[Il punto] La Brexit e il Covid: con il Natale alle porte la Gb si trova in una tempesta mai vista prima
Boris Johnson vorrebbe uscire senza accordo ma non può per colpa del Covid. La Ue teme l’effetto imitazione sugli altri paese: vorrebbe punire Uk ma non può
Il Natale del Covid, a Londra è anche il secondo, e stavolta definitivo, Natale della Brexit. L’Inghilterra sarebbe dovuta uscire nel 2019, ma polemiche, indecisioni politiche e una paese diviso hanno ritardato il tutto. C’è voluto lo spavaldo Boris Johnson, al grido di “Get The Brexit Done” (Facciamo davvero la Brexit) per far uscire il paese dalle secche. Ma forse sarebbe stato meglio rimanerci, nelle secche. Il 31 gennaio la Gran Bretagna ha comunicato alla Ue il suo addio all’Europa: c’erano 11 mesi per separarsi in amicizia. Poche settimane dopo scoppia la epidemia di Coronavirus e il mondo va sott’acqua.
Ora con il Natale alle porte, il Regno Unito si trova in mare aperto con una tempesta mai vista prima: tra 10 giorni, succeda quel che succeda, dovrà per forza dire addio. Non ci sono più altre proroghe, e rischia di farlo senza rete. Dazi e dogane, merci bloccate, difficoltà di approvvigionamenti, ospedali e aziende a rischio di personale. Forse c’è da rimpiangere le secche di una Brexit in stallo. A Boris ai Brexiter duri e puri, il cosiddetto NO Deal non dispiace affatto: è quello che in fondo hanno sempre voluto. Ma ora il trauma di un paese staccato dalla Ue senza uno straccio di accordo, ma che dalla Ue importa tanti prodotti e altrettanti ne esporta, rischia di essere un rischioso salto nel buio.
Ecco perché a Londra e Bruxelles si cerca un “eleventh hour deal”, un accordo dell’ultimo minuto. Boris ha pre-allertato il parlamento di Westminster dal 26 al 31 dicembre. E’ una prassi abituale in realtà: lo si fa per eventuali sedute straordinarie. Ma stavolta la seduta straordinaria potrebbe succedere. I deputati della House of Commons sono stati precettati: niente vacanze, ma si preparino a votare un eventuale accordo in Zona Cesarini.
Ma questo è il nodo di tutto: qualsiasi accordo sarà, necessariamente, un pastrocchio, figlio di troppi compromessi. Gli inglesi non conoscono lo scrittore Carlo Emilio Gadda, ma gli italiani sì: la pace tra la Ue e la Gran Bretagna ha tutte le premesse per essere il classico pasticciaccio. Perché oggi la Brexit è finita in un vicolo: impossibile uscirne senza che qualcuno ci perda. E’ una di quelle situazioni ma sia la Ue sia UK hanno un disperato bisogno di poter dire che hanno vinto. Per opposti motivi. Purtroppo due vincitori non ci possono essere, ma si potrà giocare con le parole e far credere ai rispettivi cittadini di aver vinto o quantomeno di non aver perso. Ma il vero rischio è che il sasso a cada a metà strada: per non scontentare nessuno, per non doversi presentare davanti agli elettori con una sconfitta il documento che Ue e Uk metteranno sotto l’Albero sarà un testo da “Preambolo” democristiano di forlaniana memoria: un accordo che dice tutto e il suo contrario.
Tra i due litiganti, nessuno gode. Per la Gran Bretagna uscire dalla Ue era una già una scommessa che rischiava di costare molto (e molto, sarebbe già costato: 60 miliardi di euro di Pil perso, anche se in giro per Londra i questi anni nessuno se n’è accorto); ora con la recessione scoppiata causa Covid, la Brexit è un doppio salto mortale. Boris si ritrova finito in un angolo, senza una via d’uscita: vorrebbe fare una Hard Brexit, un’uscita al buio, ma è troppo rischiosa e ha bisogno della rete di protezione di un accordo. Ma qualsiasi accordo, anche il più favorevole al Regno Unito (concessione impossibile) sarà visto dai suoi elettori come una svendita del paese alla Ue. La richiesta base di Bruxelles, per concedere qualsiasi accordo, è che Uk adotti le stesse regole di mercato della Ue. Ma fare la Brexit e poi sottostare alle regole del mercato unico di Bruxelles, è come non farla per niente. E il Red Wall, i milioni di elettori Labour che sono passati ai Tory lo scorso anno, non lo perdonerebbero a Boris. Unico accordo che consenta di non perdere voti è non fare un accordo. Ma Boris si rende conto nessun paese può pensare di affrontare due tempeste contemporaneamente e che senza un accordo il paese rischia di schiantarsi.
Per questo il primo ministro sta alzando la voce sulla pesca, industria che pesa lo zero virgola sull’economia ma che tocca la pancia del paese: se riuscisse a ridurre o impedire alle navi europee la pesca al merluzzo, avrebbe salvato il suo slogan “Riprendiamo il controllo delle nostre acque” e di fronte agli elettori eviterebbe una figuraccia.
Sull’altro lato del tavolo, però, c’è la Ue che ha ancora più paura di un addio della Gran Bretagna: se per Uk la Brexit apre scenari imprevedibili e, nel peggiore, getta il paese in una recessione senza fine; per l’Ue lo scenario è invece certo, ma non per questo meno preoccupante: la Brexit apre una falla nella debole diga di Bruxelles. Se poco poco il Regno Unito dimostrerà che esiste vita al di fuori della Ue, sarà una corsa a uscire vorranno uscire, con l’Italia in testa). Un addio “tranquillo” della Gran Bretagna farà implodere la Ue. Per questo a Bruxelles non vogliono concedere nulla nel negoziato. Creerebbe un pericoloso precedente. Anzi, la Francia, in questo momento il paese più falco della Ue, vorrebbe addirittura punire gli inglesi, facendoli schiantare con un No Deal (che però politicamente salverebbe Boris).
“Nella Brexit non ci sono vincitori, ma solo sconfitti: ci perdono Ue e Uk” lamenta un alto diplomatico a Londra: al di là della propaganda, la Ue perde la più grossa piazza finanziaria d’Europa, che non può essere rimpiazzata da nessun altra Borsa continentale; e UK perde il mercato unico, che a fatica sarà rimpiazzato da accordi con singoli paesi.
A Downing Street, l’abitazione-sede del Governo dei primi ministri, pare che Boris abbia annunciato al suo Cabinet (consiglio dei ministri): “Lasciamo la Ue, ma ci rientreremo da paese libero”. Un proverbio inglese dice: “You can’t have the cake and eat it”. La torta o la mangi o la conservi. Tutt’e due è impossibile.