Francesco lancia una giornata di preghiera per l’Ucraina. Si svolgerà il prossimo mercoledì
Nella domenica della parola di Dio il papa invita i preti a superare le omelie che addormentano la gente e non presentano il volto di Dio vicino e liberante
Mentre sale pericolosamente il livello dello scontro tra Europa, Stati Uniti e alleati da una parte e Mosca dall’altra sulla crisi ucraina, papa Francesco ha lanciato un appello per una giornata di preghiera per mercoledì prossimo perché le ragioni della pace prevalgano su quelle della guerra. La preoccupazione e l’iniziativa di Francesco riporta alla mente un’altra crisi drammatica quando, a motivo dei missili che Mosca voleva stava per istallare a Cuba, si sfiorò un conflitto nucleare tra Stati Uniti e Unione Sovietica. In quell’occasione fu importante la diplomazia del dialogo messa in moto da papa Giovanni XXIII. Oggi alla recita dell’Angelus il papa fa capire che nel contenzioso sull’Ucraina si sta superando il livello di guardia.
“Seguo con preoccupazione – queste le sue parole - l’aumento delle tensioni che minacciano di infliggere un nuovo colpo alla pace in Ucraina e mettono in discussione la sicurezza nel Continente europeo, con ripercussioni ancora più vaste. Faccio un accorato appello a tutte le persone di buona volontà, perché elevino preghiere a Dio onnipotente, affinché ogni azione e iniziativa politica sia al servizio della fratellanza umana, più che di interessi di parte. Chi persegue i propri scopi a danno degli altri, disprezza la propria vocazione di uomo, perché tutti siamo stati creati fratelli. Per questo e con preoccupazione, viste le tensioni attuali, propongo che mercoledì prossimo 26 gennaio sia una giornata di preghiera per la pace”. La crisi ucraina si ripropone in un contesto mondiale sfilacciato sia dalle conseguenze della pandemia, sia dall’incertezza economica seguita dalla fine del conflitto in Afganistan e dalla necessità di ridisegnare la geografia delle alleanze e degli interessi nel cuore dell’Asia e del Medio Oriente. Perfino il Mediterraneo è ormai teatro di possibile scontro.
Ma la domenica della Parola di Dio, la prima celebrata da Francesco in san Pietro in mattinata e poi alla recita dell’Angelus, è significativa per il richiamo a vivere efficacemente la Parola di Dio sull’esempio di Gesù Cristo che si definisce inviato a portare la liberazione e la vicinanza di Dio agli umili, oppressi e ai gravati di ogni forma di schiavitù. L’azione di Francesco, diventata difficoltosa per la perdita di credibilità di molti cristiani – clero compreso per gli scandali sempre più estesi di pedofilia – lo spinge a richiamare la Chiesa cattolica a una genuina fedeltà alla Parola di Dio. A cominciare dal modo di predicare il Vangelo nelle omelie che hanno perduto la forza di attualizzare il Vangelo. Non è un ricordo morto nel passato, ma è una spinta per operare oggi in maniera conforme alla fede ricevuta.
“A volte - osserva il papa - capita che le nostre prediche e i nostri insegnamenti rimangono generici, astratti, non toccano l’anima e la vita della gente. E perché? Perché mancano della forza di questo oggi, quello che Gesù “riempie di senso” con la potenza dello Spirito è l’oggi. Oggi ti sta parlando. Sì, a volte si ascoltano conferenze impeccabili, discorsi ben costruiti, che però non smuovono il cuore e così tutto resta come prima. Anche tante omelie – lo dico con rispetto ma con dolore – sono astratte, e invece di svegliare l’anima l’addormentano. Quando i fedeli incominciano a guardare l’orologio – “quando finirà questo?” – addormentano l’anima. La predicazione corre questo rischio: senza l’unzione dello Spirito impoverisce la Parola di Dio, scade nel moralismo o in concetti astratti; presenta il Vangelo con distacco, come se fosse fuori dal tempo, lontano dalla realtà. E questa non è la strada. Ma una parola in cui non pulsa la forza dell’oggi non è degna di Gesù e non aiuta la vita della gente. Per questo chi predica, per favore, è il primo a dover sperimentare l’oggi di Gesù, così da poterlo comunicare nell’oggi degli altri. E se vuole fare lezioni, conferenze, che lo faccia, ma da un’altra parte, non al momento dell’omelia, dove deve dare la Parola così che scuota i cuori”.
La parola infatti svela Dio e ci porta all’uomo. Il Dio svelato dal Vangelo non è un Dio lontano ma vicino alla storia dell’uomo. “Non è un padrone arroccato nei cieli – quell’immagine di Dio brutta, no, non è così – ma un Padre che segue i nostri passi. Non è un freddo osservatore distaccato e impassibile, un Dio “matematico”. È il Dio-con-noi, che si appassiona alla nostra vita e si coinvolge fino a piangere le nostre lacrime”. Quale volto di Dio – chiede Francesco – annunciamo nella Chiesa? Un Dio liberante, vicino o “un rigido doganiere della nostra vita? La nostra è una fede che genera speranza e gioia o – mi domando, tra noi – è ancora zavorrata dalla paura, una fede paurosa? Il Salvatore che libera e guarisce o il Dio Temibile che schiaccia sotto i sensi di colpa?”. Proprio quando scopriamo che Dio è amore compassionevole, vinciamo “la tentazione di chiuderci in una religiosità sacrale, che si riduce a culto esteriore, che non tocca e non trasforma la vita. Questa è idolatria. Idolatria nascosta, idolatria raffinata, ma è idolatria”. Gesù ci rivela quale è il culto più gradito a Dio: “Prendersi cura del prossimo. E dobbiamo tornare su questo. Nel momento in cui nella Chiesa ci sono le tentazioni della rigidità, che è una perversione, e si crede che trovare Dio è diventare più rigidi, più rigidi, con più norme, le cose giuste, le cose chiare… Non è così. Quando noi vedremo proposte di rigidità, pensiamo subito: questo è un idolo, non è Dio. Il nostro Dio non è così”.
Prima di terminare l’Angelus Francesco ha ricordato la beatificazione avvenuta ieri di alcuni martiri che sono stati collaboratori del santo vescovo Romero durante la dittatura. “Ieri a San Salvador sono stati beatificati il sacerdote gesuita Rutilio Grande García e due compagni laici, e il sacerdote francescano Cosme Spessotto, martiri della fede. Essi sono stati al fianco dei poveri testimoniando il Vangelo, la verità e la giustizia fino all’effusione del sangue. Il loro eroico esempio susciti in tutti il desiderio di essere coraggiosi operatori di fraternità e di pace”.