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Elezioni in Groenlandia, vince la destra sovranista e indipendentista. Che vuole cedere a Trump

Il partito Democratii sfiora il 30% mentre il secondo arrivato, Naleraq, vola al 24,5. Crollano il centrosinistra ambientalista e i socialdemocratici. Le risorse minerarie e le terre rare su cui il presidente Usa vuol metter ele mani

Antonella A. G. Loidi An. L.   

La Groenlandia vira a destra, estrema. Dalle elezioni tenutesi ieri è emerso, mentre lo spoglio è ancora in corso, che nell'Isola del Nord Atlantico i partiti di maggioranza sono due, indipendentisti e sovranisti. Entrambi a favore della secessione dalla Danimarca ma con due approcci differenti. Il primo, Demokratii, è un partito rimasto a lungo scettico sul divorzio da Copenaghen, ma che nel corso della campagna elettorale ha cambiato posizione. La percentuale raggiunta fino a ora - ma è da confermare - è del 29,9 per cento, con un balzo in avanti di 20 punti rispetto al 2021. Mentre sono state scrutinate 65 sezioni su 72, la situazione sembra già delineata anche se mancherebbero i dati della capitale. Con i suoi 57 mila abitanti, il 90 per cento dei quali di etnia Inuit, Nuuk può rimodulare il risultato.

Ma resta assodato che il partito Demokratii e il secondo arrivato, i sovranisti di Naleraq (“Punto di orientamento”), avranno la maggioranza in una tornata elettorale che verrà ricordata per l'altissima affluenza. Quest'ultima formazione, secessionista e favorevole a fare accordi con gli Usa di Trump, raggiungono il 24,5 per cento, il doppio rispetto alle ultime elezioni. La loro vittoria sta nell'essersi dichiarati secessionisti e a favore di rapporti commerciali con il governo del tycoon che, a più riprese, ha detto di volerla annettere. Il 4 marzo scorso il presidente Usa ha dichiarato: "Ne abbiamo davvero bisogno per la sicurezza mondiale internazionale. E penso che lo otterremo". 

Le mire di Trump e il prossimo referendum

L'annessione dell'isola continua a essere un pallino di lunga fermentazione per gli Stati Uniti. Risale ai primi anni del 1800 la cosiddetta "Dottrina Monroe" che riconosceva la Groenlandia territorio nella sfera di interesse Usa. Ma è del 1917 la dichiarazione con la quale venne riconosciuta la sovranità della Danimarca sulla Groenlandia e quella degli Stati Uniti sulle Isole Vergini, fino a allora sotto il controllo di Copenaghen.

Chi resta indietro sono i due partiti dell'attuale maggioranza, il centrosinistra ambientalista di Inuit Ataqatigiit, crollato al 21,4 dal 36,6 che aveva, e i socialdemocratici di Siumut addirittura al 14,7 dal 29,5. Il cambio di governo sembra ormai assodato. 

Adesso si apre la fase della trattativa per arrivare a un governo che faccia sintesi sulle varie posizioni. Resta inteso che da qui alla fine della legislatura, prevista nel 2028, si lavorerà anche per il referendum sull'indipendenza dalla Danimarca. L'analisi del voto, magari ancora prematura, dice che la polarizzazione nell'opinione pubblica è avvenuta e che il voto di protesta si concentra soprattutto nelle zone periferiche della grande isola artica. 

Le risorse minerarie della Groenlandia

Su cosa vorrebbe mettere le mani Trump è presto detto. L'isola artica è ricca di minerali e risorse petrolifere non sfruttati, comprese le terre rare, stimate dal Geological Survey of Denmark and Greenland (GEUS), in 36,1 miliardi di tonnellate. Ma recuperabili sono solo circa 1,5 milioni di tonnellate di minerali. Ma non solo le risorse minerarie, nelle mire statunitensi c'è anche la posizione strategica tra l'Oceano Artico e l'Atlantico settentrionale.

Antonella A. G. Loidi An. L.   
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