Rabbia e lacrime di Yousef da Gaza all'Italia: "Non sono riuscito a salvare mia figlia sotto le bombe"
Al lavoro in missione umanitaria nel nostro Paese, Hamdouna è arrivato poco prima dell'attacco del 7 ottobre. Ma ha i parenti lì e questo è il suo racconto
"Sono di Gaza, sono arrivato qui in Italia per una missione di lavoro qualche settimana prima del 7 ottobre. Ho lasciato nella Striscia la mia famiglia, i miei amici, i miei colleghi. La mia famiglia è numerosa, ho 6 fratelli e 4 sorelle, in totale siamo una cinquantina. Tutti i miei fratelli hanno perso le loro case. Tutti cercano i corpi delle persone che sono ancora sotto le macerie”, racconta Yousef Hamdouna, 42 anni, operatore della ong italiana Educaid dal 2018.
"Faccio fatica a credere a quel che viene raccontato ora"
Era a Roma mercoledì scorso in occasione della conferenza stampa ‘Emergenza Gaza: proteggere la popolazione civile, stop alla violenza’, organizzata da Amnesty International e l’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI). “Venendo qui da Rimini mi sono chiesto perchè lo stessi facendo. Sono qui perché sto cercando disperatamente vita per la mia famiglia, per i miei amici, per tutti i civili di Gaza che sono sotto le bombe e che stanno vivendo una situazione inimmaginabile. Anche io ho vissuto sotto le bombe a Gaza - continua a raccontare Yousef Hamdouna - ma faccio fatica a credere a ciò che mi viene raccontato adesso. Quello che sta succedendo è veramente terribile. A Gaza lo chiamano ‘il giorno del giudizio’".
Perché l'Europa non parla dei palestinesi?
Nessuno ha mai visto una cosa del genere. Ma sono qui anche per cercare un futuro per la mia gente, perché non sappiamo se ci sarà un futuro per più di un milione di bambini che vivono attualmente sotto le bombe”. Hamdouna dice che da Gaza si chiedono tutti dove sia il mondo di fronte a ciò che sta accadendo. La madre del giovane cooperante, una donna che già 75 anni fa era stata costretta a scappare dal villaggio in cui viveva per diventare una profuga a Gaza, e che adesso è costretta ad essere nuovamente rifugiata nella sua stessa terra, gli chiede: ‘Non sei in Europa dove c’è la democrazia e i diritti umani? Perché non parlano di noi?’, ma lui non sa più cosa risponderle.
E' una battaglia già solo dire che gli esseri umani sono tutti uguali
Youssef Hamdouna è stanco e fatica a parlare, ma sa quanto è importante farlo: “Siamo arrivati ad un livello di ingiustizia inquantificabile, questa è la verità. Io porto tanta rabbia e tanta tristezza dentro di me. Addirittura bisogna combattere, per poter dire che gli esseri umani sono tutti uguali, dobbiamo dimostrarlo prima di poterlo dire. La domanda che si fanno tutti i palestinesi è perchè il sangue di un bambino palestinese debba valere meno del sangue di un bambino che si trova in qualsiasi altra parte del mondo? Perché? E soprattutto la domanda che più mi fanno da Gaza è: quant’è il numero di morti a cui dobbiamo arrivare per porre fine a tutto ciò? cosa deve succedere ancora?”
I colleghi
“Ma i numeri non sono solo numeri, sono persone. Una mia collega è stata tirata fuori dalle macerie qualche giorno fa. Era l’unica rimasta viva della sua famiglia. Ora mi dice che non sa se è fortunata o è stata più fortunata la sua famiglia ad essersene andata. C’è Osama, un altro mio collega, una persona con disabilità, che quando gli ho chiesto come stava mi ha risposto solo: ‘siamo sfiniti di sopravvivere alle bombe, non ce la facciamo più’ e come lui, tutti non ce la fanno più.
Vivere sotto le bombe
“Stare sotto le bombe a Gaza significa attendere il momento in cui anche tu morirai, significa perdere ogni speranza. A Gaza si vive la morte continuamente, quando arriva la notte piangono tutti. Hanno paura. Sotto le bombe si fanno scelte terribili. il mio collega Kaled che è una persona disabile ha scelto di lasciare i suoi figli da una parte e di stare da solo in un’altra casa, perché mi dice: ‘Youssef diciamoci la verità fanno fatica le persone senza disabilità a sopravvivere, figurati io. Non potrei scappare. Almeno i miei figli li tengo da un’altra parte’. Si vive così a Gaza ma è difficile descriverlo. Chi non muore per le bombe muore per l’assenza di medicine. Non c’è neanche più modo di salvare i feriti in ospedale perché bombardano pure quelli”.
La perdita della figlia e i traumi del bambino
“Dal 2014 non riesco a perdonare me stesso perché non sono riuscito a salvare mia figlia sotto le bombe, non sono riuscito ad abbracciarla, solo una volta l’ho abbracciata quando l’ho presa scappando, ma non sono riuscito a guardarla negli occhi. Fino ad adesso vivo con questo immenso senso di colpa. Immaginate quello che stanno provando in questo momento i genitori di tutti i bambini morti.
I bambini che sopravvivono sono scioccati. Qualcuno mi può dire che futuro avranno? che vita faranno? Io sono stato picchiato dall’esercito israeliano mentre tornavo da scuola durante la prima intifada, ero un bambino. Nessuno mi ha mai dato una risposta al perché di quella violenza subita. Figuriamoci chi potrà mai dare una spiegazione ai bambini che sono rimasti senza famiglia in questi giorni a Gaza”.
Le richieste da Gaza
“Nella striscia vogliono la fine immediata dei bombardamenti”. Hamdouna racconta che la sorella è andata in crisi quando le ha detto che forse non ci sarebbe stato davvero il cessate il fuoco: “ha cominciato ad urlare ‘no no è vero, cerca bene le notizie’ - loro non hanno accesso alle notizie - non ci voleva credere”. “Una mia collega - continua Hamdouna - mi chiedeva cosa dovrebbero farci con gli aiuti, con il cibo, se continuano a bombardare? Gli aiuti umanitari sono fondamentali, ma diventano inutili se non si cessa il fuoco”.
La sua esperienza da cooperante
"Con la cooperazione internazionale abbiamo investito nelle persone a Gaza, io sono l’esempio di una cooperazione che è riuscita nel suo intento. Fino a vent'anni fa ero un beneficiario di progetti delle Ongs italiane, adesso sono una persona che progetta per il proprio paese, e con i suoi progetti aiuta altre persone a crescere. Investire nelle persone significa anche questo. Adesso chiediamo solo di salvare le vite delle persone. È stato distrutto tutto ma vi prego lasciateci vivere", conclude Yousef Hamdouna.