[L’analisi] Il pugno in faccia di Salvini all’Europa. Migranti riportati in Libia ma è un boomerang
Secondo la denuncia del deputato di Liberi e Uguali Fratoianni, 108 profughi salvati in mare sono stati portati in Libia violando, così, la legislazione internazionale. Si tratta di “un porto non sicuro”. Ma ormai siamo abituati agli strappi repentini dell'esecutivo
Era già successo nel 2009, governo Berlusconi, ministro dell’Interno Roberto Maroni. Decine di migranti furono respinti in mare, riportati in Libia e reclusi nei Centri di detenzione dei migranti.
Gridarono alla vittoria, i leghisti del governo del centrodestra. Ma arrivò la giustizia internazionale, anche se con ritardo (nel 2012) per condannare, censurare il comportamento italiano che violava il Codice internazionale, i diritti umani perché aveva sbarcato i migranti in un Paese che non garantiva il rispetto dei diritti umani. Che non aveva sottoscritto la Convenzione di Ginevra.
Ieri, come oggi. E oggi ci risiamo. 108 migranti, salvati mentre il loro gommone era in difficoltà da un rimorchiatore italiano, Asso 28, impegnato nelle attività legate a una piattaforma petrolifera al largo delle coste libiche, sono stati sbarcati a Tripoli anche se Salvini smentisce con un post su Facebook: "La Guardia Costiera Italiana non ha coordinato e partecipato a nessuna di queste operazioni, come falsamente dichiarato da una Ong straniera e da un parlamentare di sinistra male informato".
Infatti secondo la denuncia del deputato di Liberi e Uguali Fratoianni, imbarcato su un battello di una Ong, Asso 28 invece di puntare la prua verso le coste italiane si è diretto a Tripoli. Sono settimane che la direttiva del governo italiano ha dato l’indicazione alla sala operativa di Roma di dare indicazione ai natanti che salvano vite umane di coordinarsi con la Guardia Costiera libica. Che in questo caso ha dato indicazione evidentemente di portare i migranti a terra, a Tripoli.
Un fatto Gravissimo, visto i precedenti, che potrebbe aprire un contenzioso tra il Tribunale internazionale dei diritti umani e il governo italiano, dal momento che lo sbarco dei migranti in Libia sarebbe una palese violazione della legislazione internazionale che garantisce il diritto d'asilo e che non riconosce la Libia come un porto sicuro in cui, secondo la convenzione di Ginevra, devono essere sbarcati i migranti soccorsi.
Ma ormai siamo abituati agli strappi repentini del governo Di Maio-Salvini. Dai primi giorni di luglio il Consiglio d’Europa aveva già avvertito l’Italia con una sorta di ammonizione, ricordando a Roma che "nessuna nave europea può riportare migranti in Libia perché contrario ai nostri principi". Era successo che un'altra nave di supporto a una piattaforma petrolifera, la Vos Thalassa, dopo aver soccorso dei migranti stava per consegnarli ad una motovedetta libica quando un tentativo di rivolta di alcuni dei soccorsi ha convinto il comandante ad invertire la rotta e a chiedere l'aiuto della Guardia costiera italiana che prese poi a bordo della nave Diciotti i migranti sbarcandoli a Trapani dopo l'intervento del presidente della Repubblica Mattarella.
Ora dunque, l’ennesimo strappo. Che avviene in una fase di riduzione accentuata dei flussi migratori in arrivò in Italia. Meno di diciottomila dal primo gennaio ad oggi, con la Spagna che ci supera di un migliaio di migranti in più e la Grecia che si ferma intorno ai quindicimila.
Nessuna invasione, dunque, in Europa. Ma tant’è. Il problema rimane quello della stabilizzazione della Libia. Italia e Usa si ritrovano a perorare la proposta di una Conferenza internazionale sulla Libia. Forse se da sette anni la Libia vive problemi di stabilizzazione è per la presenza di paesi stranieri, europei e del mondo arabo.
L’unica possibilità che hanno i libici per bloccare il flusso di migranti che entra nel Paese è quello di militarizzare i 400 chilometri di confini tra Niger e Libia, diventati una frontiera colabrodo. Si potrebbe anche riuscire in questa operazione di frontiere “sicure” ma il timore del governo Serraj, quello riconosciuto come legittimo dalle istituzioni internazionali, è che le stesse milizie mandate a presidiare i confini possano trasformarsi in trafficanti, pretendendo dai migranti il “pedaggio” per passare indenni la frontiera.