"C'è una guerra anche nel sud del Libano", Lamis Dawi racconta la fuga e l'incubo dell'occupazione di Israele
"All’inizio del conflitto ricordo che io ero l’unica della mia università che era stata costretta a lasciare la propria casa. Nel sud i bambini quest’anno non sono andati a scuola, è da ottobre che sono costretti a seguire le lezioni online”
“Vengo da Aytaroun, una città nel sud del Libano proprio sul confine con il nord di Israele. È stata una delle prima città colpite dai bombardamenti israeliani, all’indomani dell’inizio dell’offensiva a Gaza”, racconta al telefono Lamis Dawi, studentessa libanese che si trovava a Beirut durante i due cyberattacchi che sarebbero stati condotti da Israele e che hanno sconvolto la capitale libanese martedì e mercoledì scorsi.
“Fortunatamente abbiamo anche una casa a Beirut e quando la guerra è iniziata ci siamo spostati qui, siamo qui da quasi un anno ormai. Ogni giorno però chiediamo di controllare che la nostra casa non sia stata bombardata; poco fa c’è stata un’esplosione nel nostro quartiere e ho dovuto assicurarmi che tutto fosse a posto, che la nostra casa e quella dei miei vicini fossero ancora in piedi. Viviamo con quest’ansia da ottobre” continua. Prima dell’attacco che ha trasformato i cercapersone dei miliziani di Hezbollah e subito dopo centinaia di apparecchi elettronici in bombe pronte ad esplodere, causando 20 morti, di cui due bambini, e 450 feriti tra miliziani e civili, Beirut era già stata colpita dai missili israeliani.
“I due bombardamenti che hanno colpito la parte sud di Beirut nei mesi passati sono avvenuti in un’area molto popolata, piccola e piena di civili. Ricordo che durante il primo bombardamento fu colpita la casa di fronte alla nostra. Dopo il secondo attacco siamo stati costretti a lasciare il sud di Beirut, abbiamo preso una casa in affitto al nord perché il sud della città non era più sicuro. Fino ad una settimana fa pensavamo che la situazione stesse migliorando, ma poi c’è stato il cyber attacco, che ci ha fatti ripiombare nel terrore”, spiega Dawi, “adesso siamo arrabbiati, quello che è successo con i cercapersone, le immagini del supermarket, non sono qualcosa di straordinario, loro non considerano mai i civili, lo fanno con Gaza da quasi un anno, lo fanno anche con noi”.
I due attacchi consecutivi di martedi e mercoledi scorsi hanno reso ormai sempre più imminente e quasi inevitabile un'escalation con Israele, e la gente adesso è pronta a scappare nuovamente. “È molto difficile per noi spiegare a chi vive nel nord del Libano quello che sta accadendo” - continua la studentessa - “loro non vivono quello che stiamo vivendo noi. Prima di questi due attacchi c'era gente che neanche sapeva che c’era una guerra in corso in Libano, è come se noi non esistessimo. All’inizio del conflitto ricordo che io ero l’unica della mia università che era stata costretta a lasciare la propria casa. Nel sud i bambini quest’anno non sono andati a scuola, è da ottobre che sono costretti a seguire le lezioni online”.
Dopo più di vent’anni l'incubo dell’occupazione del sud del paese ritorna alle memorie di chi dall’occupazione israeliana era già stato costretto a scappare. “La maggior parte dei civili nel sud del Libano e a Beirut sono pronti a scappare nuovamente e siamo arrivati ad un punto in cui consideriamo la possibilità di non poter più tornare indietro nelle nostre case. Ma mio padre mi dice sempre che è stato costretto a stare lontano da casa sua per 20 anni, quando Israele occupò il sud del Libano, ma poi è tornato. E se questo accadrà nuovamente, potrebbe voler dire essere costretto a stare più anni lontano da casa, ma prima o poi tornerà, perché la terra e gli alberi ci conoscono e stanno aspettando il nostro ritorno e le nostre radici ci chiamano, e nessuno potrà tagliarle”, conclude Dawi.