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Ennesimo documento su fine vita e cure palliative, ma sull'eutanasia il Vaticano non risolve la diaspora etica

Il documento,approvato da Francesco  lo scorso 25 giugno, ha come titolo proprio tre parole, una in italiano e due in latino: Lettera Samaritanus Bonus

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco     
Il Vaticano discute alcuni principi cristiani sul fine vita
Il Vaticano discute alcuni principi cristiani sul fine vita

 

 

Nel bel mezzo del Covid 19 che ha messo a nudo la vulnerabilità della condizione umana che nessun potere, neppure la disponibilità di denaro, è in grado di assicurare senza la solidarietà e la cura garantita ugualmente a tutti, il Vaticano ha scelto di ricordare in un modo del tutto nuovo alcuni principi cristiani sul fine vita. Il documento, firmato dal prefetto e dal segretario della congregazione per la dottrina della fede - che un tempo veniva identificata come Sant’Uffizio con il potere di perseguire con pene tremende chi non si atteneva alle sue regole - per la prima volta nella sua storia si presenta come una Lettera. E di una lettera davvero speciale si tratta, poiché dedicata alla “cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita”.

Questo tempo cruciale della vita  non va più considerate come una sequenza tremenda di norme da osservare per non incorrere nel castigo, ma va invece visto con una prospettiva nuova, quella del buon samaritano. Il documento,approvato da Francesco  lo scorso 25 giugno, ha come titolo proprio tre parole, una in italiano e due in latino: Lettera Samaritanus Bonus. L’argomento non è piacevole per nessuno poiché riguarda la morte dalla quale “nullo omo può scampare” per dirla con le parole di san Francesco. E allo stesso tempo il testo propone la speranza cristiana, fondata su Gesù crocifisso, quale l’unica luce di pieno conforto in una situazione dove la disperazione troppo spesso ha la meglio.

Se poi si tiene presente che la legislazione di molti paesi al mondo ha approvato o sta in fase di approvazione protocolli che regolano il fine vita dove viene ammessa anche l’eutanasia e il suicidio assistito, si comprenderà meglio la tempestività con cui si è lavorato negli ultimi tre anni, con una certa discrezione, a preparare la Lettera Samaritanus Bonus. A leggerla con calma, poiché si tratta di una sorta di piccola summa del magistero degli ultimi 50 anni, più adatta a esperti sanitari, teologi, operatori e pastori che al popolo minuto, si coglie l’indicazione normativa di un giusto comportamento cattolico verso le leggi dello Stato in materia.

Ma si percepisce anche una certa preoccupazione per l’eventuale apertura dei cattolici verso pratiche eutanasiche. Pertanto l’aria nuova del metodo di Francesco per una Chiesa presentata all’inizio di pontificato come “ospedale da campo”,  viene canalizzata e stretta  entro un magistero di sostanziale resistenza alla legislazione civile che non difende la vita (si ricordino le battaglie nei confronti dell’aborto o della vicenda Englaro  sul fine vita). E’ una conferma della difficoltà culturale a mettere insieme nella Chiesa l’esempio di Gesù che guarisce e cura le anime e i corpi senza giudicare e il comandamento di non uccidere.

Scegliendo, anziché la condanna, la medicina della misericordia e dell’accompagnamento sia nella malattia sia nella morte. Forse la buona intenzione per aggiornare il punto cattolico su una materia scottante e divisiva come la malattia terminale e la morte, avrebbe necessitato di un respiro davvero nuovo senza contentarsi – come avviene nel testo presentato ieri – di spunti nuovi frenati da passate visioni.

Le note al documento rinvia  in numero forse esagerato a citazioni di Giovanni Paolo II e a testi della medesima Congregazione della Dottrina della Fede che ha proliferato di documenti dagli anni ottanta del secolo scorso principalmente per mettere in guardia e indicare pericoli. Su questo impianto si inseriscono testi di Francesco in tema di fine vita e di cura. Appare così un tentativo di mettere vino nuovo in otri vecchi o tenere in otri nuovi del vino vecchio che secondo il Vangelo andrebbe evitata.

Qualche interrogativo sorge anche dal fatto che organismi rinnovati profondamente come la Pontificia Accademia per la vita non compaiono per nulla coinvolti in questo rilancio della cura della vita nella fase terminale. Si ha la sensazione che in materia che riguarda la vita (dalla difesa della vita dal suo sorgere alla sua fine naturale) non solo nella società civile, ma nella stessa Chiesa non è ancora spuntato il tempo della pacificazione ideologica e della collaborazione. Sulla vita – questione fondamentale per l’uomo – si battaglia ancora e non c’è pace. Ognuno va per la sua strada.

I ragionamenti apportati sono ancora in parte contraddittori, in parte oscuri, in parte allettanti, in parte respingenti. E per le persone trovare la serenità della coscienza sul da farsi quando ci si trova a fare i conti nelle fasi critiche della vita propria o dei propri cari non è semplice. Non ci si può affidare all’armonia tuttora inesistente tra legge e coscienza. Sono più i dubbi e le paure che gli spunti di serenità. Le stesse famiglie sperimentano la mancanza di sostegno quando la malattia lungodegente o terminale bussa alla porta. Sono dolori e fatica che svuotano la vita.

Non è l’amore che manca, ma le risorse economiche per fare fronte alle cure richieste. E su questo punto il testo vaticano si limita a suggerire una visione coerente dello Stato che dovrebbe garantire una perequazione tra ricchi e poveri. Eutanasia, suicidio assistito, accanimento terapeutico, il dovere dell’idratazione e alimentazione, terapie analgesiche, cure in età prenatale, stato vegetativo, obiezione di coscienza, hospice, formazione degli operatori sanitari, cure palliative. Tutte tematiche rilevanti che hanno bussato, bussano o busseranno prima o poi ala porta di ciascuno.

Il documento li tratta, sebbene con attenzione e passione variabile. Anche a proposito delle cure palliative che si profilava come la soluzione per sfuggire alla tagliola del dolore e dell’accanimento. Ma, alla fine, si ha la sensazione che rimanga una certa confusione dell’animo. Non per quello che non si deve e non si può fare. Ma per capire se esista finalmente nella Chiesa un avanzamento per una nuova coscienza collettiva facile da cogliere sul principio e sul fine vita, come quando si legge il Vangelo e si esamina l’agire di Gesù, oppure se restano idee filosofiche ingegnose che, tuttavia, non riscaldano il cuore. Lasciando la coscienza della gente in una sostanziale solitudine e diaspora etica.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco     
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