"Benedetto XVI contro Francesco": il libro che affronta tutte le voci maligne sui due papi

Davvero il pontefice dimissionario e l'attuale capo della Chiesa sarebbero in contrasto? Il teologo Scannone esamina i loro atti e gli scritti

Papi a confronto: Francesco e Benedetto XVI
Papi a confronto: Francesco e Benedetto XVI

Se Benedetto XVI non avesse rinunciato al pontificato nel 2013 avrebbe concluso oggi il 16mo anno di successore di Pietro e non ci sarebbe stato Francesco. Questo è il ragionamento inconscio di quanti criticano pesantemente Francesco esprimendo nostalgia per Benedetto con il quale non hanno nessun legame sostanziale. Quanti oggi buona parte di coloro che si oppongono a Francesco sono, in realtà, dei nostalgici clericali che, a suo tempo, si sono opposti anche a Benedetto. Essi si rimpiangono un papa del quale non hanno mai considerato l’insegnamento. E curiosamente il tentativo di mettere Benedetto contro Francesco è sempre miseramente fallito. Non solo.

Oltre la fiction

Il più grande estimatore di Benedetto non si trova tra i nostalgici del tempo che fu, ma è paradossalmente proprio papa Francesco. Nessuno quanto lui ha dato atto dell’importanza delle indicazioni di Benedetto riconoscendogli pubblicamente e più volte l’altissimo magistero teologico e l’esempio coerente di vita cristiana. La rinuncia di Benedetto ha aperto possibilità di vie nuove nella Chiesa pari alla forza di un terremoto che ridisegna la crosta terrestre.

Il libro di Scannone

Un’ulteriore conferma sulla fondatezza di una forte amicizia spirituale tra Benedetto e Francesco si trova nella lettura di un libro notevole di Juan Carlos Scannone sulle radici teologiche di papa Francesco. Il libro, dal titolo “La teologia del popolo”, non è un chiacchiericcio ma una tesi ragionata credibile a motivo dell’autore - gesuita di maggior riferimento teologico di Francesco -, e della collana dove è collocato: la Biblioteca di Teologia Contemporanea dell’editrice Queriniana che per quest’opera eccezionalmente ha la Civiltà Cattolica come coeditrice.

Il libro fa pensare di riflesso a quanto volatile possa apparire anche l’insegnamento di un papa: tutti o quasi ne elogiano l’importanza del magistero, ma poi poco o nulla viene messo in pratica. Si constata l’antico adagio romanesco che “morto un papa se ne fa un altro”. In una società dei consumi anche il magistero papale può diventare un prodotto di consumo occasionale, subito sostituito dal nuovo magistero che a sua volta – con certezza – verrà accantonato con l’arrivo del successore. C’è un altro detto maligno che circola: i papi passano, la Curia romana resta.

La questione della povertà

Questo destino della provvisorietà propria degli esseri umani nei papi appare macroscopico, ma solo in apparenza poiché esiste una continuità funzionale del loro magistero e questo andare avanti a piccoli passi nei secoli si realizza in profonde riforme della Chiesa. Se ne ha un’evidenza nel destino dell’insegnamento sociale della Chiesa che ha acquistato un’importanza costitutiva della vita cristiana con il concilio Vaticano II. E’ su questo punto che Scannone, indirettamente, sconfessa coloro che pensano di fondare la loro critica a Francesco nella fedeltà a Benedetto. Entrambi infatti hanno contribuito a sviluppare con una forza enorme “l’agenda incompiuta del concilio, secondo il metodo di Gaudium et spes [la Costituzione conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo –ndr]”. La questione dei poveri divenuta dominante in Francesco e motivo di attrito con il sistema economico ne è un esempio. Tutti i papi dopo il concilio hanno dato un contributo per chiarire che l’opzione preferenziale dei poveri non è solo parte integrante ma essenziale dell’evangelizzazione.

La Chiesa di fronte all'esempio di Cristo

Su questo terreno, per quanto possa sembrare paradossale, esiste una convergenza sostanziale tra Benedetto e Francesco. “I poveri – scrive Francesco su uno dei suoi libri chiave – non sono gli oggetti delle nostre buone intenzioni, ma i soggetti del cambiamento. Non agiamo soltanto per i poveri, ma con loro, come ha ben spiegato Benedetto XVI nella seconda parte della sua lettera enciclica del 2007 Deus caritas est (Dio è amore)”. Benedetto XVI ha fondato l’opzione preferenziale dei poveri andando oltre il consenso sociologico e pertanto divisivo perfino tra i cattolici. Egli ha sostenuto il fondamento cristologico di tale opzione, ossia l’ha strettamente legata alla predicazione e all’esempio di Gesù. “A mio parere - scrive Scannone – il magistero di papa Francesco non solo avanza in questa stessa linea di fedeltà creativa rispetto al concilio, prolungando il cambiamento di paradigma di Gaudium et Spes… ma la manifesta molto concretamente con gesti e parole e in un linguaggio che, come quello evangelico, pur essendo teologicamente profondo, è pastorale, semplice e accessibile a tutti. Di qui il suo maggiore impatto, che corrisponde ai nuovi segni dei tempi in quest’epoca di globalizzazione e di esclusione”.

La "categoria de dono" che cambia le carte in tavola

Per cogliere che Scannone non faccia apologia quanto piuttosto un esame accurato della realtà basta ricordare alcuni punti fondamentali dell’insegnamento di Francesco che si ritrovano con analoga forza nell’importante enciclica sociale di Benedetto XVI “Caritas in veritate” pubblicata nel 2009. In quell’enciclica - come tante altre con intenzioni innovative e di aggiornamento di Paolo VI e dello stesso Wojtyla - compaiono questioni primarie come l’ingiustizia sociale, i migranti, la globalizzazione dell’economia, il degrado ecologico, la riforma delle istituzioni internazionali e dell’economia. Temi ormai consueti – a ben vedere- ma rimasti tuttora teorici. Quando stava per uscire Caritas in veritate un’importante autorità ecclesiastica focalizzò l’elemento davvero nuovo dell’enciclica nel principio del dono che veniva introdotto tra gli elementi di riforma economica. La categoria de dono scombina, infatti, il modo consueto di ragionare sull’economia e sul rapporto tra paesi poveri e ricchi. “La vita economica – si legge al paragrafo 37 dell’enciclica - ha senz'altro bisogno del contratto, per regolare i rapporti di scambio tra valori equivalenti. Ma ha altresì bisogno di leggi giuste e di forme di ridistribuzione guidate dalla politica, e inoltre di opere che rechino impresso lo spirito del dono.

Una Chiesa che guarda troppo a se stessa

L'economia globalizzata sembra privilegiare la prima logica, quella dello scambio contrattuale, ma direttamente o indirettamente dimostra di aver bisogno anche delle altre due, la logica politica e la logica del dono senza contropartita”. La categoria del dono non è in perdita, ma parte della soluzione degli squilibri economici prodotti dal mercato. I vari “no” di Francesco all’economia dell’esclusione, del sistema sociale ed economico vigente “non sono un rifiuto dell’economia di mercato e della libera impresa ma dell’ideologia neoliberale che propugna l’assolutizzazione e l’autoregolazione del mercato, lo trasforma in un fine e non in un mezzo e accetta l’egemonia delle finanze sul capitale produttivo e sul lavoro”. In questa luce si comprende l’attenzione di Francesco ai “semi di futuro” contenuti nella vita quotidiana dei poveri e nei movimenti popolari, non populisti. E si comprende la critica di Francesco “all’autoreferenzialità della chiesa e delle società, la sua apertura al dono gratuito agli altri, la sua cultura dell’incontro, della comunicazione e del dialogo, e la sua rivoluzione della tenerezza e della misericordia”.

Il pasticcio dei migranti sulla nostra coscienza

Sembra aiutare “verso la possibilità reale di un nuovo paradigma socio-culturale integrale”. Se si tiene presente il Benedetto XVI della prima enciclica sul Dio amore e dell’importante enciclica sociale “Caritas in veritate”, si coglie bene la continuità sostanziale sui grandi temi tra lui e Francesco. Se si fosse messo in pratica quanto in essa contenuto sulla questione immigrati, non ci sarebbe l’attuale pasticcio delle politiche egoiste e la necessaria insistenza del richiamo di Francesco alla giustizia nei confronti degli immigrati. Come mai accade allora che si continua a pensare Benedetto un conservatore anche dopo l’esempio di vita cristiana dato con la rinuncia al pontificato?