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L’ospedale di Gaza è un tappeto di corpi. “Chi non è morto nel bombardamento è morto bruciato”

A Tiscali la testimonianza di Mohammed Agl, segretario di una clinica medica nel campo profughi di Jabalia

Lidia Ginestra Giuffrida di Lidia Ginestra Giuffrida   
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Un tappeto di corpi è steso nel prato di quel che resta dell’Ahli Arabic Hospital, a Gaza City, subito dopo il bombardamento israeliano. Prima il rumore dei droni, poi l’esplosione, dopo le fiamme. “Qui a Gaza non c’è corrente, quindi in ospedale stanno utilizzando delle grandi lanterne con la benzina per fare luce, con il bombardamento ha preso fuoco tutto l’ospedale. Chi non è morto nel bombardamento è morto bruciato”, racconta Mohammed Agl, segretario di una clinica medica nel campo profughi di Jabalia, che si trovava vicino all’ospedale al momento del bombardamento.

Era pieno di bambini morti, non so quanti fossero, non posso saperlo. Dentro l’ospedale c’erano almeno 500 persone ferite e in grave stato di salute, ma altre mille stavano dormendo fuori dall’ospedale. Molte famiglie avevano trovato riparo lì dopo che la loro casa era stata bombardata, o si erano rifugiate nell’ospedale pensando che sarebbero state più al sicuro”, continua Mohammed Agl, “ma qui nessun posto è sicuro, non lo sono le nostre case, non lo sono le scuole, non lo sono più neanche gli ospedali. Gaza è una pozza di sangue. Gaza sta bruciando. Qui a nord la situazione è peggiore, al sud un po’ meglio. Ma la verità è che tutta Gaza sta diventando un cimitero”.

Mohammed Agl racconta a Tiscali che nonostante ciò lui si sente fortunato. “Mi sento fortunato perché i miei familiari non erano in quell’ospedale. In questo momento mia madre, due mie sorelle e due dei miei nipoti si trovano in ospedale in seguito al bombardamento della casa in cui stavano. Oggi, dopo aver saputo che la casa di mia sorella in cui c’era tutta la mia famiglia era stata bombardata, sono uscito a cercare chi era morto e chi era ancora vivo, non avevo idea di dove fossero. Ho visto più di trecento volti di cadaveri di donne prima di riconoscere quello di una delle mie sorelle, poi quello di suo marito e quello del fratello del marito. Mi hanno detto che mia madre, altre due delle mie sorelle e i due figli della sorella che era morta si trovavano in ospedale. Non sapevo in quale. Spesso le persone ferite vengono portate d’urgenza in ospedale ma non hanno i telefoni per avvisare i parenti. Sono andato a cercarli all’Ahli Arabic Hospital, poi ho scoperto che fortunatamente stanno in un altro ospedale”.

Non si sa ancora il numero esatto di vittime del bombardamento dell’Ahli Arabic Hospital, nella serata di ieri il ministro della salute di Gaza ha dichiarato 500 morti. Di certo c’è che centinaia di famiglie si sono dirette verso l’ospedale per provare a riconoscere i volti dei propri familiari. “Adesso tutta la gente è fuori, tantissime famiglie cercano i propri figli, fratelli, amici. E’ molto difficile capire di chi siano quei corpi, la metà dei visi sono irriconoscibili”, ci dice Mohammed Agl, “domani sarà una giornata pesante, dovremo cercare le persone che conoscevamo tra le vittime, prima di fare il grande funerale. Faremo un funerale collettivo per tutte le vittime dell’ospedale e poi le seppelliremo nelle fosse comuni. Non abbiamo altra scelta, non c’è più posto per i morti”.

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