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Svegliati Europa, il corpo delle donne può sconfiggere l'integralismo religioso. Serve un'integrazione basata sulla laicità

A Manbij donne combattenti curde piangono di gioia e bruciano il burqa dopo la vittoria sull'Isis. Immagine che può più di mille parole

Paola Pintusdi Paola Pintus   
La gioia delle combattenti dopo aver sconfitto l'Isis
La gioia delle combattenti dopo aver sconfitto l'Isis

Le immagini della liberazione di Manbij,  avvenuta due giorni fa da parte della coalizione curdo-araba  fanno percepire più di mille parole la portata della posta in gioco nella lotta contro il radicalismo religioso, in Siria ma non solo.  Si vedono donne salvate da altre donne,  che piangono di gioia mentre finalmente scoprono il viso dall’odiosa oppressione del burqa. Madri che si riversano in strada ancora intabarrate nelle tuniche nere, che abbracciano e si sostengono alle giovani combattenti  curde vestite nell’uniforme verde cachi dell’Ypg .

Teocrazia fanatica contro libertà, ovunque

E’ una lotta, quella contro l’integralismo, che passa anche attraverso il corpo delle donne: negato, occultato in nome di un ordine teocratico che sfida la modernità e la ragione e poi finalmente liberato, restituito alla sua forma e alla sua dignità. Anche in Europa, nelle periferie londinesi come nelle banlieue di Parigi, a Moleenbeck come a Torpignattara la sfida è identica, e passa attraverso gli stessi simboli.

Multicultura dentro gabbie etniche

Per l’Occidente dunque è arrivato il momento di schiarirsi le idee, uscendo dalla comfort zone del suo tradizionale relativismo. Davanti alle sfide dell’integrazione, cedere sul tema della laicità dello Stato e delle forme del vivere civile non è politically correct, né è segno di tolleranza:  è invece un arretramento pesante sul piano dei diritti universalmente garantiti  e delle tutele dovute ai più deboli, donne in primis. Il dibattito sul multiculturalismo è aperto. Secondo il filosofo britannico Kenan Malik l’idea multiculturale adottata dal progressismo europeo contiene in sé un paradosso: mentre promuove iniziative mirate a riconoscere le diversità definendo e rispettando i bisogni e i diritti di ognuno, finisce col rinchiudere le persone in vere e proprie gabbie etniche da cui è difficile uscire per confrontarsi con gli altri e che producono alienazione e frammentazione della società.

Valorizzare la diversità non basta

C’è un modo per uscire da questo corto circuito. Ma occorre ripensare almeno in parte la nostra idea di multiculturalismo, che non può essere più solo mera valorizzazione della diversità,  intesa di per se stessa come ricchezza e come valore assoluto. Il presupposto centrale del multiculturalismo è piuttosto una legittimazione reciproca, fondata sulla mediazione di valori etici e religiosi sulla base di un superiore legame di coesione sociale. Oggi quel legame, fondato su una condivisione di valori più forti di quelli delle culture di provenienza sembra essersi assottigliato, lasciando il campo ad una proposta identitaria che non media i suoi valori attraverso il substrato del laicismo, che rifiuta il concetto di democrazia per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, che afferma a suo modo un nuovo modello di eguaglianza al quale occorre contrapporre risposte altrettanto convincenti.

Pubblico e privato delle donne

Nella società occidentale, ormai compiutamente multietnica ma non ancora multiculturale, l'unica speranza di realizzare l'utopia del melting pot risiede dunque nella creazione di un nuovo patto di convivenza civile, basato sulla pretesa inderogabile della laicità negli spazi pubblici, tanto quanto sul rispetto di ogni sensibilità negli spazi privati. Per affermare questo patto democratico, fondato sul laicismo e sul primato della ragione, sarà fondamentale coinvolgere le donne. Come ben sanno le madri di Manbij, l'islam vincerà la sua sfida quando saprà riconoscere l'emancipazione delle donne musulmane, quando sarà in grado di riconoscere il loro ruolo attivo in ogni ambito: non solo quello privato ma soprattutto quello pubblico, sociale, civile, culturale, lavorativo.

Paola Pintusdi Paola Pintus   

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