come spesso lasciato sottintendere, creato dagli scienziati cinesi.
Come detto dallo stesso Pompeo e dal generale Milley in realtà pare che di prove forti a riguardo non ve ne siano e che anzi molto faccia propendere per una trasmissione di origine animale, il cosiddetto “spillover” o salto di specie avvenuta in natura senza il coinvolgimento di alcun tipo di laboratorio, tanto meno quello di Wuhan. Ma la possibilità che tutto tragga origine da un incidente allo stato delle cose non può essere esclusa, la sua probabilità, benché minima, non è pari a 0, e quindi perché no?
Perché no?
È un anno elettorale, nel quale Trump, che ancora a febbraio sembrava destinato ad ottenere facilmente un secondo mandato, ora si dibatte in mille problemi che ne stanno minando la popolarità. Già il fatto che nel pieno di un’emergenza che non si vedeva dai tempi della Spagnola pur essendo lui il Commander in Chief, il comandante in capo, il paese non gli si stringesse intorno aveva destato più d’una preoccupazione nel suo staff. La gestione abbastanza caotica dell’emergenza, caratterizzata da continue sparate e retromarce, polemiche con gli scienziati e con i governatori, ha fatto il resto. Fino alla disastrosa scenetta delle iniezioni di disinfettante e deli ultravioletti. Il tutto con una terribile recessione già in atto e che a novembre il giorno delle elezioni starà ancora mordendo la carne viva dell’elettorato. Dunque perché no?
Creato dall’uomo
Certo ancora meglio sarebbe ipotizzare che ci sia qualcosa di ancor più losco sotto. E così nella stessa trasmissione della ABC di cui si parlava inizialmente il Segretario di Stato Pompeo, che è pur sempre uno dei più fedeli interpreti del trumpismo, si è spinto a dichiarare che “a oggi i maggiori esperti ritengono che il virus sia stato creato dall’uomo. Allo stato delle cose non ho motivo di dubitare di tale affermazione”. Parole ferme, decise e definitive. Quasi.
Giornalismo all’americana
A quel punto Martha Raddatz la giornalista che lo intervistava non ha potuto fare a meno di ricordare al Segretario di Stato che l’Ufficio del Direttore della National Intelligence, in pratica colui che è a capo di tutte e diciassette le agenzie di intelligence americana, la settimana prima aveva rilasciato una dichiarazione in cui aveva affermato che il virus era nato in Cina e che l’opinione prevalente tra gli scienziati, il cosiddetto consensus, era che non fosse stato creato dall’uomo o geneticamente modificato. Vale la pena riportare lo scambio testualmente così come compare sul sito della ABC, trattini e ripetizioni comprese.
Raddatz: Ritiene che sia stato creato dall’uomo o modificato geneticamente?
Pompeo: Guardi, a oggi i maggiori esperti ritengono che il virus sia stato creato dall’uomo. Allo stato delle cose non ho motivo di dubitare di tale affermazione.
Raddatz: Il Suo – Il Suo Ufficio del Direttore della National Intelligence afferma che il consensus è che il virus non sia stato né creato dall’uomo né modificato geneticamente.
Pompeo: È giusto, Io – Io – Io sono d’accordo. Io ho – Io ho visto la loro analisi. Ho visto la sintesi che ha visto anche lei e che è stata resa pubblica. Allo stato delle cose non ho motivo di dubitare che ciò sia accurato.
Raddatz: Ok, solo per essere chiari, lei non ritiene che sia stato creato dall’uomo o modificato geneticamente?
Pompeo: Ho visto quello che ha affermato l’intelligence community. Non ho motivo di ritenere che abbiano preso una cantonata.
Questione di frizione
Insomma, il Sars-Cov-2 è opera dell’uomo, forse, anzi no. Avanti e indietro nel giro di pochi secondi. Non proprio la mossa più accorta per colui che è a capo della diplomazia americana e che dovrebbe interpretare una linea chiara, quella che sia, con le sue controparti, Cina in primis. A meno che naturalmente dichiarazione e sua smentita nel corso della stessa intervista non siano parte della strategia mediatica dell’Amministrazione. Ma è più probabile che al Segretario di Stato Pompeo sia scappata la frizione. Non sarebbe la prima volta.
E intanto gli scienziati…
Che poi mentre i governi battagliano, pare che invece gli scienziati lavorino insieme. O almeno questo è quel che riporta il Financial Times in un articolo dello scorso 26 aprile dal titolo “Ricercatori americani e cinesi fanno squadra nella caccia alle origini del Covid”. Tra le collaborazioni in atto c’è quella del professor Ian Lipkin, direttore del Centre for Infection and Immunity presso la Columbia University, che sta lavorando con ricercatori cinesi con il supporto dei locali centri per il controllo delle malattie infettive (CDC) per capire se il virus si fosse già manifestato in altre parti della Cina prima di essere diagnosticato a Wuhan lo scorso dicembre.
“I CDC cinesi voglio scoprire tutto il possibile sulle origini di questi tipi di virus” - ha dichiarato al Financial Times il professor Lipkin – “Condividiamo le nostre scoperte con l’intera comunità scientifica”. La controparte cinese di Lipkin è il professor Lu Jiahai della Scuola di Salute Pubblica dell’Università di Sun Yat-sen nello Guangzhou. Secondo il Professo Lu il problema con la ricerca esistente è che dipende quasi completamente dai dati dei casi registrati in ospedale mentre vi potrebbero essere persone che sono state contagiate prima di dicembre. “Una parte fondamentale del nostro lavoro è di testare in tutto il paese campioni di sangue di pazienti che sono stati affetti da polmonite a dicembre, novembre e anche prima”. L’obiettivo è quello di scoprire se vi siano stati casi di Covid-19, anche considerando il fatto che il 30-50% dei contagiati sono asintomatici.
Le buone letture fanno sempre bene
Il team sino-americano sta studiando anche campioni di sangue prelevati da animali non domestici per capire come sia potuta avvenire la trasmissione animale-uomo, ormai data per certa. D’altronde Lipkin è uno dei cinque autori del famoso articolo “The proximal origin of SARS-CoV-2” pubblicato il 17 marzo su Nature Medicine. Attraverso un’indagine del genoma del virus gli autori concludono che la trasmissione sia appunto avvenuta dall’animale all’uomo e che “è improbabile che il Sars-Cov-2 sia frutto di manipolazione di laboratorio di un coronavirus del tipo Sars-CoV”. Uno spartiacque del dibattito scientifico. Ma forse Pompeo non aveva avuto notizia dell’articolo.
Come forse non ha avuto tempo di leggere quello pubblicato on line l’11 marzo da Scientific American, una tra le più prestigiose riviste scientifiche, in cui la virologa Shi Zhengli dell’Istituto di Wuhan racconta come in una ricerca condotta appena avuta notizia dell’epidemia fosse risultato che nessuno dei campioni di Sars-Cov-2raccolti facesse il match con i campioni di virus prelevati dai pipistrelli analizzati nel corso degli anni nel laboratorio della città cinese centro della pandemia.
Prove e provette
Ma la possibilità rimane, nessuno può escludere che durante delle prove in laboratorio il virus sia sfuggito di mano e di provetta. Ma è anche vero che nessuno può escludere che altrove qualcuno abbia messo su un laboratorio per creare prove, fossero anche solo delle provette. Non sarebbe la prima volta. Chiedete ad un altro che ha fatto il Segretario di Stato: il suo nome è Colin Powell. Gli avevano promesso una pistola fumante.