Cambiare tutto per non cambiare niente: Trump all'Onu rilancia la dottrina Bush, ma stavolta gli USA rischiano l'isolamento
L'esibizione muscolare del presidente Usa al Palazzo di vetro ripropone la logica unilaterale a scapito delle Nazioni Unite. Ma la comunità internazionale non approva un attacco preventivo. Intervista ad Andrea de Guttry
Cambiare tutto per non cambiare niente: archiviata la stagione Bannon, quella che Donald Trump ha lanciato dalla sede dell’Onu ieri sembra essere né più né meno che la riedizione della dottrina del Nuovo ordine mondiale inaugurata da Bush Senior nel 1990, con l’idea di del dominio unipolare come unica garanzia della sicurezza globale. Un “noi contro loro” che esclude il metodo multilaterale e promuove la sovranità degli stati ma solo, si badi bene, se schierati dalla parte giusta. Una visione che comprime il ruolo e la funzione di concertazione delle Nazioni Unite a favore di una “coalizione di nazioni” che promuovono “la sicurezza pace prosperità” sotto l’ombrello dell’impero americano (vedasi Nato). In quest’ottica si inquadrano le reiterate minacce contro gli “Stati canaglia”: dalla Corea del Nord all’Iran, fino ad arrivare al Venezuela di Maduro. A cosa può portare questa logica muscolare? La minaccia di un escalation asiatica è davvero così concreta? E la comunità internazionale rimarrà inerte come nel caso dell’Iraq o questa volta reagirà con più forza? Ne abbiamo parlato con Andrea de Guttry, ordinario di dritto internazionale presso la Scuola Superiore di Studi Universitari S. Anna di Pisa, con delega all'Alta Formazione. De Guttry è esperto di relazioni internazionali e transatlantiche, direttore dell’Istituto Dirpolis e dell’International Training Programme for Conflict Management presso la scuola S.Anna.
“La tendenza degli Stati Uniti a trovare delle soluzioni più o meno individuali o basate sull’apporto di pochi stati al di fuori delle Nazioni Unite non è una novità”, spiega de Guttry. “ L’esempio più chiaro è l’offensiva di Bush contro l’Iraq, scatenata senza il consenso dell’Onu dopo avere inutilmente cercato di ottenerne il via libera. Evidentemente la storia non ha insegnato molto perché tutte le attività unilaterali finora svolte non hanno portato grandi risultati, mentre laddove c’è stato un coordinamento delle Nazioni Unite, sia pure con tempi più lunghi e con maggiori difficoltà, si sono avuti esiti migliori e di maggior stabilità. Ma il punto di maggior debolezza di questa critica americana al sistema delle Nazioni Unite è che non contiene una proposta alternativa all’Onu, se non il fatto di tornare a una situazione anarchica delle relazioni internazionali dove vige la parola del più forte. Oggi i più forti dal punto di vista tecnologico e militare sono gli Usa ma non è detto che sia così nei prossimi anni”
La minaccia nei confronti della Corea del Nord con alle spalle la Cina e anche la Russia, è verosimile in questa fase? “Bisogna distinguere il punto di vista giuridico da quello politico: sul piano giuridico la carta che attualmente è in vigore prevede il divieto assoluto non solo del ricorso ma anche della minaccia di ricorso alla forza armata. Questo vale per tutti: per Pyonyang come per Washington. La forza può essere utilizzata solo in presenza di un attacco armato e finora ogni tentativo americano di provare a parlare di una legittima difesa preventiva è stato sempre respinto dalla comunità internazionale. Dal punto di vista politico è poco probabile che gli USA decidano di lanciare un’offensiva militare contro la Corea del Nord almeno fino al momento in cui questa non dovesse fare un’attività militare che vada direttamente a ledere gli interessi diretti statunitensi o sferrando un attacco o contro uno dei paesi limitrofi o direttamente sulla base americana nell’isola di Guam. In assenza di una provocazione di questo tipo è molto poco probabile un’operazione di largo respiro: gli USA si vedrebbero contro tutta la comunità internazionale, a cominciare dalla Cina, dalla Russia ma prevedo anche dall’Unione Europea”. In particolare, sull’Europa: “Già durante la guerra in Iraq vi era un nucleo abbastanza consistente di paesi che fortemente si opponevano a quell’operazione. Con il nuovo scenario presente in Europa in questo momento si può immaginare una posizione più dura e più condivisa da parte dei partners europei. Non sarà facile perché gli USA possono contare su amici molto fedeli come i paesi dell’Est. Ma potrebbe emergere un nuovo protagonismo europeo”