Stretti legami con l’Islam sciita, la pace epica di papa Francesco in Iraq
Ci vuole capacità di perdonare e, nello stesso tempo, coraggio di lottare, ha detto il papa all’Angelus. Nel viaggio un invito ai credenti di ogni religione a superare la categoria del nemico e alla comunità internazionale a riparare i torti subiti dagli iracheni e specialmente dalle minoranze
Alle prime luci della nostra domenica, papa Francesco è giunto a Mosul per una preghiera nel ricordo delle vittime delle guerre combattute in Iraq, con migliaia di vittime civili e l’intera Regione mediorientale sconvolta. La città è considerata il luogo più rischioso, l’Hyroshima dell’Iraq, città dalla quale l’imam Abu Bakr Al- Bagdadi lanciò nel 2014 la guerra santa autoproclamando il Califfato dell’Isis foriero di crudeltà e violenza inaudite, in una regione già martoriata da 40 anni di conflitti. Il cuore del messaggio della sua visita apostolica numero 33, la più desiderata e la più in forse sino all’ultimo per motivi di sicurezza è emerso in tutta la sua forza: la pace è superiore alla guerra; soltanto il dialogo e la fratellanza rendono credibili le religioni che fanno risalire le origini ad Abramo, nato nella piana di Ur che oggi porta il suo nome.
L’Iraq - “paese della Mesopotamia, paese dei profeti e delle religioni celesti” come lo ha definito l’attuale presidente Barham Ahmed Salih Qassim, dando al papa il benvenuto “a Baghdad, dimora di pace”- conta circa 40 milioni di abitanti. Per quasi il 95% la popolazione irachena appartiene ai due maggiori gruppi etnici: gli arabi (il 75-80% della popolazione totale) e i curdo-iracheni (15-20%). L’unico elemento comune tra queste due grandi comunità è l’adesione della maggior parte (il 99%) della popolazione al credo musulmano: il 60-65% sono sciiti, mentre il 32-37% sono sunniti. La rimanente popolazione (circa il 5%) è composta da varie minoranze etniche.
Prima del 2014, ossia nel periodo antecedente la comparsa dell’ISIS, nel Paese si contavano circa 350.000 Cristiani, 500.000 Yazidi, 200.000 Kakai, meno di 5.000 Sabeani e un piccolo numero di Bahai. Le minoranze etniche includono anche Turkmeni iracheni, Turco-Circassi, Beduini, Shabak, Armeni, Iracheni neri e Romanì. Emerge, quindi – dicono gli esperti- una composizione culturale, religiosa ed etnica particolarmente eterogenea che rende fragile lo Stato. La maggior parte di queste minoranze viveva nella piana di Ninive e nelle aree di confine con la frontiera siriana e nel periodo dello Stato islamco hanno terribilmente sofferto persecuzioni, massacri, migrazioni.
Questo è il Paese in certo modo simbolico scelto da Francesco, per rilanciare la pace e la fraternità come futuro libero da odio e violenza. La sua visita si rivela una proposta rivolta a ogni fede e ogni etnia che si richiama ad Abramo padre dei credenti in un solo Dio, ad archiviare la storia passata per scrivere insieme un capitolo diverso, superando secoli di odio e di conflitti per interessi contrapposti. Due i segni visibili di Francesco per sigillare il senso della sua visita davanti all’opinione pubblica mondiale che l’ha seguita con accentuato interesse: l’incontro con il Grande Ayatollah degli sciiti Al Sistani e la prima celebrazione della messa in rito cattolico-caldeo da parte di un papa. La Chiesa caldea fa risalire le sue origini all’apostolo Tommaso.
E’ una singolare coincidenza che mentre da una parte del mondo ad economia avanzata come gli Stati Uniti un uomo fino a ieri potente e divisivo polemizza aspramente con il nuovo presidente, Biden favorevole a politiche migratorie più giuste e umanitarie, in un’altra terra lontana, l’Iraq, teatro di guerre, odio, terrorismo alimentato dai potenti alla Trump, papa Francesco chieda invece alle religioni che si riconoscono nella radice di Abramo di lasciare gli egoismi passati e diventare religioni di pace, in uscita verso gli altri considerati fratelli tutti e figli di Dio misericordioso.
Francesco lo ha dichiarato fin dal primo incontro con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico. Ha inquadrato la sua visita “a lungo attesa e desiderata” all’interno di un contesto mondiale che non si può dimenticare. Avviene, infatti, “nel tempo in cui il mondo intero sta cercando di uscire dalla crisi della pandemia da Covid-19, che non ha solo colpito la salute di tante persone, ma ha anche provocato il deterioramento di condizioni sociali ed economiche già segnate da fragilità e instabilità. Questa crisi richiede sforzi comuni da parte di ciascuno per fare i tanti passi necessari, tra cui un’equa distribuzione dei vaccini per tutti. Ma non basta: questa crisi è soprattutto un appello a ripensare i nostri stili di vita […], il senso della nostra esistenza. Si tratta di uscire da questo tempo di prova migliori di come eravamo prima; di costruire il futuro più su quanto ci unisce che su quanto ci divide”.
Il tempo nuovo auspicato esige di chiudere con un passato nel quale forse non tutti possono dirsi innocenti. Di qui un parlare chiaro di Francesco: “Vengo come penitente che chiede perdono al Cielo e ai fratelli per tante distruzioni e crudeltà e vengo come pellegrino di pace”. “Tacciano le armi! Se ne limiti la diffusione, qui e ovunque! Cessino gli interessi di parte, quegli interessi esterni che si disinteressano della popolazione locale. Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace! Ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare, pregare in pace. Basta violenze, basta estremismi, fazioni, intolleranze! Si dia spazio a tutti i cittadini che vogliono costruire insieme questo Paese, nel dialogo, nel confronto franco e sincero, costruttivo; a chi si impegna per la riconciliazione e, per il bene comune, è disposto a mettere da parte i propri interessi”.
In questa linea, di estrema importanza è stato l’incontro cordiale a Najaf con il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani, leader novantenne della comunità sciita maggioritaria nel Paese. Con l’anima sunnita dell’Islam esisteva già dal 2019 un’intesa siglata da Francesco con la Dichiarazione di Abu Dhabi sulla fratellanza. Ora si coinvolge anche l’Islam sciita. Un incontro fraterno di circa 45 minuti che ha rivelato un’ampia convergenza dei due leader per la giustizia e la pace nella Regione, con un richiamo alle grandi potenze a rifiutare il linguaggio della guerra. La comunità internazionale – secondo Francesco - ha un ruolo decisivo da svolgere nella promozione della pace in questa terra e in tutto il Medio Oriente. “Auspico che le nazioni non ritirino dal popolo iracheno la mano tesa dell’amicizia e dell’impegno costruttivo” senza imporre interessi politici e ideologici.
L’incontro interreligioso nella Piana di Ur vicino a Nassirya, dove secondo la tradizione venne edificata la casa di Abramo e dove sorge ancora la Ziggurat, l’antico tempio dei Sumeri, ha rappresentato il cuore dell’intero viaggio del papa. Un impegno di tutti i capi religiosi dell’Iraq a camminare insieme uniti nell’eredità spirituale di Abramo per vincere discordie e violenze con la pace e la fratellanza. “Chi crede in Dio – è il messaggio di Francesco – non ha nemici da combattere”. “Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo, - ha puntualizzato - affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione”.
“Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità e promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni. La pace non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità”. Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace”.
E nella preghiera delle vittime delle guerre svolta nella piazza delle 4 chiese distrutte di Mosul, Francesco ha ribadito: “Malgrado tutto, riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra. Questa convinzione parla con voce più eloquente di quella dell’odio e della violenza; e mai potrà essere soffocata nel sangue versato da coloro che pervertono il nome di Dio percorrendo strade di distruzione”. E ha scandito tre concetti cardine della nuova mentalità dei credenti:“Se Dio è il Dio della vita – e lo è –, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è –, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è –, a noi non è lecito odiare i fratelli”. Nel pomeriggio di lunedì 8 marzo è previsto il rientro del papa a Roma.