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Nuovo tentativo per screditare il Papa. Francesco mai connivente con la dittatura argentina

Polemiche dopo l’intervista ai gesuiti d’Ungheria. Oggi udienza generale singolare con patriarca copto ortodosso Twandros

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
Nuovo tentativo per screditare il Papa. Francesco mai connivente con la dittatura argentina
Papa Francesco (Ansa)

Ferita profonda non rimarginata o leggenda nera di un Bergoglio che ritorna, secondo la quale quando era provinciale quarantenne dei gesuiti durante la dittatura dei militari, il futuro papa avrebbe denunciato due suoi confratelli poi detenuti e torturati per nove mesi per presunte connivenze con la guerriglia di un sobborgo popolare della capitale. Tutto chiarito già nel 2013 dopo l’elezione di papa Francesco, smascherate le prove inquinate che lo accusavano ingiustamente.

Ma ora il caso è rispuntato inaspettatamente durante l’incontro del papa in Ungheria con i 32 gesuiti di quella provincia della Compagnia di Gesù. “Qual è stato il suo rapporto con padre Ferenc Jálics? Che cosa è successo? Come ha vissuto in quanto Provinciale quella tragica situazione? Lei ha ricevuto pesanti accuse”. Interrogativi diretti di un gesuita. La risposta di Francesco è stata la più ampia e diretta rispetto agli altri temi pure attualissimi trattati nell’incontro: gli abusi sessuali e il perdono ai pedofili, la tentazione persistente nella Chiesa di tornare al tempo preconciliare. In particolare il papa ha consigliato di leggere i due recenti volumi di documenti sul tempo della dittatura pubblicati dalla Conferenza dei vescovi argentini per un esaustivo chiarimento.

I critici del papa dopo la pubblicazione dell’intervista sulla “Civiltà Cattolica” si sono scatenati con gratuite insinuazioni: i due volumi sarebbero stati creati con lo scopo di coprire le responsabilità del papa “il quale – scrive un arrabbiato sito antibergogliano - non dimentichiamolo, non è la prima volta che mente per uscirne pulito”.  La risposta di papa Francesco al confratello gesuita è stata dettagliata sul caso dei due gesuiti (Ferenc Jàlics e Orlando Yorio) utilizzato per infamarlo quale presunto sostenitore della dittatura e che lui ha vissuto come una leggenda nera che lo ha ferito profondamente.

Dolore che tuttora permane, nonostante ancora nel 2010 una commissione governativa durante la presidenza di Cristina Kirckner, costituita per incastrarlo, lo avesse dovuto scagionare da ogni accusa. “Alcuni del governo – commenta Francesco - volevano «tagliarmi la testa», e hanno tirato fuori non tanto questo problema di Jálics, ma hanno messo in questione proprio tutto il mio modo di agire durante la dittatura. Mi hanno, quindi, chiamato in giudizio. A me è stata data la possibilità di scegliere dove tenere l’interrogatorio. Io ho scelto di farlo in episcopio. È durato 4 ore e 10 minuti. Uno dei giudici era molto insistente sul mio modo di comportarmi. Io ho sempre risposto con verità”.

Le ferite di quegli anni lontani sono rimaste dal momento che si è trattato di una vera e propria “persecuzione”. Jálics e Yorio “sono stati presi dai militari, la situazione che si viveva in Argentina – ricorda il papa - era confusa e non era per nulla chiaro che cosa si dovesse fare. Io ho fatto quel che sentivo di fare per difenderli. È stata una vicenda molto dolorosa”. In genere si dà per scontato che per un papa sia tutto facile e invece così non è: tutto è più difficile. Francesco lo lascia trasparire nelle risposte ai gesuiti d’Ungheria su altre questioni spinose legate al suo pontificato. Prima fra tutte la lotta alla pedofilia nella Chiesa. Norme ormai ce ne sono per gestire la questione, ma – gli chiede un confratello – è possibile amare un pedofilo?  “Non è affatto facile – risponde il papa -. Noi oggi abbiamo compreso che la realtà dell’abuso è molto ampia: ci sono abusi sessuali, psicologici, economici, con i migranti… Tu ti riferisci agli abusi sessuali. Come avvicinarci, come parlare agli abusatori per i quali proviamo ribrezzo? Sì, anche questi sono figli di Dio. Ma come si può amarli? La tua domanda è molto forte. L’abusatore va condannato, infatti, ma come fratello. Condannarlo è da intendere come un atto di carità. C’è una logica, una forma di amare il nemico che si esprime anche così. E non è facile da capire e da vivere. L’abusatore è un nemico. Ciascuno di noi lo sente tale perché ci immedesimiamo nella sofferenza degli abusati. Quando senti che cosa l’abuso lascia nel cuore delle persone abusate, l’impressione che ne ricevi è tremenda. Anche parlare con l’abusatore ci fa ribrezzo, non è facile. Ma anche loro sono figli di Dio. E ci vuole una pastorale. Meritano una punizione, ma insieme anche una cura pastorale. Come farlo? No, non è facile. Hai ragione”. Ultimo interrogativo riguarda il rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno avviato dal concilio Vaticano II.

Come potremo riconciliare la Chiesa e la realtà che è già oltre il moderno? “Non saprei come risponderti teoricamente, - osserva Francesco - ma certamente so che il Concilio è ancora in via di applicazione. Ci vuole un secolo perché un Concilio sia assimilato, dicono. E so che le resistenze sono terribili. C’è un restaurazionismo incredibile. Quello che io chiamo «indietrismo», la reazione contro il moderno. È una malattia nostalgica. Questo è il motivo per cui ho deciso che ora è obbligatorio ottenere la concessione di celebrare secondo il Messale romano del 1962 per tutti i nuovi preti appena consacrati. Dopo tutte le consultazioni necessarie, l’ho deciso perché ho visto che quella misura pastorale ben fatta da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI veniva usata in modo ideologico, per tornare indietro. Bisognava fermare questo indietrismo, che non era nella visione pastorale dei miei predecessori”.

Nonostante tutto questo rovistare negli stracci per poterlo accusare, Francesco persevera nel suo progetto riformista. Lo ha dimostrato anche oggi con una spettacolare udienza generale in Piazza san Pietro sotto gli ombrelli per la pioggia che è stata molto singolare: la prima con un carattere ecumenico. Con Francesco infatti, sedeva Tawadros II, patriarca copto ortodosso invitato dal papa in occasione del cinquantesimo anniversario dello storico incontro tra Papa Paolo VI e Shenouda III. Molta cordialità tra i due che al termine dell’udienza hanno benedetto la gente. Più volte nel corso dell’udienza generale è stata ricordatala guerra in Ucraina e Francesco ha chiesto una speciale preghiera per le donne e i bambini di quel martoriato Paese. Quanto ancora dobbiamo viaggiare?” per giungere all’unità piena, si è chiesto il papa. “Che l'amore fraterno e l'amicizia che uniscono le nostre Chiese – è stata la comune conclusione - continuino a crescere fino al giorno benedetto e desiderato in cui potremo celebrare insieme sullo stesso altare e ricevere dallo stesso calice, ‘perché il mondo creda’".

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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