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Le grandi vie del gas e gli interessi strategici nel Medio Oriente. Cosa c'è dietro la guerra in Siria

La nuova crisi internazionale che si abbatte sul paese rischia di mettere fine ai colloqui di pace. I troppi interessi in gioco nell'area ricca di giacimenti di idrocarburi

Paola Pintusdi Paola Pintus   
Le grandi vie del gas e gli interessi strategici nel Medio Oriente. Cosa c'è dietro la guerra in Siria

La nuova crisi internazionale che si abbatte sulla Siria alla vigilia della ripresa dei colloqui di pace rischia di mettere drammaticamente fine agli sforzi diplomatici per una soluzione del conflitto. Il nove marzo a Ginevra si era chiuso positivamente il penultimo round di negoziato fra le controparti: Damasco era riuscita ad aggiungere all'agenda la questione della lotta al terrorismo ed esisteva una base di dialogo su un processo di transizione "credibile e inclusivo", sulla stesura di una nuova costituzione e su libere elezioni. La destituzione di Assad-fortemente voluta dallo stato maggiore americano e dagli alleati del Golfo- non era più in agenda già dalla fine di dicembre, dopo la presa di Aleppo che ha capovolto le sorti del conflitto a favore dell'alleanza russo-siriana.  

Ora gli scenari rischiano di mutare rapidamente sul campo alterando l'equilibrio dei colloqui di pace, portati avanti dal doppio binario diplomatico-militare e politico rispettiamente ad Astana e Ginevra. Quello che stupisce è la straordinaria rapidità con cui gli Stati Uniti, sempre reticenti negli ultimi sei anni a piantare i "boots on the ground" anche davanti a palesi violazioni dei diritti umani (chi non ricorda il sanguinoso assedio della città curdo-siriana di Kobane sotto gli occhi complici della Turchia, o i massacri pepetrati dal Califfato un pò ovunque in Siria, da Aleppo a Palmira?), stavolta abbiano deciso di intervenire, e non certo contro il Califfato, ma contro chi nel bene o nel male ne è stato argine fino ad oggi.

Per tentare di capire meglio cosa sta succedendo in Siria e quali sono le logiche che muovono le mosse dei vari attori in campo occorre sgomberare la mente da ogni emotività e fare qualche passo indietro. Anzitutto al 19 dicembre 2016, alle incredibili dichiarazioni dell'ambasciatore siriano Bashar al Jaafari al margine del Consiglio di Sicurezza dell''Onu, convocato per discutere l'invio di osservatori internazionali durante l'evacuazione di Aleppo. Jaafari fece allora una denuncia clamorosa, rivelando che poco prima della liberazione finale di Aleppo Est,  nel quartier generale dei cosiddetti “ribelli moderati” le forze lealiste e russe avevano circondato e intrappolato decine di agenti stranieri provenienti da Stati Uniti, Israele, Turchia, Giordania, Arabia Saudita, Qatar e Marocco. Jaafari fornì anche un elenco di nomi, di cui probabilmente esisteva già un'informativa dettagilata nei tavoli del Consiglio di Sicurezza e della Nato, ma che i media mainstream non hanno mai rilanciato.

Interessi strategici dietro la guerra di religione

 

Ma se non avremo mai conferme ufficiali sulla presenza di agenti statunitensi, sauditi e quatarioti nel quartier generale degli Jihadisti ad Aleppo, possiamo comunque provare a capire quali siano gli interessi geopolitici e strategici in gioco in quell'area. Il metodo empirico è il classico follow the money: segui il denaro. In questo caso, il flusso dell'oro nero e dei grandi giacimenti di gas della regione del Golfo.

In un memorabile articolo del 23 febbraio 2016 sulla rivista Politico, l’avvocato Robert Kennedy Jr, nipote dell’ex presidente americano John F. Kennedy, spiega in modo molto chiaro quelli che per lui sono i motivi della guerra in Siria. Kennedy sostiene che non sono mai esistiti “ribelli moderati”, quanto piuttosto formazioni radicali infiltrate da paesi terzi, in una guerra per procura il cui fine ultimo non era quello di liberare il popolo siriano da un regime oppressivo, quanto piuttosto quello di punire Assad per avere negato il passaggio sul suo territorio  di un gasdotto dal Qatar verso l’Europa.

Molto prima di lui l’ex ministro degli esteri francese Roland Dumas aveva affermato che “i britannici preparavano la guerra in Siria già due anni prima delle manifestazioni del 2011”. William Enghdall, analista geopolitico ed esperto in rischio strategico, su New Eastern Outlook parla senza mezzi termini di “una nuova guerra per il petrolio del Medio Oriente, con una possibile dimensione nucleare. Le guerre per il controllo dell’oro nero esistono fin dagli albori dell’era del petrolio intorno al periodo della prima guerra mondiale. Questa guerra, tuttavia, è su una scala che cambierà la politica mondiale in maniera spettacolare e altamente distruttiva: una guerra saudita per ridisegnare i confini nazionali della famigerata spartizione anglo-francese Sykes-Picot fatta nel 1916 ai danni dell’antico impero ottomano. Questa nuova guerra ha come obiettivo insensato di portare i giacimenti di petrolio e oleodotti di Iraq e Siria,-e forse l’intera regione- sotto il controllo diretto dei sauditi, con il Qatar e la Turchia di Erdogan come partner di Riyadh”.

South Pars/ North Dome, il gasdotto della discordia

Nel 2000 il Qatar ha proposto di costruire un gasdotto da 10 miliardi di dollari, 1.500 km gasdotto attraverso Arabia Saudita, Giordania, Siria e la Turchia. Il Qatar condivide con l’Iran il giacimento di gas di South Pars / North Dome, il giacimento di gas naturale più ricco del mondo situato tra l’Iran (South Pars) e il Qatar (North Dome). L’embargo sul commercio internazionale fino a poco tempo fa vietava all’Iran di vendere gas dall’estero. Mentre il gas del Qatar può raggiungere i mercati europei solo se viene liquefatto e spedito via mare, un percorso che limita il volume e aumenta drammaticamente i costi. La conduttura proposta avrebbe legato il Qatar direttamente ai mercati europei dell’energia tramite terminali di distribuzione in Turchia, che a sua volta avrebbe intascato ricche tasse di passaggio. Il gasdotto Qatar/Turchia avrebbe dato ai regni sunniti del Golfo Persico una dominazione decisiva sul mercato mondiale del gas naturale rafforzando il Qatar, più stretto alleato degli Stati Uniti nel mondo arabo. Al contempo, si sarebbe inferto un colpo mortale agli interessi dell'Iran sciita e della Russia, principale competitor dei paesi del Golfo nelle forniture di gas all'Europa, e che infatti vedeva il progetto South Pars come una diretta minaccia della Nato nei suoi confronti.

Nel 2009, Assad ha annunciato che si sarebbe rifiutato di firmare l’accordo per permettere al gasdotto di correre attraverso la Siria “per proteggere gli interessi del nostro alleato russo“. Poi ha fatto infuriare ulteriormente i monarchi sunniti del Golfo, appoggiando un “gasdotto islamico” approvato dai russi che va dalla zona iraniana del giacimento di gas attraverso la Siria e fino ai porti del Libano. Il gasdotto islamico avrebbe reso l’Iran sciita, non il Qatar sunnita, il principale fornitore al mercato europeo dell’energia, aumentando notevolmente l’influenza di Teheran nel Medio Oriente e nel mondo. (Trad. Politico)

Quali scenari si aprono ora

Naturalmente, questo è solo uno dei possibili scenari che spiegano il potenziale degli interessi in gioco e la violenza di un conflitto lunghissimo, cui la discesa in campo della Russia sembrava aver cambiato inaspettatamente il finale. Un finale che prevedeva di annoverare nell’assise dei vincitori gli Stati Uniti, i paesi della cosiddetta “Coalizione di Rihad” e la Turchia, che sembravano soccombenti ma che ora potrebbero aver inferto un colpo durissimo alle ambizioni del progetto euroasiatico accarezzato da Putin con i suoi alleati iraniani e siriani.  

E' ancora presto per capire cosa accadrà adesso, e se l'attacco di Trump sia stato un gesto dimostrativo che non avrà ulteriori conseguenze o se seguirà un escalation militare.  A fotografare la gravità della situazione basta la dichiarazione della portavoce del Comitato Internazionale della Croce Rossa Iolanda Jaquemet, che ha spiegato come la situazione in Siria si è trasformata in "un conflitto armato internazionale". "Ogni operazione militare da parte di uno Stato nel territorio di un altro senza il consenso generale corrisponde a un conflitto armato internazionale. Quindi, in base alle informazioni disponibili, l'attacco degli Stati Uniti contro le infrastrutture militari siriane e' pari a un conflitto armato internazionale". 

Paola Pintusdi Paola Pintus   

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