Oltre 400 mila uomini bloccati al largo dalla pandemia: il dramma dei marinai
Destino amaro per gli equipaggi delle navi cargo che trasportano le merci da un punto all’altro del globo. Si cerca una soluzione

C’è una crisi che si sta consumando senza che nessuno se ne accorga. È quella degli equipaggi delle navi cargo che trasportano le merci da un punto all’altro del globo e che se non trova soluzione potrebbe avere serie ripercussioni.
400mila marinai bloccati
Secondo Graham Westgarth, amministratore delegato di V. Group, una società che fornisce equipaggi per circa 900 navi per un totale di 15mila persone, le misure di contenimento e lockdown adottate in giro per il mondo hanno bloccato circa 400mila marinai sulle loro imbarcazioni, spesso con contratti ormai terminati e non rinnovati. Si tratta del 40% del milione di lavoratori marittimi solitamente in navigazione.
In mare da un anno
Normalmente gli equipaggi, molti provenienti dall’India e dalle Filippine, stanno in mare dai quattro ai sei mesi per poi tornare a casa dalle loro famiglie. Normalmente. Ma questi non sono tempi normali e più o meno tutti i paesi al mondo hanno adottato misure di contenimento della pandemia. Il che vuol dire che spesso nei porti non è permesso agli equipaggi di scendere a terra e ai loro rimpiazzi di salire a bordo e che non è raro che i visti di entrata, anche temporanei, siano bloccati. Alcuni equipaggi sarebbero in mare ormai da un anno, con tutte le ripercussioni del caso sul loro stato psicofisico e sul loro morale.
I rischi per il commercio
Al problema umano si sovrappone anche quello economico. La maggior parte del traffico merci mondiale si muove via mare su navi che trasportano beni di ogni genere: prodotti tecnologici, alimentari, di abbigliamento, meccanici, componenti per costruire altri beni e via dicendo in un elenco pressoché infinito. All’inizio della pandemia il flusso era rallentato, con navi che erano ferme nei porti o procedevano a velocità ridottissima in attesa di istruzioni, ma poi è ripreso, tornando più o meno ai volumi pre-pandemia.
La ripresa potrebbe però essere frenata proprio dal problema degli equipaggi. Non c’è solo il rischio che prima o poi ufficiali e marinai si stufino e decidano di incrociare le braccia finché non venga trovata una soluzione. C’è anche il fatto che chi è finalmente riuscito a scendere a terra è comprensibilmente più che riluttante a risalire di nuovo a bordo. Trovare equipaggi sta divenendo più difficile e, naturalmente, anche più caro: secondo Westgarth il loro costo è già salito del 10%.
Merci essenziali, lavoratori non sempre
Alcuni stati, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Paesi Bassi, Panama e Indonesia, hanno presso coscienza del problema e hanno incluso gli equipaggi commerciali tra i “lavoratori essenziali”. Ma perché il cambiamento abbia davvero effetto occorre che tale qualifica venga riconosciuta anche nei porti in cui le navi attraccano e spesso non è così.
Eppure, se gran parte dei paesi del mondo può contare sulle armi necessarie ed essenziali per affrontare la pandemia, mascherine, disinfettanti, tute per i sanitari, prodotti sanitari, apparecchi elettromedicali, pc, telefonini, è solo grazie alle navi che le trasportano. E ai loro equipaggi, che non tutti però ritengono essenziali.