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[L’analisi] Euro e migranti, il cappio intorno al collo dell’Italia. Ecco perché il vertice Ue può condannarci di nuovo all’austerità

Di fronte ad una potenziale taglio d'autorità del debito italiano, gli investitori potrebbero chiedere tassi più alti, mettendo in affanno il Tesoro. Se, contemporaneamente, si manifestassero altri motivi di diffidenza dei mercati (come nelle scorse settimane, al momento della formazione del governo) verso i titoli italiani, la possibilità, sia pure nel futuro, di una ristrutturazione del debito farebbe da moltiplicatore della diffidenza, portando alle stelle i tassi sui titoli e determinando una crisi, che fa intervenire l'Europa e imporre l'austerità

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci, editorialista   
Conte e la Merkel
Conte e la Merkel

Per l'Italia, il vertice europeo che si apre oggi a Bruxelles, è ad alto rischio. Improbabile che, nei due giorni di discussione, si arrivi a conclusioni definitive. Ma anche solo l'impostazione dei problemi secondo direttrici sgradite potrebbe poi costringere l'Italia, nei prossimi mesi, ad una dura battaglia in salita. E' un esito – questo sì – probabile: l'imperativo politico dei due giorni di summit è, infatti, come è stato detto, “salviamo la Merkel” (dalla sua opposizione interna) e i 27 leader che le saranno seduti accanto non vorranno, alla fine, tirarsi indietro. Anche se questo significasse “affondiamo l'Italia”. Fra Berlino e Roma c'è infatti, in questo frangente, un viluppo inestricabile. I temi chiave del summit sono immigrazione e riforma dell'euro. Sono i temi su cui, oggi, l'Italia è più esposta. E sono, contemporaneamente, quelli su cui la Merkel  gioca il suo futuro. Il problema è che la Merkel vince se l'Italia perde. E viceversa.

La rissa generale sull'immigrazione

 Il presidente del Consiglio italiano si presenta a Bruxelles con una proposta forte e coraggiosa, che (finalmente) ribalterebbe l'impostazione della politica europea sui rifugiati. Tre i punti chiave. 1) Basta co n il trattato di Dublino che assegna gli immigrati al primo paese in cui sbarcano. Il mare di fronte alla Libia è un confine europeo. 2) Quindi gli immigrati vanno ripartiti fra i diversi paesi europei, secondo quote prefissate 3) Fine della distinzione fra chi chiede asilo e chi solo di immigrare, che allunga all'infinito i tempi burocratici e le cadenze dell'accoglienza. Varate queste modifiche, il problema degli immigrati secondari, che incendia il dibattito tedesco, dove la destra vorrebbe respingerli ai paesi di primo sbarco, perderebbe rilevanza: gli immigrati secondari – cioè quelli che con la domanda di asilo ancora pendente o respinta – diventerebbero, nel momento in cui ci fosse una redistribuzione degli arrivi fra i diversi paesi, numericamente molti di meno. Roma arriva, con questa proposta ambiziosa, nelle condizioni peggiori. Ha cercato l'appoggio di chi -  come austriaci e ungheresi – non ha nessuna intenzione di accettare quote di immigrati. E ha ferocemente litigato con chi, come Francia e Germania, quasi certamente, la pensa allo stesso modo, ma si vergogna a dirlo e potrebbe fare qualche concessione. Giuseppe Conte potrà dire di non aver fatto un buco nell'acqua, se otterrà che la proposta italiana venga messa agli atti, in attesa di futura discussione. I rischi, però, sono nelle decisioni che verranno prese nel frattempo. Perché c'è un progetto alternativo che farebbe assai comodo alla Merkel e non solo e che, per l'Italia, è una trappola.

I rischi per l'Italia

Sono soprattutto quattro. Rischio numero uno: tutti sono d'accordo nel creare centri in cui le domande di asilo vengano processate, prima che gli immigrati si mettano in viaggio verso l'Europa. Ma gli sbarchi ci saranno comunque. Dove processare le domande di chi, comunque, è sbarcato in Europa? Il posto più comodo, per gli altri paesi europei, è l'Italia. Se il progetto alternativo passasse, Roma si troverebbe a gestire, anche nell'ipotesi di un calo degli sbarchi, decine di migliaia di immigrati irregolari. Rischio numero due: parte degli immigrati verrebbe redistribuita in altri paesi, ma solo su base volontaria, secondo convenienze e logiche politiche estranee alla gravità o meno del fenomeno e alle difficoltà italiane. Rischio numero tre: il 93 per cento degli immigrati non ha diritto all'asilo, pur avendolo chiesto. Questo vuol dire che, se escono dall'Italia e provano ad entrare in Germania, diventerebbero quegli immigrati irregolari che i tedeschi, infatti, vorrebbero rimandare nel paese di primo sbarco, ovvero l'Italia. In altre parole, l'Italia finirebbe per dover tenere dentro i suoi confini, comunque, il 93 per cento di chi sbarca e, soprattutto, di chi è già sbarcato ed è in attesa di veder processata la sua richiesta di asilo. Stiamo parlando, come minimo, di decine di migliaia di persone e di famiglie. Rischio numero quattro: quel 93 per cento di immigrati irregolari, alla fine, dovrebbe essere rispedito in Africa. Come? E chi lo fa?

Il cappio di Meseberg 

Le linee di questa revisione furbesca della politica europea sull'immigrazione erano già visibili nella Dichiarazione di Meseberg che, nelle scorse settimane, ha rilanciato la cooperazione franco-tedesca. Ma quel documento firmato da Merkel e Macron contiene altre insidie che verranno allo scoperto domani a Bruxelles. Per quanto vaghe, le indicazioni sulla riforma dell'eurozona aprono scenari non rassicuranti per un'Italia con i conti in rosso. Come spesso accade in materia di riforma dell'euro, le motivazioni sono condivisibili, le indicazioni utili, ma il loro mix e il momento in cui cadono si traducono in un fucile puntato sull'Italia. E', infatti, importante che l'eurozona si doti di un bilancio comune e di strumenti di intervento in caso di crisi di singoli paesi. Ed è inevitabile che questi interventi siano “condizionali”, cioè subordinati all'accettazione, da parte del governo che chiede aiuto, di interventi concordati con l'Europa. E' una questione di misura e di buon senso ed è qui che nascono i dubbi. A gestire gli  interventi e a disegnare le condizioni non sarebbe la Commissione, ma i governi e l'esperienza greca ha già dimostrato che “governi”, in questi casi, vuol dire soprattutto Berlino. Del resto, la Merkel non riuscirebbe in altro modo a far accettare in patria questo aumentato impegno europeo. Ma sappiamo già come ragionano, in questi casi, a Berlino e la conferma viene dal fatto che l'unico riferimento concreto, nella Dichiarazione di Meseberg, alle “condizioni” è la “sostenibilità del debito”: un parametro su cui l'Italia è, già in partenza, comunque in difetto.

Cosa può succedere

Questo meccanismo può trasformarsi in una spirale pericolosa. Un'Italia in difficoltà, infatti, potrebbe vedersi imporre, in nome della “sostenibilità del debito” una ricetta di austerità feroce come quella che ha messo in ginocchio la società greca. Il problema è che, in base all'infernale meccanismo delle conseguenze non volute, la crisi può essere scatenata dalla stessa riforma dell'eurozona. Uno dei punti toccati a Meseberg, infatti, riguarda la possibilità di meccanismi di ristrutturazione del debito dei singoli paesi: in altre parole, di accordi con i creditori per tagliare l'entità o allungare le scadenze del debito pubblico. Anche questa è, in astratto, una innovazione utile per il futuro dell'eurozona. Ma delicatissima per l'Italia. Di fronte ad una potenziale taglio d'autorità del debito italiano, gli investitori potrebbero chiedere tassi più alti, mettendo in affanno il Tesoro. Se, contemporaneamente, si manifestassero altri motivi di diffidenza dei mercati (come nelle scorse settimane, al momento della formazione del governo) verso i titoli italiani, la possibilità, sia pure nel futuro, di una ristrutturazione del debito farebbe  da moltiplicatore della diffidenza, portando alle stelle i tassi sui titoli e determinando una crisi, che fa intervenire l'Europa e imporre l'austerità.

La tentazione di Conte

Questo scenario semicatastrofico è puramente ipotetico ma dà l'idea dello stretto crinale su cui cammina il governo Conte e, con lui, il programma di governo di Lega e 5stelle. Ecco perché c'è chi non esclude che, in questi due giorni, a Bruxelles, il presidente del Consiglio sia tentato dall'idea di vendere la casa per un piatto di lenticchie. Ovvero, di cedere sull'immigrazione e sui colpi di coda futuri della riforma dell'euro, in cambio di una flessibilità immediata sui conti pubblici di quest'anno e dell'anno prossimo, che consenta di realizzare le promesse elettorali su cui il governo gialloverde fa riposare il suo futuro.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci, editorialista   
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