Francesco spinge per una Curia umile: da lì nascono partecipazione, comunione e missione
Non è facile capire cosa sia l’umiltà ha ricordato il papa che per spiegarla ha narrato l’esempio di Naaman il Siro contenuto nella Bibbia. Ai dipendenti il papa garantisce occupazione e invita a valorizzare i nonni nelle famiglie
L’invito all’umiltà come chiave di volta di una coerente testimonianza evangelica è stata raccomandata da papa Francesco alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi. Un invito che in qualche misura richiama e completa un altro discorso natalizio passato alla storia come il discorso sulle “malattie curiali” più abituali nella Curia Romana da cui liberarsi con la conversione. Un bel gruzzolo di malattie catalogate nel 2014 in ben 15 punti. Forse troppi che suscitarono clamore fuori Vaticano e un certo malessere dentro le mura leonine. Critiche papali prese a male; chiarivano invece la sua alta considerazione della Curia immaginata “un piccolo modello della Chiesa, come un corpo vivo, sano, armonioso e più unito in se stesso e con Cristo”. Il Natale alle porte – ricorda il papa - che l’umiltà è stata la porta di ingresso di Gesù nel mondo e “invita tutti noi ad attraversarla” in un tempo come l’attuale che “sembra aver dimenticato l’umiltà, o pare l’abbia semplicemente relegata a una forma di moralismo, svuotandola della dirompente forza di cui è dotata”.
L’esempio di Naaman il Siro
Non è facile capire cosa sia l’umiltà ha ricordato il papa che per spiegarla ha dedicato parte del suo discorso a narrare l’esempio di Naaman il Siro contenuto nella Bibbia. Un generale famoso e vittorioso che, malato di lebbra, per la sua guarigione non esitò a seguire l’indicazione del profeta Eliseo lavandosi sette volte nel fiume Giordano. “La storia di Naaman – ha osservato Francesco - ci ricorda che il Natale è un tempo in cui ognuno di noi deve avere il coraggio di togliersi la propria armatura, di dismettere i panni del proprio ruolo, del riconoscimento sociale, del luccichio della gloria di questo mondo, e assumere la sua stessa umiltà. Possiamo farlo a partire da un esempio più forte, più convincente, più autorevole: quello del Figlio di Dio, che non si sottrae all’umiltà di “scendere” nella storia facendosi uomo, facendosi bambino, fragile, avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia. Tolte le nostre vesti, le nostre prerogative, i ruoli, i titoli, siamo tutti dei lebbrosi, tutti noi, bisognosi di essere guariti. Il Natale è la memoria viva di questa consapevolezza e ci aiuta a capirla più profondamente”. L’umiltà è una delle tematiche più importanti della spiritualità gesuita voluta da sant’Ignazio fondatore della Compagnia di Gesù. E Francesco, da buon gesuita, ne ha fatto uno degli argomenti centrali del suo pontificato con parole e gesti concreti. La sua vicinanza ai poveri è una conseguenza del sentirsi umili e farsi carico dei poveri.
Cos’è l’umiltà
“L’umiltà – ha puntualizzato Francesco - è la capacità di saper abitare senza disperazione, con realismo, gioia e speranza, la nostra umanità; Senza umiltà cercheremo rassicurazioni, e magari le troveremo, ma certamente non troveremo ciò che ci salva, ciò che può guarirci. Le rassicurazioni sono il frutto più perverso della mondanità spirituale, che rivela la mancanza di fede, di speranza e di carità, e diventano incapacità di saper discernere la verità delle cose. Se Naaman avesse continuato solo ad accumulare medaglie da mettere sulla sua armatura, alla fine sarebbe stato divorato dalla lebbra: apparentemente vivo, sì, ma chiuso e isolato nella sua malattia. Egli con coraggio cerca ciò che possa salvarlo e non ciò che lo gratifica nell’immediato”.
La superbia
Tutti sappiamo che “il contrario dell’umiltà è la superbia. Chi vive facendo affidamento sulla superbia si ritrova privato delle cose più importanti che abbiamo: le radici e i germogli. Ma affinché il ricordare non diventi una prigione del passato, abbiamo bisogno di un altro verbo: generare. “L’umile – l’uomo umile, la donna umile – ha a cuore anche il futuro, non solo il passato, perché sa guardare avanti, sa guardare i germogli, con la memoria carica di gratitudine. L’umile genera, invita e spinge verso ciò che non si conosce. Invece il superbo ripete, si irrigidisce – la rigidità è una perversione, è una perversione attuale – e si chiude nella sua ripetizione, si sente sicuro di ciò che conosce e teme il nuovo perché non può controllarlo, se ne sente destabilizzato… perché ha perso la memoria. Perché Francesco ha sentito il bisogno di raccomandare l’umiltà alla Curia Romana alla vigilia di questo Natale? Lo lascia intendere con un’importante digressione al sinodo mondiale della Chiesa cattolica ormai in corsa. Proprio le dimensioni di coinvolgimento del popolo di Dio lasciano intendere l’importanza dell’umiltà per non rendere la ricerca sul che fare una inutile e gigantesca discussione senza fine. “Lo scorso 17 ottobre – ha detto il papa - abbiamo dato inizio al percorso sinodale che ci vedrà impegnati per i prossimi due anni. Anche in questo caso, solo l’umiltà può metterci nella condizione giusta per poterci incontrare e ascoltare, per dialogare e discernere, per pregare insieme” evitando alcune tentazioni pericolose. Prima fra tutte il clericalismo che “come tentazione – perversa – serpeggia quotidianamente in mezzo a noi ci fa pensare sempre a un Dio che parla solo ad alcuni, mentre gli altri devono solo ascoltare ed eseguire…Sarebbe però sbagliato pensare che il Sinodo sia un evento riservato alla Chiesa come entità astratta, distante da noi. La sinodalità è uno stile a cui dobbiamo convertirci innanzitutto noi che siamo qui e che viviamo l’esperienza del servizio alla Chiesa universale attraverso il lavoro nella Curia romana” che non è solo uno strumento logistico e burocratico per le necessità della Chiesa universale, ma è il primo organismo chiamato alla testimonianza, e proprio per questo acquista sempre più autorevolezza ed efficacia quando assume in prima persona le sfide della conversione sinodale alla quale anch’essa è chiamata. L’organizzazione che dobbiamo attuare non è di tipo aziendale, ma di tipo evangelico”.
Partecipazione, comunione e missione
Durante l’apertura dell’assemblea sinodale “ho usato tre parole-chiave: partecipazione, comunione e missione. E nascono da un cuore umile: senza umiltà non si può fare né partecipazione, né comunione, né missione. Queste parole sono le tre esigenze che vorrei indicare come stile di umiltà a cui tendere qui nella Curia”. La missione, in particolare, sempre comporta “passione per i poveri, cioè per i “mancanti”: coloro che “mancano” di qualcosa non solo in termini materiali, ma anche spirituali, affettivi, morali. Chi ha fame di pane e chi ha fame di senso è ugualmente povero. La Chiesa è invitata ad andare incontro a tutte le povertà, ed è chiamata a predicare il Vangelo a tutti perché tutti, in un modo o in un altro, siamo poveri, siamo mancanti. Ma anche la Chiesa va loro incontro perché essi ci mancano: ci manca la loro voce, la loro presenza, le loro domande e discussioni”.
L’incontro con i dipendenti
Dopo i cardinali e la Curia, Francesco ha incontrato nell’Aula Paolo VI i dipendenti laici del Vaticano con le loro famiglie. Ha loro ricordato l’importanza di mai smettere il dialogo con i nonni per garantire l’armonia familiare e ha ribadito la sollecitudine per garantire lavoro a tutti i dipendenti. “Per quanto riguarda il lavoro, come vi dicevo un anno fa, - ha assicurato Francesco - abbiamo cercato di garantire l’occupazione; ci siamo impegnati a non lasciare nessuno senza lavoro. Certo, la gestione del periodo di chiusura non è stata facile; so che c’è stato qualche problema, lo so; spero che si possano trovare soluzioni soddisfacenti attraverso il dialogo, cercando di venirsi incontro, sempre nel rispetto dei diritti dei lavoratori e del bene comune”.