[L’analisi] L'alleanza pericolosa fra Turchia e Qatar per sfidare Trump e gli alleati sauditi
L’intesa tra Russia, Iran e Qatar può seriamente danneggiare i piani di Trump per le esportazioni di GNL statunitense. Ciò aumenta anche la sensibilità degli Stati Uniti verso le 6500 truppe stanziate in Qatar, che ospita il quartier generale regionale del Comando Centrale degli Stati Uniti presso l’al-Udayd Airbase. Ma i nuovi posizionamenti di truppe, in uno scenario molto simile a quello che ha preceduto la sanguinosa guerra siriana, non lasciano prevedere nulla di buono
Cosa c'entra il Qatar con la questione curda? Niente, appunto. Eppure pochi giorni fa il ministro degli Esteri di Doha, Mohammed bin Abdulrahman al Thani, durante un intervento all'American Enterprise Institute a Washington, ha dichiarato riferendosi all’operazione militare "Ramo d’Ulivo" in corso sul confine turco-siriano che il Qatar "sostiene ogni paese che protegge i suoi confini", prendendo apertamente posizione al fianco di Erdogan. A riportarlo, venerdì scorso, è stata l’agenzia di stampa turca Anadolu che riferisce le parole del diplomatico qatariota. Per Al Thani quanto sta accadendo ad Afrin sarebbe perfettamente legittimo perché “avviene in coordinamento con altre forze nella regione" e perché la Turchia starebbe agendo “per tutelare la sicurezza dei suoi confini", applicando "un suo diritto", a prescindere dalle proteste di Damasco per il palese atto di aggressione dentro i confini di uno stato sovrano quale è la Siria.
Contemporaneamente l’ambasciatore turco in Qatar, FiKret Ozer, intervenendo sullo stesso tema nel corso di una conferenza stampa a Doha, ha annunciato che la Turchia “sta progettando di schierare forze aeree e navali nella sua base militare in Qatar” oltre alle truppe di terra gia' presenti nel compound. Ankara e Doha determineranno la "tempistica della costruzione dell'infrastruttura necessaria e quando queste forze saranno schierate", ha detto il diplomatico ripreso da "Al Jazeera", glissando sul numero di militari turchi attualmente dispiegati in Qatar. Qual è la logica dietro queste mosse? Erdogan sta giocando su più fronti, consapevole che la sua aggressiva politica neo-ottomana deve farsi spazio in un ambito d’azione ristretto fra il posizionamento atlantista e l’apertura di nuove, concrete opportunità economiche sul fronte orientale guidato da Mosca e Teheran. Si perché ancora una volta, dietro le questioni di facciata si muove l’interesse di dominio nell’area mediorientale, sullo sfondo delle grandi vie del gas. E pazienza se nei giochi delle mutevoli alleanze la causa umanitaria del popolo curdo non trova più sponsor diventando niente più che una pedina secondaria in uno scacchiere più ampio, dove i veri protagonisti rimangono spesso ben nascosti.
C’è un motivo dunque dietro l’esibizione ostentata del legame fra Turchia e Qatar, divenuto sempre più forte dopo che Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti ed Egitto hanno tagliato i legami con Doha lo scorso 5 giugno con l’accusa di sostenere il terrorismo internazionale. Il torto capitale del sultano al Thani ovviamente non è quello aver contribuito –in quota parte rispetto ai membri della coalizione di Riad, Arabia Saudita in primis- a finanziare le milizie dell’Isis, bensì l’aver aperto un fronte di dialogo col rivale Iran, con cui il Qatar condivide l’enorme giacimento di idrocarburi e gas al largo delle sue coste, denominato South Pars/ North Dome: il più vasto al mondo, con i suoi 9,700 km2 ed un potenziale estraibile di 50 miliardi di barili di condensato.
Ora un nuovo accordo, firmato a novembre 2017 fra Iran, Turchia e Qatar e passato inosservato fra i media occidentali, promette di aprire nuove prospettive commerciali nella regione rivoluzionando vecchi equilibri e sfidando la pax Saudita nella regione. L’accordo, come a suo tempo riportato in un qualificato articolo di MK Bhadrakumar su Asia Times, prevede la creazione di un “gruppo di lavoro comune per facilitare il transito delle merci tra i tre Paesi” affrontando “gli ostacoli al traffico di merci da Iran e Turchia al Qatar”. Quello che a prima vista può sembrare un modesto sforzo per snellire la logistica commerciale verso il Qatar, ha in realtà un valore strategico-simbolico enorme: significa che il Liquid Natural Gas (Gnl) prodotto dai giacimenti quatarioti non avrà più bisogno passare via terra dalla penisola arabica, ma una volta compresso sarà più facilmente spedito via mare lungo la nuova rotta persiano-anatolica, fino all’Europa.
Su un piano più ampio, l’approfondimento dei legami tra Russia, Turchia e Iran, nel contesto della comune antipatia per gli Stati Uniti, fornisce già la via d’uscita di Teheran dall’isolamento regionale. E i rapporti dell’Iran con Qatar e Turchia, Paesi sunniti, smaschera la campagna di Riyadh per dare una coloritura settaria alla frattura con Teheran. Fondamentalmente, l’alleanza Turchia-Iran-Qatar resetta l’equilibrio nel Medio Oriente musulmano sfidando apertamente la leadership dell’Arabia Saudita. La vicinanza tra Qatar e Iran ha profonde implicazioni per i mercati energetici globali. Russia, Iran e Qatar rappresentano il 55% delle riserve di gas comprovate nel mondo. I tre Paesi sono protagonisti del forum dei Paesi esportatori di gas. La Russia, dal canto suo, si prepara a rafforzare la sua produzione di GNL con il completamento dei lavori nel campo estrattivo di Yamal (che dovrebbe essere pienamente funzionante entro il 2020) e anche l’Iran post-sanzioni guarda a un futuro da esportatore di GNL.
La quasi alleanza tra Russia, Iran e Qatar può quindi seriamente danneggiare i piani di Trump per le esportazioni di GNL statunitense. Ciò aumenta anche la sensibilità degli Stati Uniti verso le 6500 truppe stanziate in Qatar, che ospita il quartier generale regionale del Comando Centrale degli Stati Uniti presso l’al-Udayd Airbase. Ed ecco perché, tornando alle dichiarazioni sopra riferite, la Turchia si starebbe preparando, in accordo con i sultani di Doha, a rafforzare la propria presenza nella sua base in Qatar. Il valzer delle diplomazie e dei messaggi cifrati per ora è solo all’inizio. Ma i nuovi posizionamenti di truppe, in uno scenario molto simile a quello che ha preceduto la sanguinosa guerra siriana, non lasciano prevedere nulla di buono.