[Il retroscena] L'Europa è stanca dell'Italia a guida gialloverde e pensa a un "governo Juncker"
La Commissione oltre a mettere in dubbio gli obiettivi in materia di debito pubblico e disavanzo contesta i tre capisaldi del programma di governo: flat tax, quota 100 e reddito di cittadinanza
![[Il retroscena] L'Europa è stanca dell'Italia a guida gialloverde e pensa a un 'governo Juncker'](/export/sites/notizie/.galleries/16/juncker_anssa_750.jpg_613881476.jpg)
Ma “Loro”, invece, cosa farebbero? Mesi di bombardamento mediatico hanno ribadito, quasi quotidianamente, quanto a Bruxelles storcano il naso davanti, praticamente, ad ogni iniziativa del governo gialloverde (o populista, come lo definisce la stampa internazionale). L’ultimo Country Report che la Commissione ha dedicato all’Italia questa settimana è un ampio riassunto delle critiche di questi mesi. Nello specifico, oltre a mettere in dubbio gli obiettivi in materia di debito pubblico e disavanzo, si preoccupa di smantellare, contestandone efficacia e logica economica, i tre capisaldi del programma di governo. Nell’ordine: flat tax, quota 100 e reddito di cittadinanza. Ma contiene anche molti suggerimenti e indicazioni in positivo. Di fatto, in controluce, quasi un programma di governo alternativo. Che farebbe, dunque, un governo Juncker installato a Palazzo Chigi? Attenzione. Non quello che farebbe una troika, chiamata a commissariare l’Italia sull’orlo di una bancarotta. Di fronte all’emergenza, la troika chiamerebbe il paese ad una strategia lacrime, sangue e poco altro, un po’ sulla falsariga della Grecia. No, nell’Italia di oggi, ancora, per fortuna, in piedi, questo ipotetico governo Juncker sarebbe un governo di riforma e cambiamento, al di là degli argini stranoti su debito e disavanzo. Solo, non lo stesso cambiamento grillo leghista. Vediamo.
La strategia
Ogni governo si muove secondo una strategia generale di riferimento. Nel caso dell’accoppiata Di Maio – Salvini, l’idea di base, oltre a rispettare le promesse elettorali, è quella di mettere mano, ha ripetuto ancora Di Maio in questi giorni, ad esigenze sociali indifferibili: la povertà, il blocco delle pensioni, la stretta delle tasse. Sul piano economico, la logica è quella di sostenere una economia zoppicante, alimentando i consumi.
A Bruxelles, non ci credono. Il reddito di cittadinanza – in linea di principio il sussidio più generoso d’Europa – sarà molto complicato da attuare, anche più difficile da controllare, ancora più incerto come strumento di avviamento al lavoro. In ogni caso, la spinta ai consumi non supererà lo 0,15 per cento del Pil, in un momento in cui l’aumento dello stesso Pil frena dall’1 per cento previsto allo 0,2 per cento probabile. La revisione della Fornero fa anche di peggio, restringendo i consumi. Al di là dell’impatto che i pensionamenti anticipati hanno sulla sostenibilità del sistema previdenziale, le pensioni che verranno erogate saranno infatti inferiori agli stipendi attuali, imponendo un tenore di vita più modesto (salvo, come per il reddito di cittadinanza, nel caso di lavoro nero). Quanto alla flat tax, l’effetto redistributivo è regressivo, nel senso che favorisce i lavoratori autonomi nelle fasce più alte di reddito, quelle che non hanno bisogno di soldi in più per consumare di più. Il programma “europeo”, invece, pensa più a lungo termine, proponendo di concentrare le risorse che lo sforzo per ridurre debito e disavanzo lascia disponibili ad interventi che scuotano la produttività stagnante e accrescano le capacità di crescita potenziale del paese.
Le tasse
L’intervento cruciale, secondo Bruxelles, è quello per ridurre il cuneo fiscale, la differenza fra salario lordo (con tasse e contributi) e netto, ovvero quanto entra in busta paga. Oggi, in Italia, il cuneo per un lavoratore single con uno stipendio medio è pari al 47,7 per cento del salario lordo. Insomma, in busta paga c’è poco più della metà di quello che il lavoratore costa all’azienda. Nella Ue, il cuneo, in media, è pari a cinque punti in meno: 42,8 per cento. In numeri: in Italia, un lavoratore con uno stipendio di mille euro ne porta effettivamente a casa 523. Oltralpe, con lo stesso stipendio lordo, cinquanta in più: 572. Contemporaneamente, anche l’altro fattore produttivo – il capitale – viene supertassato dal sistema fiscale italiano. Le tasse sul capitale rastrellano il 24,1 per cento del gettito fiscale complessivo. Nel resto d’Europa, il 21,9 per cento. Dove trovare i soldi per alleggerire le tasse su lavoratori e imprese? Sulla casa, innanzitutto. La Ue è favorevole a ripristinare l’Imu sulla prima casa, ma, soprattutto a realizzare la riforma catastale sempre rimandata, avvicinando i valori patrimoniali a quelli di mercato (oggi, molto spesso, le case in periferia pagano più tasse di quelle in centro). Poi sui consumi. In Italia, l’aliquota principale Iva (al 22 per cento) è leggermente più alta di quella media europea. Solo che la pagano in pochi. Infatti, l’Iva rappresenta poco meno del 15 per cento delle entrate totali, mentre, nonostante un’aliquota più bassa, in Europa si arriva oltre il 18 per cento. Colpa, secondo Bruxelles, di troppi sconti ed esenzioni. Ma, soprattutto dell’evasione: la fatturazione elettronica appena introdotta può ridurre le dichiarazioni omesse, ma solo i controlli possono assicurare che venditore e compratore non si accordino per evitare l’Iva.
Dove mettere i soldi
La risposta giusta alla povertà, secondo Bruxelles, è il lavoro. Più che i sussidi, servono misure per facilitare l’accesso alla casa e una moltiplicazione degli asili nido, per liberare il lavoro delle donne. Ma, soprattutto, bisogna incentivare la produttività. L’economia italiana non cresce dagli anni ’90 e il motivo è una produttività stagnante. La priorità, dunque, è un turbo agli investimenti. Pubblici, in infrastrutture, ma anche privati in ricerca, sviluppo, innovazione, per un’industria troppo vecchia. Il problema chiave, secondo Bruxelles, è il capitale umano, la cui scarsità taglia fuori l’Italia dalla “economia della conoscenza”. La leva trascurata è la scuola. L’Italia dedica oggi solo il 3,9 per cento del Pil alla scuola, contro il 4,7 per cento della media Ue. Le spese per frequentare l’università sono fra le più alte d’Europa e i laureati sono quelli sbagliati. Lo 0,6 per cento del totale in informatica, contro il 2,5 per cento negli altri paesi e il 12,2 per cento, contro il 15,5 per cento europeo, nelle facoltà scientifiche e di ingegneria. Inoltre, siccome a Bruxelles Salvini non detta legge, i funzionari della Commissione si preoccupano anche degli immigrati, cruciali in un paese che invecchia sempre più in fretta. Il 10 per cento degli scolari italiani viene da una famiglia di migranti, ma sei su dieci di loro sono nati in Italia. A scuola vanno mediamente peggio: quasi un terzo viene bocciato, contro un decimo per gli italiani e la percentuale di quelli che abbandonano la scuola senza terminare gli studi è superiore al 30 per cento, contro il 12 per cento della popolazione scolastica media. E’ uno spreco, contro cui non si stanno prendendo contromisure mirate a favorire l’integrazione scolastica.
Le riforme
Quelle che davvero contano, secondo il programma “all’europea” , sono quelle che aumentano efficienza e competizione. A Bruxelles c’è, anzitutto, nostalgia delle “lenzuolate” di Bersani. Portare la concorrenza dove non c’è. A cominciare dal commercio: le chiusure alla domenica? Neanche parlarne. E basta con il rinnovo automatico, a prezzi stracciati, delle concessioni pubbliche, si tratti delle bancarelle, degli stabilimenti balneari o delle autostrade. Poi, riconvertire in massa gli uffici pubblici ai computer. Infine, la vera emergenza italiana? Dal punto di vista degli investitori è nei tempi eterni della giustiziai: gli interminabili processi (per un licenziamento, come per recuperare un credito) dei tribunali civili .