Boris riapre (in parte) la Gran Bretagna: difficile compromesso tra virus e fame
Con il picco di morti e contagi, Londra tenta una rischiosa ma necessaria ripartenza
Dopo 52 giorni di lockdown, una settimana in meno dell’Italia, l’Inghilterra rialza la saracinesca. L’11 maggio, a metà settimana, il paese tenta una parziale (e un po’ pasticciata) ripartenza dopo quasi due mesi di quarantena. Ma Londra negli ultimi tempi si era già rimessa in moto senza aspettare il via libera ufficiale di Boris Johnson, ma sulla scia di attese alimentate proprio dal Governo. Già dalla settimana prima, il traffico di auto e camion era improvvisamente aumentato, dopo settimane di strade vuote come in uno scenari post nucleare alla “The Day After”; la gente ha cominciato ad affollare strade e parchi pubblici: colpa o fortuna di una primavera così calda, soleggiata e senza pioggia come non se ne vedevano da decenni.
Il successo di Johnson
Il Governo del redivivo Johnson, il premier finito a una passo dalla morte per CoronaVirus, finora apparso sempre determinato e pragmatico (a parte il presunto incidente iniziale dell’immunità di gregge): ha gestito l’emergenza sanitaria senza che il sistema ospedaliero pubblico NHS andasse in collasso, nonostante timori e accuse di incapacità e inadeguatezza. Ha evitato scene di panico come in Italia; e pur con un numero di morti che ha superato l’Italia non si sono visti i camion dell’esercito portare via le bare. Un successo.
La confusione della Fase 2
La ripartenza, invece, è a ranghi sparsi, priva di quel sano pragmatismo inglese. La confusione della Fase 2 della Gran Bretagna è figlia di diversi bisogni: far ripartire la macchina del paese, perché un lockdown prolungato metterebbe ancora più in ginocchio il paese e causare, sul lungo periodo, danni molto più severi del virus (di qui nasce la strategia del “gregge” come in Svezia). Ma allo stesso tempo il paese è al picco di contagi e vinto il disdicevole primato di paese europeo con più morti.
Con 40mila decessi, record che ha tolto l’Italia dall'essere per l’ennesima volta la pecora nera d’Europa, riaprire è un rischio. Ma Boris è stretto tra due fuochi: da una parte tutti i paesi europei stanno più o meno allentando le chiusure e se lui non si accoda; dall’altra sa che con questi numeri, rischia di ingigantire il picco di contagi e decessi. Ecco che dunque oscilla tra la rigida severità di un e aperture che però sono delle pericolose fughe in avanti.
La quarntena leggera degli inglesi
Se gli inglesi hanno dovuto sopportare una settimana in meno di auto-isolamento rispetto ai martoriati italiani, con grossi vantaggi di salute mentale, è sulla modalità che però i due paesi sono lontani anni luce. Questi 52 giorni, gli italiani li hanno vissuti sotto una dittatura sanitaria, con una prigionia difficilissima per le famiglie con bambini piccoli. In Inghilterra invece, non si è visto nessun elicottero, pagato coi soldi del contribuente, inseguire singoli cittadini che correvano da soli in una spiaggia deserta. Anzi, le misure di quarantena sono state leggere: i sudditi della Regina Elisabetta II sono sempre potuti uscire per fare la spesa, per fare commissioni urgenti, per fare sport una volta al giorno o per andare a passeggiare al parco (rimasti aperti tutto il tempo). I mezzi pubblici hanno sempre funzionato, seppur ridotti. Alcuni locali e ristoranti, quelli che fanno consegne di cibo a domicilio, non hanno mai chiuso.
Di qui una Fase 2 che dal lato della gestione della popolazione è un po’ un “Vorrei ma non posso”. Il conservatore Boris ha adottato un cerchiobottismo molto italico e poco britannico: hanno riaperto le industrie manifatturiere (quel poco che rimane nel paese) e il settore dell’edilizia. Ma sugli spostamenti, le direttive, contraddittorie, del Governo hanno mandato in tilt le persone: chi può lavorare da casa, deve rimanere a casa. Dove non è possibile, si deve tornare al lavoro (quindi non solo i due settori riaperti). E come ci si va al lavoro? I cittadini sono stati invitati a usare la propria auto e a usare il meno possibile i mezzi pubblici. La riapertura parziale, in una metropoli dove automobile è un lusso, ha creato proprio quello che si vuole evitare: gli assembramenti. Su molte linee è impossibile distanziarsi, anche perché, proprio per evitare contagi e garantire sanificazione, il sindaco di Londra ha ridotto le corse. Risultato: i pochi treni sono super affollati.
A discolpa della parziale del Governo, c’è da dire che la Fase 2 durerà poco: la Fase 3 che parte a giugno vedrà la riapertura di scuole e negozi; e soprattutto il grande circo dello sport (con la Premier League, che riprenderà ma a porte chiuse). Per il turismo, grande voce del Pil britannico sia in entrata, coi milioni di turisti a Londra ogni fine settimana; sia in uscita (gli inglesi se ne scappano al sole e al caldo appena possono), bisognerà aspettare luglio.