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Ecco la trappola e il ricatto che tengono prigioniera in Iran la giornalista Cecilia Sala

Il comunicato del ministero della Cultura svela la richiesta di scambio con l’ingegnere iraniano esperto di droni arrestato a Malpensa. Tutte le ipotesi di una trattativa che sarà però lunga e molto complessa. Occhi puntati sulla visita di Biden a Roma il 10 gennaio. La triangolazione con paesi terzi. Il ruolo della Svizzera

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Un'immagine di Cecilia Sala (Ansa)
Un'immagine della giornalista Cecilia Sala (Ansa)

Undici righe vergate dall’agenzia ufficiale iraniana Irna sono la prova che Cecilia Sala, la giornalista italiana esperta di Medioriente, è vittima di una trappola e di un ricatto. E che quello che viene spacciato per arresto altro non è che un sequestro di persona autorizzato dal regime islamico per la più classica e meschina operazione di scambio di prigionieri.

A dodici giorni dal prelievo nel suo hotel - era il 19 dicembre - alla vigilia del volo che l’avrebbe riportata in Italia dopo aver svolto il previsto e concordato lavoro di reporter per il quotidiano Il Foglio e per il suo podcast “Storie” edito da Choramedia, ieri il ministero della Cultura e dell’orientamento islamico ha divulgato uno scarno comunicato che nulla spiega circa le motivazioni del fermo e conferma il dubbio con cui ogni giorno fanno i conti intelligence, diplomazia e giornalisti: Sala è stata presa ed è trattenuta nella prigione di Erin come moneta di scambio con l’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, bloccato il 16 dicembre scorso su ordine della giustizia americana all'aeroporto di Malpensa.

Una giovane giornalista, brava, scrupolosa, volto noto delle tv neppure trentenne in cambio del tecnico dei droni che gli Usa accusano di associazione per delinquere, violazione delle leggi sull’esportazione di materiali militari e supporto ad un’organizzazione terroristica, perchè tali sono classificati i pasdaran dei Guardiani della Rivoluzione. Una giovane giornalista a cui neppure il regime riesce a contestare qualcosa di “sbagliato” arrestata per fare leva ed ottenere la liberazione di Abedini che gli Usa accusano di aver contribuito alla realizzazione dell’attentato realizzato con droni commercializzati dallo stesso Abedini che un anno fa, gennaio 2024, ha ucciso tre soldati Usa in Giordania. I droni, di cui Washington è convinta che Abedini sia la mente e il braccio, sono l’insidia quotidiana con cui Teheran e i suoi proxi cercano di terrorizzare il Medioriente.

Una notizia buona e una cattiva

Il 16 dicembre Abedini viene arrestato a Malpensa su mandato Usa. Tre giorni dopo il regime di Teheran pesca dal mazzo il pezzo più prezioso - Cecilia che in Iran con regolare permesso e tanto di lista autorizzata delle attività che avrebbe svolto - e la rinchiude nel carcere dei dissidenti di Evin a nord di Teheran. Elementare. Agghiacciante.

La nota del ministero della Cultura è stata analizzata riga per riga dai maggiori esperti del regime che vivono in Italia e collaborano con la nostra intelligence. Dietro la vaghezza di quelle righe, c’è tutto il dramma di Cecilia Sala. “La cittadina italiana è arrivata in Iran il 13 dicembre con un visto giornalistico ed è stata arrestata il 19 per aver violato la legge della Repubblica islamica dell'Iran. Il suo caso è sotto inchiesta”.

Fin qui c’è una buona e una cattiva notizia. Quella “buona” riguarda il fatto che non è stata contestata alcuna accusa specifica. Si parla in generale di “violazioni della legge della repubblica islamica”. La “cattiva” è che la nota del ministero mette nei fatti in moto (“il suo caso è sotto inchiesta”) un percorso tecnico-burocratico che è destinato in ogni modo ad allungare i tempi del ritorno di Cecilia. La speranza che ha tenuto la notizia riservata dal 19 al 26 dicembre, ovvero uno scambio di persona triangolando con paesi terzi - ad esempio la Svizzera di cui Abedini ha il passaporto - anticipando in qualche modo Washington, non è più percorribile.

Tempi lunghi

D’ora in poi ci saranno procedure molto speciali da rispettare. Da una parte e dall’altra. E se si dovesse mettere male, nel senso che nessuno sblocca la situazione, la detenzione di Cecilia rischia di essere molto, molto lunga.

Il comunicato diffuso dall’agenzia Irna prosegue spiegando che “l’arresto è stato eseguito secondo la normativa vigente e l’ambasciata italiana è stata informata. Le è stato garantito l’accesso consolare ed il contatto telefonico con la famiglia” (da quello che sappiamo dopo almeno cinque giorni di isolamento, ndr). La politica del ministero è sempre stata quella di accogliere le visite e le attività legali dei giornalisti stranieri, aumentare il numero di media stranieri nel Paese e preservare i loro diritti legali” prosegue la propaganda del ministero della Cultura. Poi arriva il passaggio che per ha gelato un po’ il sangue a chi sta operando senza sosta dal 19 dicembre: “È stato aperto un fascicolo sulla cittadina italiana Cecilia Sala e sono attualmente in corso le indagini. Il suo arresto è avvenuto in base alla normativa vigente. Saranno forniti ulteriori dettagli se la magistratura lo riterrà necessario”. Nulla è chiaro, nulla è definito, tutto è possibile. siamo all’ufficializzazione del ricatto.

Operazione congiunta

La situazione è molto complessa e chi è molto vicino al dossier sottolinea la circostanza che il fermo di Abedine “non è stato casuale né provocato dal sistema di segnalazione ed alert internazionale”, cioè uno arriva al varco di frontiere e tra impronte e foto viene riconosciuto e fermato. Digos e antiterrorismo di Milano sono andati a Malpensa sulla precisa segnalazione dell’Fbi e l’ordine di arresto internazionale emesso il 13 dicembre dal tribunale federale del Massachusetts. Cecilia ancora era a Teheran a fare le sue interviste e nessuno poteva immaginare una ritorsione del genere. E’ chiaro anche in questo caso Abedini poteva solo essere arrestato e portato in cella. Gli Usa sono il nostro principale alleato e la collaborazione giudiziaria è intesa e positiva da sempre in entrambe le “direzioni”. Tanto per dire, Fbi e Dea hanno collaborato sempre e con ottimi risultati alla lotta a Cosa Nostra emigrata negli Usa. Quando il 13 dicembre il tribunale del Massachusetts ha firmato l’ordine di arresto, Washington ha subito avvisato Roma che il lunedì successivo (il 16 dicembre) Abedini era prenotato sul volo da Istanbul a Milano Malpensa. Il fermo è stato convalidato dai giudici del Tribunale di Milano ma la notizia è stata tenuta segreta anche al livello politico per altre 24 ore perché sempre Washington ha chiesto di ritardare la notifica visto che sperava - cosa che poi è successa - di fermare nel giro di poche ore il socio di Abedini, Mahdi Mohammed Sadeghi, cittadino statunitense residente nel Massachusetts.

E’ evidente a chiunque - anche a Cecilia che tante volte ha raccontato queste dinamiche e alla sua famiglia - che il quadro giudiziario è complesso. E lo è ancora di più il quadro geopolitico: l’unica soluzione al momento sul tavolo sembra quella della liberazione di Abedini perché rigettata la richiesta di estradizione in cambio della restituzione di Sala, l’ingegnere in cambio della giornalista. Ma quale democrazia occidentale, a cominciare dall’Italia, che considera Teheran il male assoluto può accettare un ricatto simile nel quadro attuale in cui Iran e Russia minacciano continuamente l’uso dell’atomica?

 

Le trattative

Giorgia Meloni monitora da qualche luogo (non è in sede). Il sottosegretario Mantovano ha in mano il dossier insieme alla direttrice del Dis Elisabetta Belloni. “Stiamo lavorando senza sosta in uno sforzo di diplomazia e intelligence” per riportare Cecilia a casa il prima possibile. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ripete che la trattativa è “molto delicata” e insiste nel chiedere il “massimo riserbo”.

L’ambasciatrice Paola Amidei, tornata subito a Teheran perchè era in Italia al momento dell’arresto, segue il caso giorno per giorno tramite il viceministro Vahid Jalalzadeh il quale parlando di arresto quasi “casuale” ha mandato precisi messaggi a palazzo Chigi: la palla è in mano alla magistratura iraniana e quindi a quella italiana; nel frattempo alla giornalista saranno garantite “le migliori condizioni di detenzione”.

Cosa può succedere adesso. Tecnicamente quando dagli Usa arriverà tutta la documentazione a supporto delle

accuse a carico di Abedini, la Corte d’appello milanese tornerà a riunirsi per decidere se consegnare o meno il detenuto a Washington. I giudici milanesi potrebbero anche valutare non sufficienti le accuse e lasciare subito libero Abedini, ipotesi remota del settimo tipo viste le relazioni giudiziarie tra Roma e Washington. Se la domanda venisse invece accolta, l’ultima parola spetta al ministro della Giustizia Carlo Nordio. Anche qui sembra improbabile che il Guardasigilli possa mettersi contro la richiesta Usa. Fonti vicine al dossier segnalano come “la procura di Milano ha anche aperto un’indagine sulla regolarità del fermo di Abedini a Malpensa”. Procedura insolita quando si parla di arresti concordati in cui hanno operato le due polizie. Ma è utile aver aperto questo fascicolo. Può servire in fase di decisione sull’estradizione.

 

#freececilia, l’importanza della pressione internazionale

L’ipotesi dello scambio diretto sembra assai improbabile viste le accuse a carico di Abedini. Gli occhi della diplomazia sono comunque puntati sul 9 gennaio giorno in cui Joe Biden e il sottosegretario Blinken arriveranno a Roma per il loro ultimo viaggio diplomatico che sarà dedicato al Pontefice e all’anno santo. Dopo dieci giorni ci sarà il passaggio di consegne e l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Dunque ancora una volta una coincidenza di date e scadenze che complica una richiesta diretta di intervento agli Usa e una soluzione veloce del caso. Cosa può fare Biden a dieci giorni dall’addio? E cosa può fare senza irritare la diplomazia e l’opinione pubblica Usa che vede l’Iran come il diavolo? E, soprattutto, come sono i rapporti Meloni-Biden dopo che la nostra premier ha

fatto una precisa scelta di campo a settembre scorso posizionandosi sul ticket Trump-Musk?

In questo intrigo internazionale che già coinvolge tre paesi (Italia, Ira, Usa) c’è l’ipotesi di farne entrare un quarto, la Svizzera di cui Abedini è cittadino e alle cui autorità potrebbe essere consegnato per facilitare la liberazione di Cecilia. Il problema è che anche anche la Svizzera rappresenta gli interessi Usa in Iran. Difficile immaginare una neutralità per favorire lo scambio. In piedi anche l’ipotesi di triangolazione: liberare iraniani in altri paesi e avere in cambio Cecilia.

Da segnalare anche che, memori di quanto successe con il cittadino russo Artm Uss che “scappò” dagli arresti domiciliari in Italia giustapposto alla vigilia dell’estradizione negli Usa, Washington ha vergato un documento già recapitato a Roma in cui si sottolinea che Abedini è “un estradando con pericolo di fuga”. Che a nessuno venga in mente, insomma, di dargli i domiciliari. Cosa che invece il legale di Abedini ha già chiesto. La casa privata è già stata trovata. Anche questa strada, un po’ meschina ma in questo caso il fine giustifica i mezzi, sembra preclusa.

Resta, ed è molto importante, la mobilitazione pubblica. Il regime di Teheran è in crisi di consenso e potrebbe vacillare di fronte ad una campagna internazionale massiccia e diffusa che potrebbe dare anche nuova linfa al dissenso interno. Motivo per cui sarebbe stato forse meglio dire tutto subito e non perdere così tanti giorni senza dire nè denunciare. Quindi stasera tutto il mondo trovi il modo di gridare #freececilia.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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