Francesco alla Curia: basta furbizia alla Gattopardo. E con il segretario dell’Onu lancia un videomessaggio di pace
Negli auguri natalizi un vero scossone del papa per spiegare il senso della riforma in corso con la quale ha inteso avviare un processo nel tempo di un cambio reale e non solo apparente della Curia. Il Decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano lascia l’incarico dopo 14 anni.

Un vero scossone per un cambiamento profondo e non solo apparente quello del papa alla Curia romana nel discorso di auguri per il Natale. Cambiare è un’esigenza dal momento che già il cardinale Martini prima di morire pungolava la Chiesa “rimasta indietro di duecento anni”. Parole secondo Francesco che “devono farci interrogare. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio.[…] Solo l’amore vince la stanchezza”. Non c’è spazio pertanto per la mentalità del Gattopardo che aveva il proposito di cambiare tutto in apparenza per lasciare tutto immutato. Questo Natale non sarà ricordato come uno dei tanti negli annali vaticani. E neppure l’ampio discorso alla Curia che viene il giorno dopo un segnale imprevisto di attenzione al segno dei tempi: registrare, insieme al segretario generale delle Nazioni Unite ricevuto in udienza dopo il fallimento del COP 25, un videomessaggio per rilanciare l’urgenza della pace e del cambio di passo per fare fronte al cambiamento climatico.
La nota
Quanto alla Curia è lo stesso papa a riassumere in una nota a piè di pagina la sintesi dell’ampio discorso sull’obiettivo della riforma in corso in Vaticano: “non una nuova curia romana, ma piuttosto una nuova epoca” di cui prendere coscienza.
Ci sono alcuni passaggi nelle parole di Francesco che aiutano a capire lo spirito di quanto sta chiedendo con insistenza non solo anzitutto a tutta alla Curia, ma alla Chiesa intera.
La percezione del cambiamento non è giunta all'improvviso
“ La percezione che il cambiamento di epoca ponga seri interrogativi riguardo all’identità della nostra fede non è giunta, a dire il vero, all’improvviso. In tale quadro s’inserirà pure l’espressione “nuova evangelizzazione” adottata da San Giovanni Paolo II”. Oggi “ non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica”. E ancora: “Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata”. Francesco più che attardarsi in polemiche sterili con i tanti suoi critici turbati dalle sue scelte pastorali, si concentra in una visione di Chiesa credibile per rendere credibile il Vangelo agli occhi dell’uomo moderno.
E’ proprio nel messaggio di Natale che ricorda l’incarnazione di Gesù compresa l’indicazione di marcia per la Chiesa: non il cambiamento per il cambiamento “oppure di seguire le mode, ma di avere la convinzione che lo sviluppo e la crescita sono la caratteristica della vita terrena e umana, mentre, nella prospettiva del credente, al centro di tutto c’è la stabilità di Dio”. Cambiamento come conversione, trasformazione interiore, mettendo il cuore in condizione di ripartire per essere fedele alla sequela del Vangelo. Specialmente nel nostro tempo dove sta verificandosi un cambiamento di epoca non basta “limitarsi a indossare un nuovo vestito e poi rimane in realtà come prima”.
Un cambio non superficiale
Le sfide del tempo presente richiedono anche alla Curia un cambio non superficiale ma a partire dal centro stesso dell’uomo. “Noi dobbiamo avviare processi e non occupare spazi: Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Appellarsi alla memoria non vuol dire ancorarsi all’autoconservazione, ma richiamare la vita e la vitalità di un percorso in continuo sviluppo”.
Vale anche per la riforma della Curia, ispirata proprio a questi criteri sia per quanto già si sta sperimentando sia per le innovazioni in arrivo. “In realtà, l’obiettivo dell’attuale riforma è che «le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato all’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie». Non è un caso che la nuova Costituzione Apostolica sulla riforma in preparazione abbia come titolo Praedicate evangelium”.
I due nuovi dicasteri
Francesco si è dilungato in particolare a descrivere il senso di due nuovi dicasteri gia invia di sperimentazione: il Dicastero per la Comunicazione che ha accorpato ben nove organismi precedenti e il Dicastero per lo Sviluppo umano integrale che accorpa altri organismi.
“Non si tratta più soltanto di “usare” strumenti di comunicazione, ma di vivere in una cultura ampiamente digitalizzata che ha impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, di apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri”. La nuova cultura, marcata da fattori di convergenza e multimedialità, “ha bisogno di una risposta adeguata” da parte della Sede Apostolica nell’ambito della comunicazione multimediale. Tutto ciò implica, “insieme al cambiamento culturale, una conversione istituzionale e personale per passare da un lavoro a compartimenti stagni – che nei casi migliori aveva qualche coordinamento – a un lavoro intrinsecamente connesso, in sinergia”. Va pure compresa la portata del Dicastero per il Servizio Umano integrale poiché “si attua nel servire i più deboli ed emarginati, in particolare i migranti forzati, che rappresentano in questo momento un grido nel deserto della nostra umanità. La Chiesa è dunque chiamata a ricordare a tutti che non si tratta solo di questioni sociali o migratorie ma di persone umane, di fratelli e sorelle che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata. È chiamata a testimoniare che per Dio nessuno è “straniero” o “escluso”. È chiamata a svegliare le coscienze assopite nell’indifferenza dinanzi alla realtà del Mar Mediterraneo divenuto per molti, troppi, un cimitero”.
Grandi sfide
Gradi sfide e necessari equilibri tenendo conto dell’errore umano sempre possibile e quindi capacità di pazienza e dialogo, superando la tentazione della rigidità che nasce dalla paura del cambiamento. La Curia romana “non è un corpo staccato dalla realtà – anche se il rischio è sempre presente –, ma va concepita e vissuta nell’oggi del cammino percorso dagli uomini e dalle donne, nella logica del cambiamento d’epoca. La Curia romana non è un palazzo o un armadio pieno di vestiti da indossare per giustificare un cambiamento. La Curia romana è un corpo vivo, e lo è tanto più quanto più vive l’integralità del Vangelo”.