Il nemico invisibile: come il Covid-19 ha avuto la meglio sui giganti del mare della marina americana e francese
La Theodore Roosevelt e la Charles De Gaulle alla fine si sono dovute arrendere e hanno dovuto interrompere le operazioni militari per il dilagare della pandemia

Nel mondo multipolare e assai incerto degli ultimi venti anni è diventato sempre più importante avere la capacità di dispiegare rapidamente una forza in grado di attaccare, contenere o anche solo intimorire con la sua presenza. Dal Pacifico all’Oceano Indiano, dallo stretto di Malacca al Mar Cinese, dallo stretto di Hormuz alle coste orientali del Mediterraneo, disporre di una portaerei e del suo potenziale di attacco è spesso un fattore cruciale.
Champions o Europa League
Poter contare su una o più di queste fortezze galleggianti determina la capacità di proiezione strategica di una nazione e quindi contribuisce a definire il suo ruolo a livello regionale o globale. In pratica ha un buon peso per decidere se giochi nel torneo d’elite del tuo continente, oppure in quello di minor prestigio, se fai la Champions o l’Europa League.
Non è un caso che una volta abbandonata l’idea di giocare in difesa e maturata da un lato la necessità di proteggere i suoi commerci e le rotte sulle quali viaggiano le sue navi e dall’altra l’idea di divenire “la” potenza militare regionale di riferimento, la Cina si sia affrettata a dotarsi di una portaerei. Dapprima, non avendo le conoscenze sufficienti per costruirne una, ha recuperato una portaerei di era sovietica comprata dall’Ucraina, poi ha mobilitato risorse ingenti per riuscire a costruirne una seconda.
Arrivare a varare una di queste fortezze infatti vuol dire possedere capacità di progettazione e tecnologiche che sono patrimonio di pochi. Tanto per dare un’idea: sui sette mari dell’orbe terracqueo navigano solo 22 portaerei, 11 delle quali sono statunitensi, 2 inglesi, 2 italiane, la Garibaldi e la Cavour, 2 cinesi e 5 tra Francia, Russia, India, Spagna e Thailandia.
Giganti immensi circondati dalle loro flotte di appoggio, le portaerei, almeno in questi tempi di guerre e confronti locali, non temono nulla se non forse un attacco cibernetico ai loro sistemi. Fino allo scorso marzo, quando dei recalcitranti vertici militari hanno dovuto riconoscere che oltre e prima dei virus informatici ci sono altri tipi di virus, quelli biologici. Virus come il Covid-19.
USS Theodore Roosevelt
La prima a essere colpita, con una storia che ha fatto il giro del mondo, è stata la USS Theodore Roosevelt, classe Nimitz, nota anche con il nomignolo di “Big Stick”. Lo scorso 24 marzo, mentre era in missione nel Pacifico Orientale, a bordo della portaerei tre marinai risultano positivi al test per il Covid-19. Nel giro di un paio di giorni il numero sale rapidamente. Con un equipaggio di 5.000 persone che opera in spazi ristretti, l’ipotesi di contenere il contagio con le misure di distanziamento sociale era pura e semplice utopia. In quelle condizioni il dilagare dell’epidemia non sarebbe stata un’eventualità, ma una certezza. Continuare nelle operazioni era impossibile.
Un virus non può fermare la US Navy
Preso atto dell’evidenza il comandante Brett Crozier chiede di poter attraccare ed evacuare gran parte dell’equipaggio. I superiori di Crozier non sono entusiasti dell’idea, ritengono che non sia ammissibile che una portaerei della US Navy venga costretta a rientrare in porto e bloccata nella sua capacità operativa a causa di un virus tra l’equipaggio. Sanificare la nave e sostituire l’intero equipaggio vuol dire infatti fermare per un tempo prolungato uno dei cardini del sistema militare americano nel Pacifico. Così per intanto il Comando del Pacifico concede alla Roosevelt di evacuare via aerea i marinai contagiati e di dirigersi verso la base navale dell’isola di Guam, in mezzo all’Oceano.
Il 27 marzo la portaerei attracca in porto, ma non c’è l’ordine di evacuazione, l’equipaggio deve rimanere a bordo. Quattro giorni dopo il numero di contagiati arriva a cento e il comandante Crozier preoccupato e sconcertato dal tergiversare dei suoi superiori invia un’email a tre ammiragli suoi superiori e a sette altri comandanti della Flotta del Pacifico ribadendo la necessità di evacuare urgentemente la nave prima che si trasformi in un immenso lazzaretto. La mail arriva alla stampa e il caso esplode. Il 1° aprile la Marina ordina l’evacuazione della USS Theodore Roosevelt ordinando però che in quattrocento rimangano a bordo per vigilare sull’ordinario funzionamento dei due propulsori nucleari della portaerei.

Acclamazioni e proteste
Benché alla fine abbiano dovuto acconsentire alle sue richieste, la mossa del comandante Crozier non è piaciuta ai vertici della US Navy. Ritengono che l’invio di mail urbi et orbi, compresa la probabile soffiata alla stampa, non sia in linea con la condotta che dovrebbe tenere chi ha la responsabilità di guidare una portaerei statunitense e il 2 aprile sollevano Crozier dal comando della sua nave pur lasciandogli il grado.
La scena del comandante che se ne va dalla USS Theodore Roosevelt acclamato dai suoi marinai perché ha pensato prima alla loro salvezza che al cieco rispetto delle regole ha fatto il giro del mondo. Meno quella delle contestazioni dei marinai al Segretario della Marina Thomas Modly durante il suo discorso a bordo della portaerei. Com’era da aspettarsi l’audio del discorso, nel quale tra l’altro il Segretario della Marina definiva Crozier “troppo sempliciotto o troppo stupido” e criticava i marinai per aver acclamato il loro comandante, arriva alla stampa. Cinque giorni dopo Modly è costretto alle dimissioni.
Alla data del 24 aprile erano stati confermati 840 casi positivi tra i marinai della USS Theodore Roosevelt, tra cui lo stesso comandante Crozier, e un decesso per Covid-19. Quello della portaerei americana è divenuto un caso studio per le ricerche sulle modalità di propagazione del virus, un po’ come quello di Vo’ Euganeo in Italia.
L’orgoglio di Francia
Ma la USS Theodore Roosevelt, il suo equipaggio, il comandante e il Segretario Modly non sono le uniche vittime della potenza strategica del Covid-19. Anche i francesi hanno dovuto capitolare di fronte all’insidioso nemico. A fine gennaio la portaerei Charles De Gaulle, orgoglio della marina d’oltralpe, lascia il porto di Tolone alla volta del Mediterraneo Orientale dove parteciperà alle operazioni militari contro l’ISIS. A febbraio si ferma nel porto di Cipro e quindi muove verso lo Stretto di Gibilterra, l’Oceano Atlantico e il Mare del Nord.
Tutti a terra!
Prima di arrivare nella zona dove parteciperà a delle esercitazioni multinazionali, il 13 marzo la De Gaulle si ferma nel port di Brest in Bretagna. Erano i giorni in cui l’emergenza coronavirus cominciava a prendere piede anche in Francia dove erano stati vietati assembramenti superiori alle cento persone e il Presidente Emmanuel Macron aveva appena annunciato la chiusura delle scuole. Per il resto però le cose continuavano più o meno come prima, tanto che la domenica successiva, il 15 marzo, ci sarebbero state le elezioni amministrative.
Insomma il virus, le misure di distanziamento sociale non sembravano poi così fondamentali, almeno per l’equipaggio della De Gaulle. Così il comandante Éric Lavault lascia che i suoi marinai scendano a terra, vadano in giro, incontrino i loro familiari e facciano un po’ di sana baldoria nei locali della città bretone.
Nel Mare del Nord
Il 16 marzo, la portaerei riprende il largo con 52 nuovi membri dell’equipaggio, per un totale di 1.750 persone a bordo, portandosi nella zona di operazioni. Lì nel mare tra Gran Bretagna e Norvegia, con pioggia e temperature rigide, i dottori dell’infermeria non si sorprendono più di tanto di vedere 15-20 marinai al giorno che si presentano con tosse e raffreddore, un numero giudicato più o meno nella media. Le cose però cambiano qualche giorno dopo. Il 5 aprile il comandante Éric Lavault comincia ad allarmarsi. Il numero di persone che si presentano in infermeria sta crescendo esponenzialmente e tutti hanno sintomi compatibili con il Covid-19. Dalla De Gaulle inviano le radiografie di due marinai agli ospedali militari in Francia che riscontrano tracce del coronavirus.
Non c’è alternativa
Al contrario dei loro omologhi americani i vertici della marina francese, compresa la Ministra della Difesa Florence Parly, capiscono che non c’è alternativa: la missione della Charles De Gaulle viene sospesa e alla portaerei viene ordinato di far rotta verso la sua base di Tolone. L’equipaggio viene fatto sbarcare e sottoposto ai test: in 1.081 sono positivi. Come ha dichiarato il Generale François Lecointre, Capo di Stato Maggiore della Difesa “uno strumento militare essenziale era ora inutilizzabile”. A oggi nel Pacifico e nell’Atlantico ci sono due portaerei in meno, sono costrette in porto e non ripartiranno a breve. Il Covid-19 intanto continua a dilagare.