Dai nuovi santi messaggio di pace: contro la guerra Francesco scuote cristiani e politica

Tra i nuovi santi spicca Charles de Foucauld indicato dal papa come fratello universale in un mondo nella tormenta del disamore.

Papa Francesco (Ansa)
Papa Francesco (Ansa)

 

Anche nel giorno della canonizzazione di ben 10 nuovi santi papa Francesco ha confezionato un messaggio di pace rendendolo alternativo e necessario nel mondo attuale sospeso tra armistizio o deriva ingovernabile nel conflitto ucraino. Nella Piazza san Pietro gremita da 50 mila fedeli e pellegrini giunti da varie parti per la canonizzazione, nel brevissimo saluto prima del Regina coeli conclusivo del solenne rito è risuonato come un appello il saluto di Francesco alle Delegazioni ufficiali di diversi Paesi, “in particolare il Signor Presidente della Repubblica Italiana. È bello constatare – ha rilevato il papa - che, con la loro testimonianza evangelica, questi Santi hanno favorito la crescita spirituale e sociale delle rispettive Nazioni e anche dell’intera famiglia umana. Mentre tristemente nel mondo crescono le distanze e aumentano le tensioni e le guerre, i nuovi Santi ispirino soluzioni di insieme, vie di dialogo, specialmente nei cuori e nelle menti di quanti ricoprono incarichi di grande responsabilità e sono chiamati a essere protagonisti di pace e non di guerra”.

De Foucauld

Charles de Foucauld è senza dubbio il più noto tra i nuovi santi (presentati ufficialmente con brevi tratti biografici dal cardinale Marcello Semeraro:Titus Brandsma; Lazzaro, detto Devasahayam; César de Bus; Luigi Maria Palazzolo; Giustino Maria Russolillo; Maria Rivier; Maria Francesca di Gesù Rubatto; Maria di Gesù Santocanale; Maria Domenica Mantovani) che papa Francesco aveva già indicato a conclusione sulla sua enciclica Fratelli tutti quale esempio attuale di “Fratello universale”. L’auspicio del papa per la pace si è trasformato in preghiera universale e la gente ha pregato  per due intenzioni speciali perché: “Il Signore della storia ispiri ai nostri governanti sentimenti di fratellanza e di rispetto, ricercando la santità nel promuovere la giustizia e la pace tra i popoli, avendo quali uniche armi il Vangelo e l’amore ai fratelli e il Dio di amore susciti cammini di conversione e riconciliazione, dissipi la violenza delle parole e dei gesti e faccia germogliare il comandamento dell’amore in gesti concreti e autentici”.

Punto di partenza

Un buon punto di partenza per valutare la serietà e la sincerità dei tentativi di pace che timidamente si stanno avviando intorno alla guerra in Ucraina. Forse, avendo in mente come rendere concreto il desiderio non solo di ristabilire la pace ma di costruirla su basi e prospettive diverse dal periodo di pace apparente precedente il sanguinoso conflitto in atto, Francesco nell’omelia ha parlato della santità come un obiettivo raggiungibile da tutti poiché si basa non su opere strepitose o straordinarie, ma su un punto centrale e accessibile a ognuno nella vita quotidiana: l’amore di Dio e del prossimo. Questo ha ricordato Francesco per cogliere il nocciolo di cosa significa essere cristiani “è il testamento che Cristo ci ha lasciato, il criterio fondamentale per discernere se siamo davvero suoi discepoli oppure no: il comandamento dell’amore”. Ed è un comando valido specialmente nelle notti della storia, quelle che rassomigliano alla notte dell’ultima cena quando Gesù chiarì ai suoi apostoli come li aveva amati e come fosse necessario amare al modo suo: “Fino alla fine, fino al dono totale di sé. Colpisce vedere che pronuncia queste parole in una notte tenebrosa, mentre il clima che si respira nel cenacolo è carico di emozione e preoccupazione. Possiamo immaginare quale dolore Gesù portasse nell’animo, quale oscurità si addensava sul cuore degli apostoli, e quale amarezza vedendo Giuda che, dopo aver ricevuto il boccone intinto dal Maestro per lui, usciva dalla stanza per inoltrarsi nella notte del tradimento. E, proprio nell’ora del tradimento, Gesù conferma l’amore per i suoi. Perché nelle tenebre e nelle tempeste della vita questo è l’essenziale: Dio ci ama”.

Annuncio sull'amore

Nella professione di fede resta centrale questo annuncio sull’amore: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui ha amato noi. All’inizio del nostro essere cristiani non ci sono le dottrine e le opere, ma lo stupore di scoprirsi amati, prima di ogni nostra risposta. Mentre il mondo vuole spesso convincerci che abbiamo valore solo se produciamo dei risultati, il Vangelo ci ricorda la verità della vita: siamo amati. E questo è il nostro valore: siamo amati… Questa verità “ci chiede una conversione sull’idea che spesso abbiamo di santità. A volte, insistendo troppo sul nostro sforzo di compiere opere buone, abbiamo generato un ideale di santità troppo fondato su di noi, sull’eroismo personale, sulla capacità di rinuncia, sul sacrificarsi per conquistare un premio. Così abbiamo fatto della santità una meta impervia, l’abbiamo separata dalla vita di tutti i giorni invece che cercarla e abbracciarla nella quotidianità, nella polvere della strada, nei travagli della vita concreta e, come diceva Teresa d’Avila alle consorelle, “tra le pentole della cucina”.   Si tratta di un amore concreto che dona la propria vita, che si interroga su cosa si fa per gli altri. Amare significa questo: servire e dare la vita. “Servire, cioè non anteporre i propri interessi; disintossicarsi dai veleni dell’avidità e della competizione; combattere il cancro dell’indifferenza e il tarlo dell’autoreferenzialità. A me piace domandare alle persone che mi chiedono consiglio: “Dimmi, tu dai l’elemosina?” – “Sì, Padre, io do l’elemosina ai poveri” – “E quando tu dai l’elemosina, tocchi la mano della persona, o butti l’elemosina e fai così per pulirti?”. E diventano rossi: “No, io non tocco”. “Quando tu dai l’elemosina, guardi negli occhi la persona che aiuti, o guardi da un’altra parte?” – “Io non guardo”.

La carne di Cristo

Toccare e guardare, toccare e guardare la carne di Cristo che soffre nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle. È molto importante, questo. Dare la vita è questo. La santità non è fatta di pochi gesti eroici, ma di tanto amore quotidiano”. Alla vigilia parecchi osservatori si chiedevano se Francesco con il suo male al ginocchio sarebbe riuscito a presiedere la grande celebrazione. E’ riuscito. Ha salutato vescovi e cardinali e il presidente Mattarella. Poi sulla camionetta scoperta ha fatto il giro della piazza, seduto ma con il saluto vigile. Al termine del giro un colpo di vento gli ha rapito lo zucchetto bianco portandolo lontano.