Ecco perché il dopo Merkel è una grande occasione per l'Europa
E' quasi una rifondazione del progetto europeo, sulla quale Scholz e la Baerbock hanno avuto parole di incoraggiamento, impensabili ancora un paio d'anni fa. Ecco perché le elezioni tedesche ci interessano molto da vicino
“Ha quello che ci vuole per essere una Signora Cancelliera”, recita una pubblicità, uscita in questi giorni su una rivista femminile tedesca. Solo che, nella foto, non c'è Annalena Baerbock, la candidata dei Verdi alle elezioni in programma fra meno di un mese. E neanche, ovviamente, Angela Merkel, la Cancelliera che sta per uscire di scena dopo 16 anni. C'è invece la testa calva e il volto da paffuto birraio di Olaf Scholtz, il ministro delle Finanze in corsa per i socialdemocratici della Spd, i rivali storici (anche se da otto anni al governo insieme nella Grande Coalizione) dei democristiani della Merkel. La pubblicità dimostra che Scholz è capace di più ironia di quanta ne abbia mai dimostrata Mamma Angela in 16 anni di governo. Ma il tentativo di Scholz di entrare nelle scarpe della Merkel conferma anche che le prossime elezioni sono uno spartiacque storico nella recente storia della Germania. La fine dell'era Merkel è in larga misura – al di là dei tentativi di intestarsene l'eredità – un salto nel buio per una nazione istintivamente conservatrice come la Germania. Lo è anche per l'Europa, che esce da tre lustri di tutela – morbida, ma ferma – da parte dell'erede di Helmut Kohl. Nonostante i rimpianti per l'uscita di scena dell'ultima grande statista europea, tuttavia, proprio l'Europa potrebbe guadagnarne.
La stazza della Germania
Praticamente nulla di quanto è avvenuto, negli ultimi 15 anni, in Europa è andato contro Berlino. In buona misura, è l'inevitabile risultato della stazza della Germania: il paese con la popolqzione più numerosa, le finanze più solide, l'economia più possente d'Europa. In parte è uno specchio della politica: mentre a Berlino c'era sempre la Cancelliera, a Parigi si altenavano all'Eliseo Sarkozy, Hollande, Macron, Londra affondava nella Brexit, Roma era la solita girandola di partiti e coalizioni. In parte, però, questa egemonia è il frutto di una lucida consapevolezza degli interessi nazionali e della capacità di difenderli con rigore e sistematicità.
La trincea dell'austerità
La Berlino della Merkel ha schierato l'Europa intera sulla trincea dell'austerità, quando la Cancelliera era convinta che fosse l'unico modo per salvare l'euro, autentico volano delle esportazioni tedesche, che il vecchio marco avrebbe penalizzato. Rifiutando, però, contemporaneamente, di assumere la responsabilità di locomotiva della tentennante economia dell'eurozona, con una politica espansiva che beneficiasse gli altri paesi. La Cancelliera, inoltre, ha sempre spinto l'Europa verso un atteggiamento ambivalente in materia di divergenze politiche con due grandi partner commerciali della Germania, come Russia e Cina. E, sul tema del secolo – i migranti – ha lasciato che la legislazione europea arrugginisse sull'accordo di Dublino (che penalizza i paesi di sbarco, come Italia, Grecia e Spagna), mentre la stessa Europa si dimostrava pronta a pagare Erdogan, perché la Turchia stagnasse il flusso di migranti attraverso i Balcani verso le frontiere tedesche.
Ha difeso l'integrazione
La Merkel ha, però, sempre difeso con accanimento il processo di integrazione europea, impedendo derive isolazioniste, si trattasse di cacciare la Grecia dall'euro, di blindare la moneta comune in un'area riservata ai paesi forti, di chiudere le porte ai migranti. E' stata, insomma, Lady Europa, non solo perché l'ha guidata, ma anche perché ha saputo pragmaticamente (la sua dote migliore) accompagnarne morbidamente (altra dote politica) senza scosse che allarmassero la sua opinione pubblica, l'evoluzione. Dal tacito via libera a Draghi perché giocasse il tutto per tutto, con i soldi della Bce, per tenere in piedi l'euro alla spinta decisa, insieme a Macron, per la svolta keynesiana anti Covid che ha messo Bruxelles in condizione di riversare fiumi di euro, con il grande piano di rilancio che comincia ad essere attuato in questi mesi, nella ripresa di tutti i paesi europei.
Elettori divisi
E' questa traiettoria della Merkel, che negli ultimi dieci anni l'ha portata dall'austerità dei Chicago Boys, intepretati dal suo primo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, all'espansionismo keynesiano del suo attuale ministro, Scholz, l'elemento cruciale che le elezioni tedesche portano alla politica europea. Perché ci sono buone possibilità che il voto non interrompa, ma invece prolunghi quella traiettoria. I sondaggi dicono che gli elettori sono, molto grossolanamente, divisi fra un 20 per cento ciascuno alla Cdu che fu della Merkel, alla Spd di Scholz, ai Verdi della Baerbock, più un dieci per cento ai liberali, un altro dieci per cento agli anti euro dell'Afd e qualcosa meno alla sinistra della Linke. Fra tutte le coalizioni realisticamente possibili, l'unica che non raggiungerebbe il 50 per cento dei seggi è proprio la Grande Coalizione attuale. I commentatori si sbizzarriscono sulle altre combinazioni possibili. Ma il succo politico, a guardare oggi i sondaggi, è che – se si esclude un inaspettato boom dei liberali o dell'Afd – nella futura coalizione di governo peseranno, assai più di oggi, partiti decisamente europeisti come i Verdi e moderatamente europeisti come la Spd, ridimensionando comunque il peso dei nazionalisti conservatori che costituiscono la pancia della Cdu.
Sarebbe svolta cruciale
Sarebbe una svolta cruciale in un momento cruciale. Perché l'Europa del dopo Merkel è anche l'Europa che si ricostruisce dopo il Covid e i mutamenti che la pandemia ha già portato nella politica europea. Sul tavolo ci sono mattonelle essenziali. L'unione bancaria che, garantendo i depositi di tutti, consenta una maggiore circolazione della risorse finanziarie. Il nuovo patto di stabilità che, pur mettendo un freno a debiti e disavanzi, sganci dai vincoli le spese per investimenti, consentendo politiche espansive anche in momenti difficili. L'istituzionalizzazione degli eurobond, ovvero del debito comune, oggi limitati a strumento eccezionale anti Covid. L'attribuzione a Bruxelles di entrate proprie che sollevino, almeno in parte, il bilancio europeo dai paletti posti dai governi nazionali.
E' quasi una rifondazione del progetto europeo, sulla quale Scholz e la Baerbock hanno avuto parole di incoraggiamento, impensabili ancora un paio d'anni fa. Ecco perché le elezioni tedesche ci interessano molto da vicino.