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Macron è la malattia politica d'Europa, non la soluzione. E l'Italia deve stare attenta

Dalla gestione del problema migranti all'attivismo in Libia, fino alle pulsioni neocoloniali in Africa Centrale. Altro che idolo del centro sinistra, la "grandeur" di Macron rischia di costarci cara

Paola Pintusdi Paola Pintus   
Emmanuel Macron
Emmanuel Macron

Macron non è la soluzione, ma la malattia politica dell'Europa e dell'Italia in particolare. Il suo obiettivo da un lato è la supremazia continentale attraverso saldatura dell'asse politico-economico con la Germania, dall'altro è il mantenimento delle sue posizioni d'influenza in Africa e Medio Oriente, attraverso il rilancio di una aggressiva politica neocoloniale. Con buona pace di Bruxelles e della stabilità mediterranea, gestione migranti compresa. Lo stiamo capendo troppo tardi, in queste ore in cui il presidente francese si intrattiene alle porte di Parigi in un summit improvviso con i leader libici Khalifa Haftar e Fayez al Sarraj, l'uno sostenuto da Francia Egitto e Russia, l'altro esponente "formale" del governo legittimo di Tripoli  riconosciuto dall'Onu e dall' Italia. Parigi assicura che Roma "era stata informata" ed è "strettamente coinvolta" in questa iniziativa, ma in pratica ha scavalcato la diplomazia italiana, che in quelle stesse ore con il Ministro Minniti era impegnata a Tunisi nei colloqui del gruppo di contatto Europa-Africa, per promuovere una più stretta collaborazione coi paesi di transito delle rotte migranti. 

Nella bozza di intesa diffusa prima dell'incontro pomeridiano i due leader libici si dicono "disposti ad un cessate il fuoco" in vista di "elezioni politiche al più presto". Un indubbio successo di immagine per l'intraprendente Macron, in affanno nei sondaggi interni ad appena due mesi dall'ascesa all'Eliseo. Ma non solo di questo si tratta.  Con questa mossa il novello Napoleone intende sostituirsi all'Italia alla guida della mediazione libica, in modo da  poter lucrare, a tempo debito, le maggiori commesse sull'estrazione del greggio libico, a scapito dell'Eni.

Ma questo è solo l'ultimo esempio della spregiudicatezza francese ai danni dell'Italia. Abbiamo già visto in cosa si è concretizzata la solidarietà di Macron davanti alle richieste di Minniti di aprire i suoi porti alle navi dei migranti: no secco all'accoglienza indiscriminata, in virtù della distinzione, codificata nel diritto internazionale, fra "migranti economici" e "rifugiati" che fuggono dalle guerre. Si scorda, Macron, che proprio una delle aree di partenza e di maggior transito di migranti, quella fra Niger e Ciad, è in pratica sotto tacito protettorato francese,  laddove Parigi, attraverso la società statale Areva, detiene saldamente la sua influenza e il monopolio dello sfruttamento delle miniere di uranio della regione, da cui dipende l'alimentazione delle centrali nucleari d'oltralpe. 

Il passaggio dei migranti sullo snodo dell'Africa Centrale: danni collaterali in conto all'Italia

Una situazione drammatica quella del Niger: è il quarto esportatore mondiale di uranio, ma al 187° nell’indice di sviluppo umano dell’ONU. In base a due convenzioni datate 1968 e 1974, Areva è praticamente esentata dal versamento a Niamey di imposte sulla sua attività estrattiva: negli ultimi 40 anni solo il 13% del valore globale dell’uranio esportato sarebbe finito nelle casse del paese africano. Adesso, in base a una recente rinegoziazione degli accordi, il valore della produzione trattenuta in loco dovrebbe passare dal 5 al 12% del Pil annuo, ma non basta. Le miniere a cielo aperto devastano l'ambiente inquinando le falde acquifere e avvelenando le colture e gli uomini. Masse enormi di rifiuti radioattivi, residuo dello sfruttamento minerario, vengono abbandonate a contatto diretto con la popolazione fortemente esposta alle malattie legate alla radioattività. La contaminazione dei terreni danneggia anche l'allevamento, praticato dalle tribù nomadi. Anche il consumo d' acqua legato all'attività estrattiva (8 milioni di metri cubi all'anno), pesa sulle già scarse risorse idriche e mette in crisi l'economia di sussistenza.

Dal Niger, lungo lo snodo di Agadez e poi più su sulla rotta che da Dirkou-Seguedine porta fino all'ultimo avamposto controllato dalle milizie speciali francesi a Madama sono passati solo nel 2016 circa 290mila migranti, diretti verso la Libia. Ma a Parigi, concentrata sul contrasto al terrorismo e sulla stabilizzazione dell'area, non interessa fermare i flussi che in parte sono anche un effetto collaterale della pesante attività di sfruttamento della regione. 

Nel Centrafrica, come in Libia, l'Eliseo persegue principalmente i suoi interessi, di tipo marcatamente neocoloniale. L’emigrazione di massa ne è il risultato. Ma nel contesto della "solidarietà europea" vengono socializzate le perdite, non i guadagni. Passata la sbornia dell'innamoramento macroniano, il centrosinistra italiano dovrebbe iniziare a porsi qualche domanda sull' "europeismo" dei cugini d'oltralpe. E Gentiloni, Alfano e Minniti, dovrebbero iniziare discuterne in tutte le sedi opportune, da Parigi a Bruxelles. Se non basta, anche altrove. 

Paola Pintusdi Paola Pintus   
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