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Era meglio restare a casa. Il consigliere di Johnson viola il lockdown, il Regno Unito si indigna e il governo trema

C’è qualcuno che ha ritenuto che le disposizioni del governo alla fine non fossero così vincolanti. E quel qualcuno è uno dei personaggi più discussi del Regno Unito. Si tratta di Dominic Cummings il consulente più influente

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
Era meglio restare a casa. Il consigliere di Johnson viola il lockdown, il Regno Unito si indigna e...

Stay Home, Protect NHS, Save Lives”. Era il messaggio cardine della campagna del governo britannico in tempi di lockdown. Quello che compariva ovunque. State a casa, proteggete il servizio sanitario, salvate vite umane. E i sudditi di Sua Maestà Regina Elisabetta II hanno capito e aderito. Tutti a casa. Non ci si muove né per tornare dai propri cari né per occasioni tristi come i funerali dei propri congiunti né per qualsivoglia altro motivo. Non si viaggia. Punto.

O quasi. C’è qualcuno che ha ritenuto che le disposizioni del governo alla fine non fossero così vincolanti. E quel qualcuno è uno dei personaggi più discussi del Regno. Si tratta di Dominic Cummings, detto Dom, il consulente più influente del governo, il consigliere politico di Boris Johnson, lo stratega della sua trionfante vittoria elettorale, e ancor prima della campagna a favore della Brexit ai tempi del referendum.

I passi falsi del potere

Il ruolo di Cummings all’interno del governo è centrale, e il suo potere anche. Nessuna scelta fondamentale passa senza la sua approvazione, il primo ministro si fida ciecamente di lui e a quanto pare non è disposto a rinunciarvi, costi quel che costi. E per questo potere il consigliere di Johnson è temuto e probabilmente detestato, sia nel governo sia, soprattutto, nel partito dal quale viene visto come un estraneo, un alieno. Ma a volte il potere fa compiere passi falsi. La hubrys acceca. Con conseguenze che solo fino a qualche giorno prima apparivano inimmaginabili.  

Epidemia a Downing Street

Lo scorso 27 marzo, Boris Johnson annuncia che gli è stato diagnosticato il Covid-19. Dopo un’ora dall’annuncio Cummings viene ripreso mentre esce letteralmente correndo dal n.10 di Downing Street. Qualche istante dopo il ministro della sanità Matt Hancock rivela di aver contratto anche lui il Covid-19.

Il 30 marzo Downing Street conferma le indiscrezioni secondo le quali Cummings e sua moglie si erano messi in quarantena. Logico. Dopotutto il consigliere era uno degli uomini che lavorava più a stretto contatto con Johnson. Dato che il premier era stato contagiato, mettersi in isolamento era l’unica cosa ragionevole da fare. Senonché il consulente di Johnson decide di affrontare la sua quarantena non a Londra, ma a casa sua, nel Nord-est dell’Inghilterra, nella cittadina di Durham, famosa per la sua millenaria cattedrale, splendido esempio di arte normanna.

425 chilometri

Da Londra a Durham sono circa 425 chilometri, poco più che da Torino a Venezia. Non un gran viaggio, ma di certo non deve aver giovato al nostro, che si ammala di Covid-19. La faccenda sembra grave, almeno a leggere quello che la moglie, Mary Wakefield, direttrice del periodico conservatore The Spectator, ha scritto in un articolo pubblicato il 23 aprile in cui parla di febbre alta, spasmi, respiro corto: “il rilevatore di ossigeno comprato su Amazon, indicava che avremmo dovuto ricoverarlo in ospedale, ma non aveva le labbra blu e riusciva a parlare in modo articolato”. Cronache dalla malattia.

A volte il diavolo…

Non tutte le ciambelle riescono col buco però. O se preferite, a volte il diavolo ci mette la coda. Insomma quale che sia il proverbio più adatto, il 5 aprile, in piena malattia di Cummings, un vicino lo vede nel giardino della casa del padre. Una settimana dopo, il 12 aprile, Cummings, a questo punto convalescente, viene visto mentre è in visita a Barnard Castle, ameno luogo turistico a una cinquantina di chilometri da Durham. L’informazione viene passata rapidamente al tabloid Daily Mirror e al quotidiano di sinistra The Guardian. Casualmente è il giorno del compleanno di Mary Wakefield, moglie di Cummings. Compie 45 anni. Auguri. Nel frattempo il consigliere del primo ministro ritiene di aver passato la malattia, nessuno gli ha mai fatto un tampone, e il 14 aprile torna al lavoro. Si parla di un secondo ritorno a casa nei giorni seguenti, ma non è mai stato confermato.

Scoppia il caso

Si arriva così alla settimana scorsa. Il picco del contagio nel Regno Unito è passato, c’è un primo parziale allentamento del lockdown, ma il governo appare incerto, privo di una strategia ben definita e coerente per accompagnare il paese verso la nuova normalità che caratterizzerà il prossimo futuro. I sondaggi cominciano a mostrare qualche tremolio, se non piccolo scossone, dopo il supporto trasversale di cui Johnson aveva potuto godere sia per la situazione d’emergenza sia per essere stato vittima lui stesso del virus. E il 22 maggio scoppia il caso. Com’è stato possibile che mentre tutto il paese si barcamenava in ogni modo per rispettare le istruzioni del governo, il consigliere del primo ministro traversasse tutta l’Inghilterra da Sud a Nord senza problemi?

 La via d’uscita sbagliata

All’inizio a Downing Street non capiscono la gravità della faccenda e la derubricano al solito attacco della sinistra, a pettegolezzo o poco più. Ma il caso monta rapidamente fino ad assumere le proporzioni di uno scandalo, di quelli nei quali i media del Regno Unito sono specializzati. Alla fine l’unica via d’uscita sembra essere una conferenza stampa ad hoc dello stesso Cummings. Ma tanto per buttare là un altro proverbio, la toppa si rivela peggiore del buco. Cummings parla per un’ora e mezza riuscendo a inanellare errori uno dopo l’altro, e anche piuttosto marchiani, soprattutto per uno che dovrebbe essere un guru della comunicazione. Giustifica il suo ritorno a casa con la necessità di poter fare affidamento sulle amorevoli attenzioni dei nonni per suo figlio, visto che lui all’epoca era a rischio Covid-19 e la moglie già mostrava i primi sintomi.

Il comma 22 del lockdown

Sostiene che avrebbe obbedito allo spirito dei provvedimenti del governo perché “è evidente dalle regole che quando si tratta di bambini piccoli vi possono essere circostanze eccezionali e ritengo che quella fosse una circostanza eccezionale”. Un’interpretazione possibile, certo. Purtroppo per Cummings, però, le indicazioni del governo non sembravano prestarsi a molte interpretazioni. Esse prevedevano infatti un interessante esempio di comma 22 senza possibilità di scampo, ovvero: “non è possibile andare a trovare familiari che non vivono nella tua stessa casa”. Cristallino. Posto che se vivono con te non si capisce bene perché e dove li si dovrebbe andare a trovare.

In gita per testare la vista

Ma la dichiarazione migliore di Dom è quella relativa alla gita a Barnard Castle. Pare si sia messo alla guida della macchina, con moglie accanto e figlio dietro, per vedere se la sua vista fosse a posto in previsione del suo viaggio di ritorno a Londra. Ha detto proprio così. Che se prima qualcuno aveva dei dubbi, ora è quasi impossibile. E infatti se prima della conferenza stampa era il 52% delle persone interpellate a pensare che si dovesse dimettere, dopo la conferenza stampa la percentuale è salita al 59% (fonte: YouGov).

La soluzione evidente

Vabbè ha fatto un brutto sbaglio, si dimette e la storia finisce qua. Questo è quello che penserebbero in molti e d’altra parte sembrerebbe la cosa più ragionevole. In fondo Cummings è un consulente e non un ministro, e non è stato sorpreso a rubare o con la mazzetta in mano: ha violato le regole del lockdown, ha sbagliato, paga e punto e a capo. E il governo va avanti.

“Lavatevi le mani”

Ma assai peculiarmente, e per alcuni incomprensibilmente, non è quello che è avvenuto o che sta avvenendo. Non solo Cummings rifiuta di dimettersi, ma è riuscito ad ottenere il pieno appoggio di Johnson e di quasi tutto il governo.

Mentre tutto il paese si indigna sentendosi preso in giro, il premier ha deciso di fare scudo al suo stratega del cuore, tanto da offrire uno spettacolo assai imbarazzante nella quotidiana conferenza stampa sull’epidemia. Sotto pressione dei giornalisti, che in videoconferenza gli chiedevano di Cummings, Johnson è riuscito a rispondere che il vero problema della faccenda era che oscurava il messaggio principale ovvero che “bisogna lavarsi le mani”, intendendo l’espressione in senso letterale e non figurato naturalmente. E la chiosa a ogni risposta era che Cummings aveva detto il suo e ora “stava alla gente formarsi un’opinione”.

 Il problema per Johnson e per il suo governo è che l’opinione la gente pare essersela formata, e anche ben precisa. E non solo la gente. In casa dei Conservatori si comincia a sentire l’odore del sangue: oltre una trentina di deputati del partito di Johnson chiedono ormai la testa del suo consigliere e il ministro per la Scozia, Douglas Ross, ha ritenuto di distanziarsi dal premier e si è dimesso.

 Un governo logorato dall’epidemia

Il momento è estremamente delicato per il governo britannico. Entrato in trionfo solo cinque mesi fa, appare oggi essere estremamente logorato. La gestione dell’epidemia è stata confusa, contraddittoria e in ritardo, soprattutto considerando che il Regno Unito è stato uno degli ultimi paesi europei colpiti. Sarebbe bastato guardare i telegiornali italiani per capire quel che sarebbe successo in casa due settimane dopo e prendere gli opportuni provvedimenti, a partire dalle difficoltà di approvvigionamento di mascherine e camici fino alle residenze per anziani. A ciò di aggiungono le difficoltà della crisi economica e il nodo ancora irrisolto della Brexit.

Per Johnson apparire ora esitante, incerto, distante dal sentire comune di cui era stato perfetto interprete, e questo solo per coprire una figura che ai più appare oscura, potrebbe essere l’ennesimo colpo. Soprattutto se alla fine il premier sarà costretto a cedere e a far dimettere il suo fidato consigliere.

La regola prima della politica

Per quanto possa apparire incredibile per un politico esperto come il premier britannico, sono in molti tra parlamentari, giornalisti e commentatori a ritenere egli abbia dimenticato la regola prima della politica, così simile a quella del lockdown: quando lo scandalo si allarga, il distanziamento sociale è l’unica possibilità, bisogna stare lontano da chi ne è colpito o non potrà far altro che contagiare anche te.

 

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
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