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Francesco: "Non si può cancellare la cultura russa. Con la Cina un rapporto rispettoso"

Sull’aereo di ritorno dalla Mongolia il papa chiarisce di ammirare la cultura, non l’imperialismo russo. Rinnovato appello per il disarmo mondiale.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
Papa Francesco (Ansa)
Papa Francesco (Ansa)

Francesco ammira il popolo cinese e il grande patrimonio culturale della Russia. Ancora un segnale di rispetto per la Cina e, in risposta al Governo dell’Ucraina, ribadisce che la cultura russa non si può cancellare. Nessuna difesa, dunque, dell’imperialismo. E’ paziente e tranquillo papa Francesco davanti ai giornalisti che sull’aereo di ritorno dalla Mongolia lo assediano con domande di attualità scottanti in particolare nei confronti dell’Ucraina e della Cina.

I due punti che sembrano stare al centro dell’interesse mediatico e diplomatico del momento. Francesco risponde anche su altri problemi sociali e sulle dinamiche conflittuali che lasciano intravedere il prossimo sinodo della Chiesa cattolica vivace e diviso su scelte decisive per l’attuale testimonianza cristiana. Sul significato delle sue parole ai giovani russi che hanno scosso i leader ucraini Francesco, spiega. Sulla Cina informa. La risposta più inedita e singolare la dice, però, rispondendo con tono quasi profetico alla domanda se andrà in Vietnam.

“Con il Vietnam – dice il papa - il dialogo è aperto, con i suoi più e i suoi meno, ma è aperto e lentamente si va avanti. Qualche problema c’è stato, ma è stato risolto. Un viaggio in Vietnam certamente ci sarà sia che a farlo sia lui o un suo ipotetico successore Giovanni XXIV. “Se non andrò io, - è la singolare risposta - di sicuro andrà Giovanni XXIV. È sicuro che ci sarà, perché è una terra che merita di andare avanti, che ha la mia simpatia”. Una battuta soltanto o un evocare scenari futuri non lontani? E poi buttare lì non un qualunque nome di successore, ma quello di un papa Giovanni pare evocare un predecessore che stupì tutti avviando con il concilio Vaticano II il secolare rinnovamento della Chiesa cattolica. “Sugli altri viaggi – aggiunge - c’è Marsiglia e poi c’è qualcuno in un Paese piccolo dell’Europa e stiamo vedendo se possiamo farlo ma, dico la verità, per me adesso fare un viaggio non è tanto facile come all’inizio, ci sono delle limitazioni nel camminare e questo limita, ma vediamo”.

I giornalisti scalpitano, tuttavia, su Cina e l’accusa degli ucraini al pontefice di essere un sostenitore dell’imperialismo russo. Finora nessuno aveva attaccato apertamente Francesco con un’accusa altrettanto malevola e ombrosa ricevendo dal Vaticano generici commenti. Nessuna difficoltà del papa a ribadire che evocare Pietro il Grande e Caterina II, figure centrali dell’imperialismo della Russa zarista, era solo un invito ai giovani russi a non dimenticare la grande eredità culturale del loro Paese. “Mettiamo dove è stata fatta la cosa- è la riposta del papa che, forse, per la gravità di un’accusa gratuita merita una citazione integrale-: un dialogo con i giovani russi. E alla fine del dialogo io ho dato un messaggio a loro, un messaggio che ripeto sempre: di farsi carico della loro eredità. Punto primo: prendete la vostra eredità. Lo stesso che dico dappertutto. E anche con questa visione io cerco di fare il dialogo tra nonni e nipoti: che i nipoti prendano l’eredità. Questo lo dico dappertutto e questo è stato il messaggio. Un secondo passo, per esplicitare l’eredità: ho detto infatti l’idea della grande Russia, perché l’eredità russa è molto buona, è molto bella. Pensa nel campo delle lettere, nel campo della musica, fino ad arrivare a un Dostoevskij che oggi ci parla di umanesimo maturo; si è fatta carico di questo umanesimo, che si è sviluppato, nell’arte e nella letteratura. Questo sarebbe un secondo piano, di quando io ho parlato dell’eredità, no? Il terzo, forse non è stato felice, ma parlando della grande Russia nel senso forse non tanto geografico, ma culturale, mi è venuto in mente quello che ci hanno insegnato nella scuola: Pietro I, Caterina II. Ed è venuto questo terzo (elemento, ndr), che forse non è proprio giusto. Non so. Che gli storici ci dicano. Ma è stata un’aggiunta che mi è venuta in mente perché l’avevo studiato a scuola. Quello che ho detto ai giovani russi è di farsi carico della propria eredità, di prendere la propria eredità, che vuol dire non comprarla altrove. Prendersi la propria eredità. E quale eredità ha dato la grande Russia: la cultura russa è di una bellezza, di una profondità molto grande; e non va cancellata per problemi politici. Avete avuto anni bui in Russia, ma l’eredità sempre è rimasta così, alla mano. Poi lei parla dell’imperialismo. E io non pensavo all’imperialismo quando ho detto quello, ho parlato della cultura, e la trasmissione della cultura mai è imperiale, mai; è sempre dialogare, e parlavo di questo. È vero che ci sono degli imperialismi che vogliono imporre la loro ideologia. Mi fermo qui: quando la cultura viene distillata e trasformata in ideologia, questo è il veleno. Si usa la cultura, ma distillata in ideologia. Questo bisogna distinguere, quando è la cultura di un popolo e quando sono le ideologie che sorgono poi per qualche filosofo, qualche politico di quel popolo. E questo lo dico per tutti, anche per la Chiesa. Dentro la Chiesa tante volte si mettono le ideologie, che staccano la Chiesa dalla vita che viene dalla radice e va in su; staccano la Chiesa dall’influsso dello Spirito Santo. Un’ideologia è incapace di incarnarsi, è idea soltanto. Ma l’ideologia prende posto e si fa politica, di solito diventa dittatura, no? diviene incapacità di dialogo, di andare avanti con le culture. E gli imperialismi fanno questo. L’imperialismo sempre si consolida in base a un’ideologia. Dobbiamo distinguere anche nella Chiesa tra dottrina e ideologia: la vera dottrina mai è ideologica, mai; è radicata nel santo popolo fedele di Dio; invece l’ideologia è staccata dalla realtà, staccata dal popolo... Non so se ho risposto”.

Poco prima aveva risposto a una domanda sul senso del suo viaggio in Mongolia centrando proprio la presenza della Chiesa come un servizio in ascolto della cultura di pace e di dialogo di quel popolo. “Perché i cristiani esprimono i loro valori cristiani anche con la cultura del proprio popolo. Questo è tutto il contrario di quella che sarebbe una colonizzazione religiosa. Per me il viaggio era conoscere questo popolo, entrare in dialogo con questo popolo, ricevere la cultura di questo popolo e accompagnare la Chiesa nel suo cammino con molto rispetto della cultura di questo popolo. E sono soddisfatto del risultato”. E come sono i rapporti con la Cina in questo momento? E ci sono novità del viaggio a Pechino del cardinale Zuppi e della missione in Ucraina? “La missione del cardinale Zuppi -risponde Francesco - è una missione di pace che io ho assegnato. E lui ha fatto un piano che prevedeva di visitare Mosca, Kyiv, Stati Uniti e anche Pechino. il cardinale Zuppi è un uomo di grande dialogo e di visione universale, lui ha nella sua storia l’esperienza del lavoro fatto in Mozambico nella ricerca della pace e per questo ho inviato lui. I rapporti con la Cina sono molto rispettosi, molto rispettosi. Personalmente ho una grande ammirazione per il popolo cinese, i canali sono molto aperti, per la nomina dei vescovi c’è una commissione che da tempo lavora con il governo cinese e con il Vaticano, poi ci sono tanti o meglio ci sono alcuni preti cattolici o intellettuali cattolici che sono invitati spesso nelle università cinesi a tenere corsi. Credo che dobbiamo andare avanti nell’aspetto religioso per capirci di più e che i cittadini cinesi non pensino che la Chiesa non accetta la loro cultura e i loro valori e che la Chiesa dipenda di un’altra potenza straniera. Questa strada amichevole la sta facendo bene la commissione presieduta dal cardinale Parolin: stanno facendo un bel lavoro, anche da parte cinese, i rapporti sono in cammino. Io ho un grande rispetto per il popolo cinese”.

Parole importanti sulle responsabilità della politica per un progresso sociale nel mondo Francesco le aveva pronunciate inaugurando la Casa della Misericordia a Ulaanbaatar: “Il vero progresso delle nazioni non si misura sulla ricchezza economica e tanto meno su quanto investono nell’illusoria potenza degli armamenti, ma sulla capacità di provvedere alla salute, all’educazione e alla crescita integrale della gente. Vorrei dunque incoraggiare tutti i cittadini mongoli, noti per la loro magnanimità e capacità di abnegazione, a impegnarsi nel volontariato, mettendosi a disposizione degli altri. Qui, presso la Casa della Misericordia, avete una “palestra” sempre aperta dove esercitare i vostri desideri di bene e allenare il cuore”. Il papa è convinto che sarà l’amore per gli altri a salvare il mondo. In altre parole lo ha ribadito sull’aereo a proposito delle periferie delle città dovesi consumano violenze e degrado simili ai recenti casi vicino a Napoli. Che fare? “Dobbiamo essere aperti a questo, - è la sua riflessione - i governi devono essere aperti, tutti i governi del mondo, ma ci sono delle periferie che sono tragiche. Torno su una periferia scandalosa che si cerca di coprire: quella dei Rohingya. I Rohingya soffrono, non sono cristiani, sono musulmani, ma soffrono perché sono stati convertiti in periferia, sono stati cacciati via…Dobbiamo interloquire con le periferie e i governi devono fare la giustizia sociale vera, la vera giustizia sociale, con le diverse periferie sociali e anche con le periferie ideologiche andare ad interloquire, perché tante volte è qualche squisita periferia ideologica quella che provoca le periferie sociali. Il mondo delle periferie non è facile".

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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