Il 15 maggio dobbiamo pagare il gas a Mosca. Ma non sappiamo ancora come farlo. Il rischio chiusura
Intanto ieri Bruxelles ha varato il sesto pacchetto di sanzioni alla Russia. La Commissione deve dire in modo chiaro come dobbiamo pagare evitando di violare le sanzioni e onorando i contratti. Con il Price cap a 80 euro, subito bolletta del gas più leggera del 25%

Il nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia è arrivato. E’ il numero sei e siamo al giorno numero 70 di guerra. Ed è anche quello in cui si registra la prima vera frattura nel blocco europeo che finora si è mosso compatto e anche “veloce” rispetto agli standard di Bruxelles. Ma non basta. Soprattutto la Commissione continua a non decidere su quella che è il dossier più importante: che fare sul pagamento del gas a Mosca? Rubli non rubli; doppio conto rubli/euro; chi opera il trasferimento dal conto in euro a quello in rubli; a quale valuta viene fissato il prezzo del gas; entro quanto tempo e a quale valore di cambio per evitare speculazioni sulla valuta?
La data capestro
Il tempo corre e per l’Italia si avvicina una data capestro: il 15 maggio è la scadenza per il pagamento delle forniture a Gazprom ma ancora non sappiamo bene cosa fare. Polonia e Bulgaria si sono viste chiudere i trasferimenti di gas perchè avevano pagato in euro. Come dicono tutti i contratti in essere con Gazprom: i pagamenti dovranno essere fatti in euro o in dollari. Non in rubli. Il 31 marzo Putin ha firmato un decreto che impone ai clienti europei di aprire due conti presso la Gazprom Bank, uno in euro su cui fare il pagamento e uno in rubli dove poi trasferire l’ammontare dell’operazione. In questa diavoleria si nasconde un gigantesco ricatto perchè questa nuova modalità, non prevista dai contratti e quindi illegittima, è una palese violazione delle sanzioni. Ma l’ultima e decisiva parola spetta a Bruxelles. I legali sono al lavoro da oltre un mese. “Mi aspetto parole chiare e nette sul dà farsi” ha detto Mario Draghi lunedì sera in conferenza stampa.
Le sanzioni
Intanto andiamo avanti con le sanzioni. Ieri Ursula von der Leyen ha presentato a Strasburgo il sesto pacchetto. Atteso da quasi dieci giorni è uno dei più duri. Le misure prevedono infatti nuovi oligarchi nella black list, tra cui il Patriarca Kirill (circa 4 miliardi di patrimonio, si è subito scagliato anche contro il Vaticano), padre della chiesa di Mosca e grande alleato di Putin, l'espulsione da SWIFT della Sberbank (la principale banca russa), un colpo alla propaganda di regime ma, soprattutto, l'atteso embargo al petrolio. Graduale e con delle deroghe a Ungheria e Slovacchia, troppo dipendenti dal greggio di Putin per farne a meno all'improvviso. Concessioni che però non sono bastate a Budapest: “Così com’è non sosterremo la proposta” ha tuonato il portavoce del governo di Orban, minacciando di fatto il veto.
Non è piaciuto il metodo: la Commissione ha inoltrato ai Paesi il pacchetto sanzioni solo nella notte tra martedì e mercoledì e ieri mattina, alle 8.30, la presidente Ursula von der Leyen era già nell'emiciclo dell'Eurocamera di Strasburgo a illustrarne i contenuti. “Il futuro dell'Europa si scrive anche in Ucraina” ha dichiarato nel suo discorso.
Stop al greggio russo entro sei mesi
Dunque basta al greggio russo “entro sei mesi” e ai prodotti raffinati “entro la fine dell’anno". Un addio dolce per permettere “ai nostri partner di assicurare vie di approvvigionamento alternative e di ridurre al minimo l'impatto sui mercati globali”. Von der Leyen ha messo le mani avanti. “Non sarà facile: alcuni Stati membri sono fortemente dipendenti dal petrolio russo, ma dobbiamo farlo e basta”. Nessun accenno alle deroghe comunque presenti. Un silenzio interpretato come se la Commissione, stanca delle trattative infinite, ad un certo punto abbia detto basta. Che siano i Paesi ad assumersi le proprie responsabilità.
Le prime crepe
E infatti, messa alle strette, l’Ungheria ha detto no. Aprendo quella crepa sul fronte Ue su cui Putin lavora da tempo. “Gli Stati Ue che continueranno ad opporsi all'embargo sul petrolio saranno complici dei crimini commessi dalla Russia in territorio ucraino” ha attaccato il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba in un videomessaggio.
La verità è che nulla è stato veramente deciso ancora. E sarebbe sbagliato parlare di fumata nera. Ogni paese conserva una propria specificità nel comparto energia e quindi serve qualche giorno ancora per valutarlo e declinarlo nelle singole specificità nazionali. L'obiettivo di Ungheria e Slovacchia potrebbe essere quello di ottenere delle “compensazioni" ulteriori oltre alla deroga “fino al 2023” che consentirà l'estinzione naturale dei contratti (resta il divieto di stipularne di nuovi). E anche altri a questo punto (Repubblica Ceca e Bulgaria) chiedono trattamenti ad hoc. La Grecia, forte della sua potente flotta, contesta la penalizzazione delle sue petroliere, visto che la Russia userebbe altre navi, con poco effetto sull'embargo ma molto sul business greco. Entro la fine della settimana i tecnici cercheranno di trovare la quadra tra una compensazione e l’altra.
A rischio chiusura
Ma quello che più urge ora all’Italia è sapere come dovremo pagare. E sperare che le modalità fissate non abbiano conseguenze sulla fornitura del gas necessario all’Italia per continuare a produrre secondo i propri standard. L’altro giorno il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani ha tenuto una lunga e approfondita informativa alla Camera dei deputati. Da cui si sono capite molte cose ma una soprattutto: “Uno stop del gas russo adesso renderebbe critico il superamento dell’inverno 2022-2023 in assenza di rilevanti misure di contenimento della domanda”. Insomma, uno strappo adesso suo pagamenti con la Russia sarebbe un “grosso problema” per l’Italia e la nostra economia. Questo tanto per fissare e capire di cosa stiamo parlando.
E’ stata un’audizione prima di numeri. Da conservare. Il fabbisogno italiano è pari a 70-75 miliardi di mc all’anno. Negli ultimi vent’anni la produzione di gas naturale italiano è diminuita dell’80% mentre le importazioni dalla Russia sono passate dal 28 al 38%. Nonostante Grazny, Damasco e la Crimea. Dipendiamo quindi al 40% circa da un unico formitore.
Cingolani ha descritto una serie di scenari. A breve e medio termine (12-18 mesi). E uno a lungo termine (2-3 anni). “Nel primo caso - ha spiegato il ministro - ci sono tre priorità principali: il riempimento degli stoccaggi in previsione dell'inverno 2022/2023; il completamento della campagna di diversificazione degli approvvigionamenti di gas da altri Paesi, sostanzialmente per rimpiazzare i 29 miliardi di metri cubi più in fretta possibile; proseguire con la decarbonizzazione e potenziare lo sviluppo delle rinnovabili per sostituire i famosi 29 miliardi che importiamo dalla Russia”. E’ chiaro che se a metà maggio ci dovesse essere un’interruzione del gas, le conseguenze saranno assai pesanti. “Tutto dipenderà - ha detto il ministro - dall'analisi legale del contratto di pagamento in rubli e da possibili nuove sanzioni internazionali specificatamente dirette all'export di gas (al momento non se ne parla, ndr)”. Se non dovesse esserci interruzione, il riempimento degli stoccaggi potrebbe proseguire secondo i tempi dettati dalle aste in corso e la sicurezza energetica sarebbe garantita mentre si perfezionano gli accordi internazionali per la diversificazione degli approvvigionamenti da altri Paesi.
Le nuove modalità di pagamento
Gli operatori devono pagare ogni mese o ogni due mesi e dal 31 marzo Putin ha introdotto il doppio conto. Quindi, ha spiegato Cingolani, “si paga in euro e poi la Banca centrale di Mosca in un paio di giorni cambia questi euro in rubli e li deposita su un secondo conto, che è sempre aperto dall’operatore (Eni, Snam o altre compagnie, ndr) che a quel punto dà un ok (con un bonifico). La Russia considererebbe concluso l'acquisto quando viene dato l'ok al pagamento in rubli, mentre per l'operatore europeo in realtà l'acquisto è concluso quando ha ricevuto la fattura in euro”. Fin qui sembra tutto chiaro. Il problema sono i giorni, quei due giorni di “traduzione”, di cambio, che vanno legalmente interpretati per capire se rappresentano una violazione delle sanzioni.
“È un argomento molto delicato perché da un lato può succedere che l'operatore, continuando a pagare solo in euro, si possa vedere rifiutato il pagamento e, quindi, possa essere accusato di aver rotto l'accordo relativo al contratto e ciò vorrebbe dire scaricare sull'operatore la responsabilità dell’interruzione (come è successo a Polonia e Bulgaria, ndr). D'altro canto, l'Europa deve dare indicazioni molto chiare agli Stati sul fatto che si possa o non si possa aprire il conto in rubli e pagare in rubli”. Il quadro legale non è ancora chiaro. La proposta è di andare avanti, almeno finchè non c’è assoluta chiarezza, “come se le due operazioni sui due conti fossero disaccoppiate”. Senza correre il rischio di violare le sanzioni nè di restare senza gas per non aver pagato. Ma si attendono parole chiare da Bruxelles.
Il sistema dello stoccaggio
Al momento gli stoccaggi sono al 40%. Se la fornitura di gas dalla Russia dovesse interrompersi adesso saremmo nei guai seri perchè non sapremmo come affrontare l’inverno. Se un eventuale stop della fornitura di gas russo avvenisse nei prossimi mesi, tutto dipenderà da quando. “Ogni mese stocchiamo circa 1,5 miliardi di metri cubi. Le aste sono in corso e la macchina è partita in anticipo apposta per evitare di trovarci in ritardo. Per raggiungere il 90 per cento di stoccaggio necessario all'inverno 2022-2023 sarebbero necessari circa sei mesi di ulteriore.
Il tetto Ue al prezzo del gas e l’immediato risparmio
Passati i prossimi otto mesi senza interruzione di gas, tutto va in discesa. La diversificazione delle forniture parte già nei prossimi sei mesi (Algeria, Azerbaijan, Congo e Qatar) va a regime entro il primo semestre 2024. Ma il regime chancing del gas russo è partito.
Dunque va evitato assolutamente che l’interruzione possa avvenire ora o anche nei prossimi mesi. La nostra fortuna è che la Germania è più dipendente di noi. Non è sempre e solo la solita Italia.
Italia che è sempre più in pressing per mettere un tetto europeo al prezzo del gas (price cap). “Con un tetto nazionale - ha spiegato il ministro - gli esportatori “ci salterebbero a piè pari e non sarebbe più conveniente venderci il gas”. Altra cosa è che l’Europa intera, acquirente di tre quarti del gas russo, imponga il suo prezzo massimo.
Le simulazioni parlano chiaro. Con le quotazioni attuali (100-110 euro a megawattore) e un Price cap a 80 euro ( a gennaio 2021 era a 20 euro/mgw), la bolletta del gas avrebbe subito un risparmio del 25%.