[L'analisi] Italia-Francia, incomunicabilità totale: si allarga la crisi fra i due paesi dopo le ingerenze sui “Gilet Gialli”
I rapporti Francia-Italia non erano mai andati più in basso di così. I cugini d’oltralpe non hanno gradito l’entrata a gamba tesa di Salvini e Di Maio sulla vicenda dei Gilet Jaunes

Parenti serpenti. I rapporti Francia-Italia non erano mai andati più in basso di così. I cugini d’oltralpe non hanno gradito l’entrata a gamba tesa di Salvini e Di Maio sulla vicenda dei Gilet Jaunes e hanno stigmatizzato le prese di posizione dei due vice presidenti del Consiglio a favore della protesta francese. All’indomani dell’ottava giornata di piazza infatti Di Maio aveva invitato i manifestanti a “non mollare”, Salvini aveva garantito “sostegno ai cittadini per bene che manifestano contro un presidente che governa contro il suo popolo”. Due prese di posizione che a Parigi non erano piaciute per nulla: “La Francia si guarda bene dal dare lezioni all’Italia. Facciano pulizia in casa loro” aveva replicato, via Twitter, la ministra per gli Affari Europei Nathalie Loiseau. Ed è probabile che non finisca qui, dato che sabato a Roma è previsto l’arrivo di due rappresentanti dei “Gilet”, Veronique Rouillé e Yvan Yonnet, esponenti dell’ala più oltranzista favorevole al dialogo coi sovranisti italiani.
Il movimento francese è spaccato al suo interno, la parte più moderata incarnata da Jacline Mouraud non vuole saperne di Cinquestelle e Lega, ma con l’approssimarsi delle elezioni europee l’attrazione fatale fra i populisti in cerca di alleanze sembra quasi inevitabile. Non solo: i punti di contatto fra le rivendicazioni dei Gilet Jaunes ed alcuni cavalli di battaglia della maggioranza giallo-verde in Italia ci sono e non sono pochi: basti pensare al tema della “democrazia diretta” e al vivace dibattito sul referendum di iniziativa popolare in Francia, che rimanda direttamente a quello italiano sulla riforma del referendum con l’introduzione della consultazione propositiva e abbassamento del quorum al 25%.

La crisi politica più importante dal secondo dopoguerra ad oggi
Secondo lo storico Marc Lazar (Sciences Po) dopo le “ingerenze” sui Gilet Gialli le relazioni Italia–Francia non sono state “mai tanto in basso dal secondo dopoguerra ad oggi”. La verità però è che scontro istituzionale degli ultimi giorni è solo l’ultimo di una serie di episodi che hanno messo a dura prova le diplomazie dei due paesi, complice l’esuberanza del presidentissimo Macron ed il protagonismo francese che in più occasioni ha mostrato di non farsi scrupolo di scavalcare un paese amico ed alleato pur di far prevalere l’interesse di Parigi. Le radici della crisi risalgono al 2011, con l’intervento francese in Libia che ha messo l’Italia davanti al fatto compiuto in un’area che da sempre veniva considerata il “cortile di casa” di Roma. Da allora nulla è stato più come prima: la morte di Gheddafi ha gettato la Libia nel caos, modificando la geografia del potere e dei rapporti economici nella più vasta area petrolifera della sponda Sud. In questa situazione di vuoto istituzionale si è poi innestato il mercato del traffico di esseri umani, governato dalle fazioni e tribù contrapposte e mai seriamente arginato da una presa di coscienza congiunta dei partners europei. Anzi. L’Italia denuncia da anni di essere vittima dell’ “imperialismo” francese, che dal caos libico e dagli effetti collaterali dell’afflusso di migranti è stata messa in grande difficoltà, mentre Parigi rifiutava sistematicamente di accogliere le imbarcazioni Ong nei suoi porti ed i migranti ai valichi di frontiera. Non solo: l’Italia è stata scavalcata dall’iniziativa diplomatica di Macron quando, nel luglio del 2017 ha organizzato un vertice-lampo inter libico a La Celle Saint Cloud escludendo la presenza di Gentiloni e Minniti.
Il nuovo fronte
Il nuovo fronte aperto dal presidente francese “riformista ed europeo” contro tutti i nazionalismi e dunque in primo luogo contro il governo giallo-verde di Roma, non fa che aggravare l’incomunicabilità fra i due paesi. La tentazione di Macron, a quattro mesi dalle elezioni europee, è quella di uscire dall’angolo delle difficoltà interne invocando il complottiamo degli “agenti esterni”, M5S e Lega. Mentre dal canto loro, Salvini e Di Maio non nascondono di voler indebolire l’inquilino dell’Eliseo, visto come emanazione del potere delle élites finanziarie europee e di un’euroburocrazia tutta da cambiare a favore di un’Unione dei popoli dentro una federazione di nazioni con un forte primato sociale. Per fare questo, di Maio non esita ad offrire l’utilizzo della piattaforma Rousseau ai Gilet francesi e Salvini accetta la compagnia ingombrante e non priva di contraddizioni dei leader dell’ultradestra europea: l’ungherese Orban ed il polacco Kaczynski, in confronto ai quali Marine Le Pen sembra una mammoletta moderata. Riuscirà l’onda delle forze anti-sistema a capovolgere l’ordine europeo? Al momento la pars destruens sembra prevalere sulla pars construens. E nella crisi profonda tra paesi un tempo alleati si insinua il rischio di non vedere mai nascere l’alba di una nuova Europa.