Mandato di cattura, bufera su Netanyahu: "Corte antisemita". Gli Usa lo lo sostengono, ma per l'Ue "va arrestato"
Mentre Orban lo invita a Budapest per protesta contro la Cpi, il premier israeliano è al centro delle polemiche in patria. Crosetto: "Ordine sbagliato ma va applicato". La Cina invita i giudici a essere obiettivi e applicare il diritto internazionale e l'Iran accusa
Ha sicuramente gettato Israele nel caos l'emissione di un mandato d'arresto per "crimini di guerra" e "crimini contro l'umanità" nei confronti del premier israeliano Benyamin Netanyahu e dell'ex ministro della Giustizia, Yoav Gallant, da parte della Corte penale internazionale. Il dibattito interno intorno alla figura del premier, la cui immagine è già fortemente compromessa per aver ingaggiato una guerra sanguinosa - che va avanti da più di un anno e ha provocato oltre 44mila morti palestinesi, di cui oltre un quarto sono bambini - che non è servita a riportare a casa tutti gli ostaggi nelle mani di Hamas dal 7 ottobre, si infiamma e apre a nuove ipotesi di governo. Il premier respinge con forza le accuse del Tribunale dell'Aja, tacciandolo di "antisemitismo" e sostenendo che "nessuna scandalosa decisione anti-israeliana ci impedirà, e mi impedirà, di continuare a difendere il nostro Paese", appoggiato peraltro su questa linea da tutto l'arco parlamentare. Un mandato d'arresto internazionale è stato emesso anche contro il capo militare di Hamas, Deif, che Israele ritiene di aver ucciso ma sulla cui morte non è arrivata la conferma di Hamas.
Netanyahu nell'occhio del ciclone
Il momento è delicato per il governo israeliano, con due ministri in cacere con l'accusa di aver passato alla stampa informazioni riservate con il solo scopo di favorire la visione di Netanyahu, contrario al cessate il fuoco con Hamas e quindi a "riportare a casa" le persone ancora nelle mani del gruppo islamico che governa Gaza. Sulla strada del premier c'è anche l'interrogatorio al quale sarà sottoposto il 2 dicembre per i casi di corruzione che lo vedono coinvolto. La sua popolarità non è ai massimi, scrive Repubblica, e già un nome si fa strada come possibile competitor in eventuali elezioni anticipate: Naftali Bennett, ex primo ministro, anch'egli di destra e vicino al movimento dei coloni e con una popolarità, come descritta dai sondaggi, al pari di quella del premier.
Di fronte alle gravi accuse internazionali, invocano giustizia i rappresentanti dall'Autorità nazionale palestinese che chiedono invece l'esecuzione dell'ordine restrittivo da parte dell'organismo giudiziario internazionale. "Un segno di speranza e di fiducia nel diritto internazionale e nelle sue istituzioni", ha detto il presidente Abu Abbas, mentre Hamas con una nota invita il tribunale ad "allargare la ricerca di responsabilità a tutti i leader criminali dell’occupazione".
Gli Usa: "Mandati d'arresto scandalosi"
Il resto del mondo mostra reazioni differenti a seconda della adesione o meno al Trattato di Roma istitutivo della Cpi, ma anche a proprie convenienze e alleanze. Gli Stati Uniti, che sempre hanno appoggiato la politica spregiudicata di Netanyahu - solo 48 ore fa il veto sulla risoluzione Onu che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza -, definiscono i mandati di arresto della Corte "scandalosi", come nelle parole di Joe Biden. "Voglio essere chiaro: non c'è nessuna equivalenza fra Israele e Hamas. Saremo sempre a fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza", ha aggiunto il presidente Usa.
Borrell e l'obbligo degli Stati Ue
L'Unione europea ha invece difeso l'operato dei giudici della Corte dell'Aja. L'Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, ha detto che la loro "non è una decisione politica, ma la decisione di un tribunale che deve essere rispettata e applicata". Per poi aggiungere che "la tragedia a Gaza deve finire". La decisione del Tribunale è vincolante per tutti i 124 Paesi che hanno aderito al trattato istitutivo della Cpi, tra cui l'Italia, ma non Israele, gli Usa e la Cina. Significa che Netanyahu non potrà recarsi in ciascuno di questi Stati, pena l'obbligo di arresto. E tutti i Paesi dell'Ue devono adempiere perché la decisione, ha ricordato Borrell, "è vincolante". La Francia e altri Stati hanno detto che eseguiranno il mandato d'arresto, così come l'Italia. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha detto che "la decisione è sbagliata ma va eseguita". E se il premier israeliano dovesse venire in Italia? "Dovremmo arrestarlo". Non la pensa così Salvini.
Il controcanto di Orban
A suonare il controcanto ci pensa Viktor Orban, il discusso primo ministro dell'Ungheria, presidenza di turno dell'Ue e Paese firmatario del Trattato di Roma. Il premier magiaro ha annunciato che inviterà Netanyahu in patria per protestare contro il mandato di arresto. "Non abbiamo altra scelta che sfidare questa decisione. Inviterò" Netanyahu "a venire in Ungheria, dove posso garantirgli che la sentenza della Corte penale internazionale non avrà alcun effetto", ha dichiarato in un'intervista alla radio statale.
La Cina contro il "doppio standard" Usa
Anche la Cina (che non aderisce alla Cpi) ha esortato i giudici a mantenere una "posizione obiettiva e giusta", chiedendo che "eserciti i suoi poteri in conformità con la legge", ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Lin Jian, affermando di "sostenere qualsiasi sforzo della comunità internazionale sulla questione palestinese che sia utile per raggiungere equità e giustizia e sostenere l'autorità del diritto internazionale". Poi Lin si è scagliato contro Washington, accusandolo di "doppi standard" in risposta a una domanda sull'opposizione americana al mandato di cattura per Netanyahu da parte della Corte e sul sostegno, invece, accordato su quello rigaurdante il presidente russo Vladimir Putin. "La Cina si oppone con forza al fatto che alcuni Paesi utilizzino il diritto internazionale solo quando fa loro comodo", ha osservato Lin.
Nella questione interviene anche l'Iran, che non aderisce alla Cpi, ma che definisce il mandato d'arresto "la fine e la morte politica del regime sionista, un regime che oggi vive in un assoluto isolamento politico nel mondo e i suoi funzionari non possono più viaggiare in altri Paesi", ha detto il capo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, il generale Hossein Salami.