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Una storia di straordinario dolore e di ordinaria follia, il supplizio dei migranti della Nivin

I reportage firmato da Francesca Mannocchi per Repubblica è lo squarcio che ci permette di guardare il mondo dei disperati, allo stesso modo con cui gli spettatori del Colosseo guardavano squartare i martiri cristiani

Paolo Salvatore Orrùdi Paolo Salvatore Orrù   
I migranti della Nivin
I migranti della Nivin

I reportage firmato da Francesca Mannocchi per Repubblica è lo squarcio che ci permette di guardare il mondo dei disperati, allo stesso modo con cui gli spettatori del Colosseo guardavano squartare i martiri cristiani. Adesso quel circo (e le sue imitazioni) non c’è più, ma c’è lo stesso stato d’animo di allora quando molti europei, fra di loro anche una torma di italiani, vedono uomini, donne e bambini morire o dibattersi per tentare di resistere a chi - utilizzando ingenti risorse economiche che potrebbero essere utilizzate per dare loro sollievo - li vuole ricacciare in un inferno che gli stessi occidentali hanno deciso di creare per curare e per difendere meglio i loro interessi. Per tanti è uno spettacolo impagabile osservarli mentre crepano nel deserto, vederli ammassati nei campi di concentramento finanziati anche dagli italiani, guardarli soccombere, uccisi e violentati (e) dai loro aguzzini. L’importante è che tutto accada lontano dalle nostre tiepide case: “Occhio non vede cuore non duole”, canta Jovanotti.

L’altra cosa che si può fare, urlano i più comprensivi, è “aiutarli in casa loro”. La giornalista del quotidiano romano ha raccontato la storia emblematica di un gruppo di disgraziati che tenta di approdare in Italia per trovare un’alternativa alla condizione di paria. Soccorsi da una nave mercantile hanno pensato che la loro odissea fosse al capolinea. “Vi portiamo in Italia” li avrebbero rassicurati. Ma - invece di essere accompagnati in quella che considerano il paradiso in terra, l’Europa, sono stati riassegnati alla guardia costiera libica. Quando i migranti hanno capito che nel destino c’era scritto che sarebbero tornati in Libia, la situazione sul cargo ha rischiato di degenerare: “Non scendiamo, nelle prigioni non ci torniamo”, hanno urlato con quel po’ di fiato che avevano in corpo. Disperazione e rabbia quando si mischiano possono diventare una miscela pericolosa, ma questa volta l’ira è virata in resistenza pacifica.

A guidare il ‘tradimento’ cui è stata costretta la Nivin (la nave che li ha accolti) una telefonata giunta dall’Italia che ha intimato alla guardia costiera libica, hanno spiegato alcune Onlus che agiscono nell’area, di riportare indietro quella carne umana. “Le autorità italiane hanno scritto in un comunicato i volontari – hanno documentata responsabilità di aver ordinato a Nivin di fare esclusivo riferimento alla Guardia costiera Libica, configurando così nei fatti un illegittimo respingimento verso un paese non sicuro”. Quella gente è poi stata costretta a stare sulla nave per una settimana. Fra di loro ci sono una donna sola con un bambino.

“Sono disperati – dice Julien Raickmann, capo missione di MSF – ci sono diverse persone, compresi i minori, torturati dai trafficanti per estorcere denaro. Un paziente in gravi condizioni ha rifiutato di essere portato in una struttura medica in Libia. Ha detto che preferirebbe morire sulla nave mercantile”. “Per i 70 migranti ancora a bordo non ci sono bagni, usano le bottiglie di plastica per urinare. Ai giornalisti è interdetto non solo l’accesso alla nave e al porto ma anche l’accesso alla città di Misurata. Chi prova a superare il check point verso Misurata rischia di essere espulso dal paese. I pochi giornalisti presenti in Libia, compresa Repubblica, sono costantemente monitorati dall’intelligence libica”, ha scritto la Mannocchi.

A raccontare al telefono questa storia alla giornalista è stato Dittur, 19 anni, viene dal Sud Sudan. Il ragazzo ha anche raccontato di essere stato prelevato “dai trafficanti nel centro di detenzione ufficiale di Tariq al Sikka, a Tripoli, gestito dal ministero dell’Interno del governo Serraj. “I trafficanti possono entrare quando vogliono nelle prigioni, entrano a fare accordi con chi vuole partire e entrano per portare via chi può pagare la sua parte, con me hanno fatto così. Due settimane fa”. Una storia di straordinario dolore e di ordinaria follia. Non aiutano certo a dare speranza ai ripudiati le disposizioni degli ultimi governi italiani. "Il dl sicurezza solleva diverse preoccupazioni dal punto di vista dei diritti umani di migranti e richiedenti asilo", ha detto Dunja Mijatovic, commissario dei diritti umani del Consiglio d'Europa.

"Rappresenta un passo indietro in termini di accesso alla protezione per le persone su cui incombono gravi minacce, o che le hanno già subite", e "non consentendo ai richiedenti asilo di accedere al sistema degli Sprar, si metterà ulteriormente in difficoltà il sistema di ricezione e integrazione italiano". Mijatovic ritiene che nel testo "manchino alternative alla detenzione" e che non siano previste "garanzie adeguate contro privazioni della libertà non necessarie e di lunga durata". Il dl dovrebbe inoltre "garantire chiaramente che i minori con o senza famiglia non possano essere detenuti".  Il commissario chiede al Parlamento "di evitare di prendere decisioni affrettate e di valutare le preoccupazioni che solleva, consultando anche le organizzazioni che si occupano di diritti umani e la società civile”. Razza, civiltà e religione sono salve. 

Paolo Salvatore Orrùdi Paolo Salvatore Orrù   
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