Francesco in Canada per raddrizzare la storia: il senso di un viaggio penitenziale
Salito in aereo con la carrozzella, il papa straccia i pregiudizi e punta a ripristinare la fraternità con le popolazioni indigene vittime del colonialismo culturale. Visiterà le città di Edmonton, Québec ed Iqaluit

Tra i 37 viaggi apostolici di Papa Francesco nei suoi 10 anni di pontificato, quello in Canada da oggi a sabato prossimo (24-30 luglio) è, forse, il più simile dal punto di vista emblematico a quello a Lampedusa, il primo e di un sol giorno, pochi mesi dopo la sua elezione nel 2013. Entrambi viaggi penitenziali, simbolici, per andare a chiedere perdono di sbagli collettivi cattolici nei confronti dei poveri, degli ultimi, degli emarginati causati dalla cultura colonialista e presuntuosa dominante nell’Occidente sviluppato e ricco. A Lampedusa Francesco gettò in mare una corona di fiori per onorare le migliaia di immigrati morti e dimenticati negli abissi del Mediterraneo, definito allora dal papa il più grande cimitero a cielo aperto. In Canada va per incontrare le tre popolazioni originarie di quel grande Paese – Inuit, Métis, Prime Nazioni – sottoposte fino al secolo scorso a una dura pratica colonialista tesa a cancellare ogni vestigia della loro cultura. A questo si prestarono anche opere e strutture educative religiose e cattoliche con metodi coercitivi e abusi di ogni genere. Francesco aveva già ricevuto in Vaticano la scorsa primavera delegazioni di questi tre popoli indigeni accompagnati dai loro vescovi e aveva chiesto perdono per tanta violenza, ma fin da quando nel 2018 vennero alla luce le prime fosse comuni delle vittime di questo spietato colonialismo paternalista ha capito di trovarsi davanti a delitti vasti e frutto della cultura dell’abuso, analoghi alla pedofilia che solo una presenza personale nei luoghi dell’orrore poteva attutire, avviando un percorso di guarigione nella società e nella Chiesa.
Girare pagina su eredità oscure e antievangeliche del passato remoto e prossimo, riconoscendo i propri errori è una componente essenziale del pontificato di Bergoglio che ha ridato onore e dignità ai poveri e alle vittime di soprusi e violenze. Il viaggio in Canada si pone in tale cornice e per questo assume il valore di cartina di tornasole della reale conversione della Chiesa cattolica decisa a muoversi in armonia con lo spirito evangelico del concilio Vaticano II. Un viaggio rimasto in bilico per via del ginocchio dolorante, ma che Francesco ha voluto fare a tutti i costi - usando per la prima volta in un viaggio anche la carrozzella come qualsiasi disabile motorio - per il valore simbolico della sua parola data agli indigeni di andare a trovarli, vederli nel loro habitat, rivivere insieme la tragedia degli oltre 150 mila bambini indigeni costretti alla frequenza di scuole residenziali, affidate dal governo alle Chiese cristiane (cattolica, protestante, anglicana) tra il 1870 e il 1996 quando fu chiusa l’ultima scuola dell’assimilazione forzata della cultura coloniale.
Le “First nations” rappresentano la comunità predominante di indigeni nella parte meridionale del Canada, gli Inuit fanno parte di uno dei gruppi principali che abitano la zona artica; e i Métis, situati nell’area più occidentale del Paese, sono i meticci discendenti dall’unione fra indigeni ed europei. “Camminare insieme” a queste popolazioni lungo la strada della riconciliazione e della guarigione, è lo scopo del viaggio del papa rappresentato nel logo fantasioso, ispirato alla natura libera, disegnato per il viaggio dall’aborigeno Shaun Vincent. L’andare in Canada coprendo in una settimana un percorso di 30 mila chilometri non è quindi un’improvvisazione ma è stato pensato e preparato a lungo con tappe successive come si conviene a un pellegrinaggio penitenziale. Nove gli interventi previsti tra discorsi e omelie che papa Francesco pronuncerà in spagnolo nell’arco di sei giorni. Due le messe: la prima in uno stadio ad Edmonton il 26, festa dei santi Gioacchino e Anna, genitori della Beata Vergine Maria, con una particolare intenzione per i nonni; la seconda al santuario nazionale di Sainte Anne de Beaupré, Québec, il 28, “per la riconciliazione”.
“Ho manifestato il mio dolore e la mia solidarietà per il male che hanno subito” aveva detto il papa alle delegazioni indigene ricevute in Vaticano: “Ve l’ho detto e lo ripeto: provo vergogna, dolore e vergogna per il ruolo che diversi cattolici, in particolare con responsabilità educative, hanno avuto in tutto quello che vi ha ferito, negli abusi e nella mancanza di rispetto verso la vostra identità, la vostra cultura e persino i vostri valori spirituali. Tutto ciò è contrario al Vangelo di Gesù”. “È purtroppo ancora molto diffusa questa mentalità coloniale. Aiutiamoci insieme a superarla”. Il papa in sostanza chiede alle popolazioni indigene a condividere attivamente con l’intero Paese la costruzione di un futuro diverso. Per Francesco “un efficace processo di risanamento richiede azioni concrete” e per questo incoraggia vescovi e cattolici “a continuare a intraprendere passi per la ricerca trasparente della verità”, “per promuovere la guarigione delle ferite e la riconciliazione”. Proprio alla vigilia del viaggio il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato e primo collaboratore di Francesco ha riassunto il fulcro di questo viaggio “molto desiderato, al centro del quale ci sarà l’abbraccio con le popolazioni indigene e con la Chiesa locale. Come il Santo Padre ha ricordato domenica scorsa, dicendo: "Verrò tra voi soprattutto nel nome di Gesù per incontrare e abbracciare le popolazioni indigene".
In più occasioni, rileva Parolin, Francesco “ha manifestato una grande attenzione nei riguardi delle popolazioni autoctone: penso a diverse visite nei suoi viaggi, a numerosi incontri avuti in Vaticano e anche all’Esortazione apostolica Querida Amazonia. Nel caso delle popolazioni indigene canadesi, si tratta – ha specificato sempre domenica – di un “pellegrinaggio penitenziale”, che fa seguito agli incontri avuti con alcuni loro rappresentanti a Roma tra marzo e aprile. Dopo l’ascolto e un primo incontro c’è ora dunque l’opportunità di avere una condivisione più ampia: il Papa viaggerà per diversi giorni in luoghi tra loro anche molto distanti, con il desiderio di visitare le comunità indigene lì dove vivono. È certamente impossibile rispondere a tutti gli inviti e visitare tutti i luoghi, ma il Santo Padre è sicuramente mosso dalla volontà di manifestare una concreta vicinanza. Ecco, direi che vicinanza è, anche in questo caso, la parola chiave: il Papa non intende solo dire delle parole, ma soprattutto farsi vicino, manifestare la sua vicinanza in modo concreto. Perciò si mette in viaggio, per toccare con le sue mani le sofferenze di quelle popolazioni, pregare con loro e farsi pellegrino tra di loro”. Un esempio che è sempre possibile - anche in tempi di errori, violenze, sbagli, guerre - ripartire, riparare errori, progettare insieme la pace.