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[L’analisi] La cancelliera è sotto assedio. Tutti contro la Merkel, anche dentro casa sua. Ma se cade lei l'Europa traballa

L’Angela dei profughi paga la sua apertura agli immigrati e la convinzione che un partito che si dice cristiano, come la Cdu, debba mostrare pietà e solidarietà verso i più deboli. La politica delle porte aperte, in un continente ancora prostrato dalla crisi, ha generato rabbia e paura, anche nella ricca e forte Germania

Angela Merkel
La cancelliera Angela Merkel

La solitudine della Merkel si staglia così, triste y final, su quel che resta dell’Europa o della sua idea, ormai quasi sommersa da questa ondata sovranista che ne ripercorre una storia lontana, senza che nessuno abbia ancora capito bene dove ci porterà. Lo Spiegel le ha già regalato un titolo impietoso: «Il tempo della fine». Perché i suoi nemici sono diventati più forti di lei, non solo fuori dai sacri confini, ma anche e soprattutto dentro. Il vertice europeo di fine giugno non sarà altro che il primo appuntamento di questa resa dei conti, quando l’accerchiamento dei governi populisti ed euroscettici si farà ancora più aggressivo, con il suo ministro dell’Interno Horst Seehofer che non aspetta altro per mettere in pratica quello che ha già annunciato più di una volta: «Se non siamo d’accordo possiamo rompere la coalizione».

La fine dopo 13 anni

Seehofer che era stato messo sotto accusa dal suo partito, la Csu, perché troppo tenero e troppo poco di destra, è diventato oggi il principale fautore di una stretta molto energica nei confronti di quelli che lui chiama sprezzantemente «i turisti dell’asilo». Dopo 13 anni in cui ha diretto con piglio risoluto la Germania e da lì l’Europa, incrollabile sul suo scranno, mentre gli Usa cambiavano 3 presidenti, i francesi 4, gli italiani 6, i greci 5, come i leader del suo rivale interno, l’Spd, e lei sempre lì, sempre in cima alla piramide, sopravvivendo alla crisi economica, alla Grosse Koalition, alla Grecia ribelle sull’orlo del collasso finanziario, dopo 13 anni così, a rappresentare tutto il potere di una Germania ritornata mai così grande, adesso il suo tempo sembra davvero scaduto.

Solidarietà verso i più deboli

L’Angela dei profughi paga tutto insieme il famoso discorso del 31 dicembre 2015, la sua apertura agli immigrati e la convinzione che un partito che si dice cristiano, come la Cdu, debba mostrare pietà e solidarietà verso i più deboli: «Molte di queste persone stanno letteralmente fuggendo dalla morte. Non c’è bisogno di dire che le aiuteremo, e che accoglieremo chi cercherà da noi asilo. L’integrazione è un’opportunità per il futuro». La politica delle porte aperte, in un continente ancora prostrato dalla crisi e dal massacro sociale, ha finito per generare solo rabbia e paura, anche nella ricca e forte Germania.

La criptoprogressista

La prima avvisaglia arrivò l’anno scorso alle elezioni in Baviera, quando la Csu lasciò uno spaventoso meno 10,5 per cento al partito di estrema destra Alternative fur Deutschland. Da quel momento niente è stato più come prima. Angela Merkel, definita non solo dagli avversari come «una criptoprogressista», per quella sua arte dell’equilibrio che le ha permesso di realizzare con governi di centrodestra tutti quei temi cari più alla sinistra che al suo partito, dai matrimoni gay al salario minimo, sta vedendo crollare il suo regno per un problema molto più trasversale, che attraversa qualsiasi confine delle idee. Per uno scherzo del destino, la politica dell’accoglienza è l’unica cosa che non ha mai rinnegato, perché sul resto, in campagna elettorale, lei diceva chiaro e tondo di pensarla in modo opposto, «per convinzione personale». Ma nella scelta delle porte aperte c’era qualcosa di più profondo, la difesa dell’Europa, del trattato di Schengen, l’idea di un continente e di un futuro ormai lontano dalle spinte centrifughe e guerrafondaie del passato. E’ per questo che perde. E non c’è niente da fare. La crisi ha divorato la speranza.

L’ultimo schiaffo: Orban ospite d’onore

Così, dopo la batosta in Baviera, gli storici e fraterni alleati della Csu hanno cominciato a rinnegarla, fino a portarle in dote il regalo più sgradito che potesse immaginare, il premier ungherese Viktor Orban, sovranista fra i più accesi che non ha mai mancato di attaccarla con una certa violenza, invitato come ospite d’onore al consesso del partito bavarese. Orban è diventato un faro per la Csu, decisa ormai a sterzare prepotentemente a destra, avvicinandosi pure a un altro governo marcatamente sovranista come quello di Vienna.

Verso un’Europa divisa

Ormai isolata in patria e sempre più accerchiata a Bruxelles, resta l’ultimo baluardo del sogno di una Europa che non è mai nata, soffocata nella culla anche e soprattutto proprio dall’egoismo cieco della sua Germania, che ha salvato la Grecia portandole via industrie e ricchezze, lasciandole in cambio una spaventosa disoccupazione al 21 per cento, pensioni dimezzate e povertà crescente. Chiusa nella sua torre d’avorio, sarà costretta probabilmente a veder nascere, dopo il vertice di fine giugno, un’Europa diversa, più egoista, «più piccola e più divisa», come scrive Tonia Mastrobuoni, «proprio mentre le ex grandi potenze, Russia e Usa, puntano a spaccarla».

Il lauto conto della Storia

Certo è che gli Stati Uniti hanno dichiarato una guerra commerciale all’Europa che ha quasi come unico obiettivo la Germania e le esportazioni di Berlino. Alla fine, come capita a tutti quelli che perdono, al momento della sconfitta resterà marchiato l’elenco dei suoi errori. La verità è che non sono mai stati veramente suoi. Sulla Grecia, ad esempio, Angela Merkel è stata costretta a seguire le indicazioni del partito. Quando è riuscita a liberarsi da quella gabbia, ha pagato il conto della Storia.

La carriera

Figlia di un pastore protestante, che abbandonò la confessione della sua famiglia - il cattolicesimo - per seguire la sua fede, Angela in fondo ha cambiato partito più di una volta, prima di restare legata a una sua idea al punto da perdere tutto. E’ stata un grande politico, e lo è ancora, nonostante la sconfitta annunciata, capace di resistere ai venti contrari, sin da quando cominciò a far carriera, sposando la Cdu, a 35 anni, dopo essere arrivata dai giovani socialdemocratici e dagli studi di chimica quantistica. La chiamavano la «ragazzina di Kohl», perché era così giovane e promettente e il padre padrone del partito se la portò due volte nei governi. Se Kohl stravedeva, lei non ebbe timore a rivelare al Frankfurter Allgemeine Zeitung le pratiche finanziarie poco trasparenti del suo mentore.

La sua fine non è ancora scontata

E’ dura e abile, e sarebbe meglio state attenti a darla subito per morta. E’ una che non molla. Ma non bisogna farsi ingannare dalle impressioni: più che una carrierista è una monaca della politica, come purtroppo non ce ne sono neanche da lontano in Italia. Poche apparizioni tv, pochissime interviste, ha sempre fatto del basso profilo la sua prima caratteristica. Non ha mai preso un euro di più di quel che le spettava e continua a vivere nella sua villetta di Brandeburgo arredata con i mobili Ikea. Fa le spese al supermercato spingendo il carrello come una casalinga qualsiasi e se vede un fotografo, lo minaccia di chiamare la polizia se non se ne va subito, al posto di chiedergli se può chiamare anche qualcuno della tv, così facciamo tutti un bel servizio. La rimpiangeranno. Peccato che la Storia non guardi tanto queste cose.       

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno, editorialista   
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