L'incidente della nave a Suez e l'onda lunga della EverGiven che travolge i porti
Il 23 marzo il blocco di una delle vie commerciali più importanti del mondo con la nave messa di traverso. Sei giorni di disastro, ora le conseguenze

Lo scorso 23 marzo il cargo EverGiven, un gigante lungo 400 metri e largo 60, si è incagliato nel mezzo del Canale di Suez bloccandolo per sei lunghi giorni e paralizzando una delle rotte più battute del mondo, quella tra Asia ed Europa. Quando finalmente il 29 marzo il canale è stato riaperto c’erano in attesa di transito oltre 350 imbarcazioni di cui 89 erano portacontainer, 40 dirette a nord verso il Mediterraneo e 49 dirette a sud verso il Golfo di Suez. Ci sono voluti sei giorni per smaltire la coda e ormai la situazione del traffico nel canale è tornata alla normalità di circa 50 passaggi al giorno. Ma ora, a un mese di distanza, l’onda lunga del blocco sta arrivando ai porti europei ed asiatici.
"Alla fine ce la faremo"
Proprio in questi giorni le navi che erano rimaste ferme in attesa che la EverGiven venisse disincagliata stanno arrivando ai porti di destinazione andandosi ad aggiungere al traffico ordinario già cresciuto notevolmente dallo scorso autunno in poi. Al porto di Anversa, in Belgio, prevedono che il sovraccarico durerà fino a giugno. Secondo la locale autorità Portuale «ci vorranno settimane, forse mesi, perché la situazione si stabilizzi». Stessa cosa nel porto rivale di Rotterdam, in Olanda, dove per gestire l’emergenza è stato costituito un gruppo di lavoro tra compagnie di trasporti e logistica, gruppi industriali e Autorità Portuale. «Alla fine ce la faremo» – ha dichiarato al Financial Times Leon Williams, della Rotterdam Port Authority – «le navi dovranno attendere un po’ di più per scaricare, ma non è una crisi». Dall’altra parte del mondo, a Singapore, ostentano ancora maggiore tranquillità. PSA, uno dei due principali operatori del porto, non ha avuto problemi a gestire la prima ondata di navi grazie a una pianificazione meticolosa fatta per tempo. A ritmo serrato si lavora anche nei porti di scambio in Malesia, Oman, Marocco e Spagna dove i container vengono trasbordati dai mega-cargo transoceanici alle navi dirette ai porti di destinazione finale.
Gestione di routine per una situazione straordinaria
Se la situazione nei porti pare essere tutto sommato gestibile, il discorso cambia completamente appena le merci devono essere spostate dalla costa verso l’interno. Le società di trasporto su gomma e su rotaia infatti non sembrano essersi rese conto della straordinarietà della situazione e stanno gestendo le loro attività come se queste fossero settimane di normale routine. In porti come quello svedese di Gotenborg e in quelli del Regno Unito il problema sta cominciando a farsi sentire in misura rilevante. Gli importatori britannici stimano un ulteriore ritardo di 10 settimane sulle merci coinvolte nel blocco in aggiunta al ritardo già accumulato finora. I tempi di consegna si sono dilatati anche in Europa, divenendo i più lunghi da 23 anni a questa parte.
Un quadro già complicato
Il tutto rappresenta un ulteriore elemento di variabilità e di rialzo dei costi in un quadro già assai complicato. È dallo scorso autunno, infatti, che l’attività dei porti di tutto il mondo è andata aumentando, in particolare sulle tratte che collegano l’Asia all’America e all’Europa. Una crescita di difficile gestione che ha determinato ritardi a catena nell’avanti-indietro dei container da un estremo all’altro del globo, rendendo meno efficiente il sistema, e tutt’altro che ottimale la loro distribuzione. I container infatti rimangono fermi troppo a lungo nei porti di destinazione, dove non servirebbero più, e scarseggiano dove invece servono.
Catene di produzione sotto stress
Le difficoltà di trasporti e logistica stanno complicando non poco la gestione delle catene di produzione già sotto stress a causa degli effetti diretti e indiretti della pandemia sul trasporto di merci e componenti. Prima le chiusure delle fabbriche, la mancanza di componenti e materie prime, i blocchi nei porti, gli equipaggi confinati a bordo o nei porti, l’imprevedibilità delle consegne e più in generale di tutto il processo. Poi la scarsità di container, il quadruplicarsi dei costi di trasporto, la congestione nei porti e i conseguenti ritardi. Ora le complicazioni indotte dall’incagliamento della EverGiven. L’ennesimo elemento di stress su un sistema già in forte affanno che nell’ultimo anno ha dovuto affrontare contemporaneamente incertezze, oscillazioni e imprevedibilità sia sul lato della domanda sia sul lato delle forniture.
L’altro lato della medaglia
Come spesso accade, tuttavia, i guai di alcuni diventano le fortune di altri. A trarre profitto della congestione del traffico mondiale sono stati i grandi operatori marittimi le cui tariffe per il trasporto container dall’Asia negli ultimi sei mesi sono più che triplicate. Nel 2020 i risultati operativi delle principali società di trasporto via mare hanno registrato aumenti da capogiro: dal 64% di Hapag-Lloyd fino al 355% di HMM, passando per il 120% di Cosco Shipping e il 143% di Maersk. Ma il caso più eclatante è quello di Evergreen Marine, la società che possiede la nave che si è incagliata nel Canale di Suez, che nel 2020 ha registrato un aumento del risultato operativo del 643%.
Un’eccezionale situazione di mercato
Il 2021 si preannuncia anche migliore. Maersk ad esempio, che trasporta circa un quinto di tutto il traffico marittimo mondiale, ha appena reso noto che prevede di chiudere quest’anno con un risultato operativo tra i 9 e gli 11 miliardi di dollari a fronte dei 4,2 miliardi del 2020. I motivi di tale ottimismo sono spiegati nel comunicato dell’azienda che annuncia i risultati del primo trimestre: «La prolungata robusta performance è dovuta all’eccezionale situazione di mercato con una domanda in forte crescita che porta a strozzature nelle catene di produzione e a una carenza di container».
Alla ricerca di stabilità in un mondo imprevedibile
Una situazione che durerà ancora per parecchio tempo e che secondo Soren Skou, amministratore delegato della stessa Maersk, potrebbe portare le imprese a mettere da parte il modello di produzione “just-in-time”. Tornare a mantenere livelli più elevati di scorte, abbandonando l’idea di modulare continuamente la produzione sull’andamento della domanda, consentirebbe infatti di poter ammortizzare gli effetti di forti oscillazioni sia sul lato delle forniture che su quello delle vendite e di garantire un minimo di stabilità in un mondo in cui l’imprevedibilità sembra essere divenuta la regola.