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Francesco dall’ambasciatore russo: il senso di un gesto senza precedenti

La guerra in corso coinvolge anche le Chiese

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
Francesco dall’ambasciatore russo: il senso di un gesto senza precedenti

Sull’incontro di respiro internazionale in corso a Firenze sul tema “Mediterraneo frontiere di pace” promosso dalla Conferenza episcopale italiana e predisposto alla speranza nel ricordo di Giorgio La Pira, è soffiato il gelo della guerra in Ucraina. I 60 vescovi e i tanti sindaci dell’area Mediterranea protagonisti dell’iniziativa sono stati scossi da un evento sinistro che ha reso in modo evidente il delicato e fragile equilibrio della pace per la quale non si fa mai abbastanza. Forse ci vorrebbe un’alternativa di metodo e di intenzionalità che proprio papa Francesco ha suggerito con un gesto inedito e inconsueto. Inaugurando una diplomazia del buon senso e della fraternità o della porta accanto.

Si è infatti recato a sorpresa a visitare l’ambasciatore della Russia presso la Santa Sede, in Via della Conciliazione, poche centinaia di metri dalla sua residenza a Casa Santa Marta. E ha chiesto cura e riguardo per le persone fragili e i bambini colpiti dal turbine della guerra in Ucraina. Un gesto di umanità per ricordare la tutela dell’umanità fragile. La guerra in Ucraina svela, infatti, in modo impietoso che, al di là dei proclami per la pace, restano tanti i nodi da sciogliere, ereditati in parte dalla storia civile, culturale e religiosa dell’Europa. A cominciare dalla trasparenza del linguaggio e dal contenuto dei valori che si vogliono propagare e difendere. L’aggressione eclatante di Putin all’Ucraina e le reazioni nell’opinione pubblica specialmente europea e occidentale aprono tanti interrogativi sull’Europa. Di quale Europa? E forse giunto il tempo che – superata l’emozione del momento – l’Europa e in primo luogo la sua classe dirigente rivolga a se stessa analogo interrogativo che Paolo VI poneva alla Chiesa del concilio: Europa che dici di te stessa? Finora prevale una certa babele di lingue e interessi.

Sono parecchi i modi di intendere l’Europa, di definirla, delimitarla. Giovanni Paolo II intendeva un’Europa scomoda, ancora da costruire, con due polmoni ugualmente importanti con cui respirare. Egli parlava di Europa dall’Atlantico agli Urali. Russia compresa quindi. Un’immagine non ancora digerita dall’Europa occidentale. Il conflitto scioccante in Ucraina ripropone il vecchio schema di due Europe: democrazie liberali da un lato e Russia dall’altra. Come le Chiese faticano pensarsi tutti cristiani, ma ci si distingue tra ortodossi e cattolici, in ambito civile e politico si accentua la separatezza culturale pensando di cavarsela con la patina commerciale, mercantile. La ferita dell’aggressione di Mosca a Kiev risveglia la fatica dell’unità tra la Chiesa ortodossa di Mosca e quella ortodossa ucraina. C’è poi la via di papa Francesco che chiede a ognuna delle chiese e confessioni cristiane anzitutto la propria conversione per una rinnovata fraternità che renda credibile il Vangelo agli uomini e alle donne di oggi.

Prima della Nato sul piano militare che marca la separatezza e la distanza c’è stata per secoli la divisione tra i cristiani che ha influito senza dubbio profondamente nella mentalità e nella tradizione della gente. Perciò giungere a una vera ricomposizione dell’Europa resta piuttosto un’aspirazione senza l’esempio concreto delle Chiese. Il fattore religioso opera nelle coscienze e nessuna pace vera si può dare che non sia fondata prima nella coscienza delle persone. Senza conversione profonda delle coscienze cristiane alla non violenza e alla fraternità rispetto ai modelli aggressivi e divisivi del passato sarà difficile pensare realisticamente a un’Europa dall’Atlantico agli Urali come casa comune. Nel dibattito pubblico che ha segnato la lunga vigilia della guerra e nei primi giorni dell’invasione “il noi e il voi” è rimasto dominante della comunicazione politica, economica, culturale. Le due Europe, ciascuno a suo modo, cercano l’egemonia piuttosto che pace e giustizia.

Si comprende allora la finalità del gesto di Francesco che rompe gli schemi e va dall’ambasciatore russo. Non come gesto di rassegnata sottomissione, ma per rilevare l’ingiustizia e la violenza senza rompere con la fraternità. Certo non tutti possono muoversi con la sensibilità di Francesco, ma tutti – la politica e la diplomazia anzitutto – possono riflettere sul senso di un gesto così umano che può predisporre a cambiare il cuore.  L’Europa brulica di armi di ogni specie e potenza; è una polveriera. E sono anche altri a decidere se e quando ricorrervi. La guerra in Ucraina richiede sicuramente l’urgenza di tornare alla pace, di riporre le armi e riprendere a parlarsi. Ma senza ascolto della lezione della storia che suggerisce di operare sui tavoli della pace secondo giustizia, verità, sincerità, il massimo che si potrà fare sarà tamponare per un tempo più o meno lungo i conflitti destinati a ripetersi. Francesco nel discorso che aveva in programma domenica a Firenze parlerà certamente di pace.

Ma le sue parole saranno rese più credibili dal suo gesto: visitare l’ambasciatore di colui che per ora rappresenta il “cattivo” nei canoni di gran parte dell’opinione mondiale. Alla luce del gesto di Francesco si comprende anche lo spirito della diplomazia della Santa Sede, sempre considerata – a torto o a ragione? - una sorta di maestra, di “prima diplomazia” nel mondo diplomatico. Ne ha dato prova il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato di Francesco. Ricordando l’appello del Papa drammaticamente urgente dopo l’inizio delle operazioni militari russe in territorio ucraino, il porporato ha osservato che “i tragici scenari che tutti temevano stanno diventando purtroppo realtà”, ma che “c’è ancora tempo per la buona volontà, c’è ancora spazio per il negoziato, c’è ancora posto per l’esercizio di una saggezza che impedisca il prevalere degli interessi di parte, tuteli le legittime aspirazioni di ognuno e risparmi il mondo dalla follia e dagli orrori della guerra”. “Noi credenti – ha detto Parolin - non perdiamo la speranza su un barlume di coscienza di coloro che hanno in mano i destini del mondo”.

 

 

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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