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[L’analisi] Chi gioca allo sfascio in Libia. Lo strano intreccio tra Haftar e Macron e l’attacco all’ambasciatore italiano

Guido Ruotolodi Guido Ruotolo, editorialista   
Macron con Haftar
Macron con Haftar

Non è la prima volta che dalla Libia arriva il «non gradimento» nei confronti dell’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone. Non è una novità, anche se l’intervista rilasciata ieri a un quotidiano libico online dal generale Khalifa Haftar ha fatto scalpore. Il nostro ambasciatore ha sostenuto nei giorni scorsi che di fronte alla prospettiva di nuove elezioni presidenziali entro la fine dell’anno, la Libia dovrebbe arrivarci con una cornice costituzionale definita entro settembre, ed elezioni parlamentari e presidenziali da tenersi entro dicembre.

Lo spettro dell'ingovernabilità

Nulla di sconvolgente, essendo questo il tema vero che Tripoli discute da mesi. Andare a elezioni così, infatti, senza una cornice costituzionale definita, significa sposare l’ingovernabilità. Una prospettiva caldeggiata da una parte delle forze presenti nel Parlamento scaduto nel marzo del 2017 e che ha sede a Tobruk, in Cirenaica. E dietro alle posizioni oltranziste della Cirenaica ci sono i francesi di Emmanuel Macron. La Libia non è mai riuscita, all’indomani della caduta del regime di Gheddafi, a trovare una stabilità politica. E non solo per l’incapacità delle etnie e tribù libiche a trovare una mediazione ma soprattutto per la ingerenza straniera negli affari interni. Ora c’è un nuovo tentativo di fuoriuscita dalla crisi che viene sostenuto anche dall’inviato speciale Onu per la Libia, Ghassam Salamè, e dalla sua nuova vice, l’americana Sthefanie Williams. Che appunto appoggia il percorso della ricostruzione di una cornice costituzionale, voluta dal governo presidenziale di Sayez al Serraj.

L'attacco all'Italia a Tripoli

E l’Italia si ritrova con l’amministrazione americana a condividere questo percorso. Dunque, questo è il motivo reale del nuovo attacco al nostro ambasciatore a Tripoli. Il generale Haftar sostiene che l'Italia deve «cambiare radicalmente la sua politica estera nei confronti della Libia», essendo lui fautore (con il placet francese) delle elezioni presidenziali a dicembre.
La situazione continua ad essere molto instabile in Libia. Il generale Haftar ha occupato tutti i terminal petroliferi chiudendo così i rubinetti delle esportazioni di petrolio con il risultato di affamare sempre di più i libici. Una situazione che il governo di Al Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale, non è in grado di risolvere. Insomma, non è in grado di ordinare alle milizie fedeli di “liberare” i terminal occupati.

La carta Gaddur

In questa situazione, le forze lealiste che sostengono Al Serraj hanno condiviso la decisione del governo presidenziale di nominare un nuovo ambasciatore libico presso la Comunità Europea. Si tratta del diplomatico Hafed Gaddur, prima console, poi ambasciatore a Roma presso la Santa Sede e poi accreditato dal Quirinale. Un diplomatico che si è formato al tempo di Gheddafi ma che poi ha appoggiato la rivoluzione diventando, oggi, una delle più significative “risorse” della Libia. Gaddur dovrà adesso cercare di trovare un consenso unanime in Europa per appoggiare il percorso di stabilizzazione interna della Libia. Che ha bisogno di risorse per ricostruire il Paese. Considerata a lungo la “Svizzera” del Nord Africa, per le sue immense ricchezze petrolifere, oggi la Libia sopravvive con i traffici di contrabbando, di merci dall’Egitto e dalla Tunisia, e di migranti. Gheddafi li usava come clava per imporre all’Europa di far cadere le sanzioni internazionali nei confronti della Libia. Oggi, invece, i migranti sono fonte di sopravvivenza e di arricchimento per le milizie e i trafficanti.

Guido Ruotolodi Guido Ruotolo, editorialista   
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