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Appello di Francesco per il popolo del Marocco dopo il devastante terremoto

Nel dopo Angelus invito affettuoso a pregare per l’Ucraina che aveva diffuso – tramite consigliere di Zelensky - critiche pubbliche nei suoi confronti.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
Foto Ansa
Foto Ansa

“Filorusso e non credibile”. Con queste parole Mychajlo Podoljak, consigliere del presidente Volodymyr Zelensky ha tentato di colpire la credibilità di papa Francesco, inadatto – a parer suo – a svolgere ruoli di mediazione per la pace in Ucraina. Questo papa “inadatto”, anche oggi, prima del costante ricordo per l’Ucraina ha rivolto un appello invitando tutti alla solidarietà concreta con il popolo del Marocco duramente colpito da un “devastante terremoto”. Oltre duemila i morti, per ora, e altrettanti feriti. “Desidero esprimere la mia vicinanza al caro popolo del Marocco, colpito da un devastante terremoto. Prego – ha aggiunto il papa - per i feriti, per coloro che hanno perso la vita – tanti! – e per i loro familiari. Ringrazio i soccorritori e quanti si stanno adoperando per alleviare le sofferenze della gente; il concreto aiuto di tutti possa sostenere la popolazione in questo tragico momento: siamo vicini al popolo del Marocco!”. Singolare il ricordo dell’Ucraina sofferente per la guerra, inserito nel ricordo di una famiglia polacca martire nella seconda guerra mondiale per aver ospitato degli ebrei.

“Oggi a Markowa, - le testuali parole di Bergoglio - in Polonia, sono stati beatificati i martiri Giuseppe e Vittoria Ulma con i loro 7 figli, bambini: un’intera famiglia sterminata dai nazisti il 24 marzo 1944 per aver dato rifugio ad alcuni ebrei che erano perseguitati. All’odio e alla violenza, che caratterizzarono quel tempo, essi opposero l’amore evangelico. Questa famiglia polacca, che rappresentò un raggio di luce nell’oscurità della seconda guerra mondiale, sia per tutti noi un modello da imitare nello slancio del bene e nel servizio di chi è nel bisogno. Un applauso a questa famiglia di Beati! E sul loro esempio, - ha continuato Francesco - sentiamoci chiamati a opporre alla forza delle armi quella della carità, alla retorica della violenza la tenacia della preghiera. Facciamolo soprattutto per tanti Paesi che soffrono a causa della guerra; in modo speciale, intensifichiamo la preghiera per la martoriata Ucraina. Ci sono le bandiere, lì [in Piazza san Pietro – ndr], dell’Ucraina, che sta soffrendo tanto, tanto!”.

Lo IOR che ha faticato tanto nel passato anche recente a liberarsi di ombre talvolta inquietanti per scarsa o nulla trasparenza della gestione finanziaria, oggi è un organismo risanato e certificato anche da organismi internazionali di vigilanza. Poco comprensibile perciò l’attacco del consigliere di Zelensky. E non è la prima volta di critiche ucraine nei confronti della Santa Sede e dello stesso pontefice. Finora la Santa Sede si limita a spiegare e chiarire, come ha fatto lo IOR stesso nella presente circostanza puntando a chiarire l’impossibilità di accordi con Fondi russi. “In primo luogo, infatti – si legge nella nota - lo IOR non accetta, come clienti, istituzioni o persone fisiche che non abbiano una stretta relazione con la Santa Sede e la Chiesa Cattolica. In secondo luogo, lo IOR è un intermediario finanziario soggetto a vigilanza, che opera tramite banche corrispondenti internazionali di altissimo livello e di impeccabile reputazione tenute al rispetto delle norme internazionali”. Pertanto le affermazioni di Podoljak, “si basano sul nulla" e vanno "considerate come tali”.

Un atteggiamento non di sfida né di rimprovero, ma ragionevole è evidente anche nelle parole importanti dette dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin al sinodo dei vescovi della Chiesa greco cattolica dell’Ucraina riunito a Roma. Egli ha assicurato la vicinanza della Santa Sede e del papa in primo luogo al popolo ucraino ricordando gli appelli pubblici, la lettera del 24 novembre 2022, gli aiuti umanitari portati a nome del pontefice dal cardinale Konrad Krajewski, la recente iniziativa per incoraggiare condizioni di pace svolta dal cardinale Matteo Zuppi a Kiev, Mosca, Washington e si spera prossimamente Pechino. Ripetuti e significativi gesti ricorda Parolin che sarebbe “ingiusto dubitare dell’affetto del papa per il popolo ucraino e del suo sforzo, “non sempre compreso e apprezzato, di contribuire a porre fine alla tragedia in atto e ad assicurare una pace giusta e stabile attraverso il negoziato”. Si fatica a suo parere, insomma, a comprendere questo atteggiamento acrimonioso verso la Santa Sede e tanto meno verso papa Francesco. Il quale, senza intenzionalità specifica al nuovo caso, spiegando il Vangelo odierno ha denunciato il malvezzo del “chiacchiericcio” e i gravi danni che può produrre nei rapporti interpersonali e sociali. Gesù raccomanda la correzione fraterna “che è una delle espressioni più alte dell’amore, e anche delle più impegnative, perché non è facile correggere gli altri. Quando un fratello nella fede commette una colpa contro di te, tu, senza rancore, aiutalo, correggilo: aiutare correggendo. Purtroppo, invece, la prima cosa che spesso si crea attorno a chi sbaglia è il pettegolezzo, in cui tutti vengono a conoscere lo sbaglio, con tanto di particolari, tranne l’interessato! Questo non è giusto, fratelli e sorelle, questo non piace a Dio. Non mi stanco di ripetere che il chiacchiericcio è una peste per la vita delle persone e delle comunità, perché porta divisione, porta sofferenza, porta scandalo, e mai aiuta a migliorare, mai aiuta a crescere. Un grande maestro spirituale, San Bernardo, diceva che la curiosità sterile e le parole superficiali sono i primi gradini della scala della superbia, che non porta in alto, ma in basso, precipitando l’uomo verso la perdizione e la rovina”.

Correggere “non vuol dire mettere una persona alla gogna, svergognandola pubblicamente, bensì unire gli sforzi di tutti per aiutarla a cambiare. Puntare il dito contro non va bene, anzi spesso rende più difficile per chi ha sbagliato riconoscere il proprio errore. Piuttosto, la comunità deve far sentire a lui o a lei che, mentre condanna l’errore, è vicina con la preghiera e con l’affetto alla persona, sempre pronta a offrire il perdono, la comprensione, e a ricominciare”. Francesco ha fatto seguire alla riflessione una serie di domande che ciascuno dovrebbe farsi in proposito: “Come mi comporto io con chi sbaglia contro di me? Tengo dentro la cosa e accumulo rancore? “Me la pagherai”: questa parola, che tante volte viene, “me la pagherai…” Ne faccio motivo di chiacchiere alle spalle? “Tu sai cosa ha fatto quello?” e via dicendo… Oppure sono coraggioso, coraggiosa, e cerco di parlarci? Prego per lui o per lei, chiedo aiuto per fare del bene? E le nostre comunità si fanno carico di chi cade, perché possa rialzarsi e iniziare una vita nuova? Puntano il dito o aprono le braccia? Cosa fai tu: punti il dito o apri le braccia?”. Sembrano parole di un’utopia. Ma Francesco le dice e ripete con frequanza. E forse a metterle in pratica farebbero bene anche al tessuto spesso burrascoso e incomprensibile dei rapporti internazionali, specialmente quando si tratta di preferire accordi pacifici e giusti rispetto al ricorso alle armi e al diritto della forza.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   

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